
Perché i film natalizi ci piacciono così tanto? Tra nostalgia, dopamina e lieti fine prevedibili, i film natalizi sono la nostra comfort zone collettiva
C’è un momento dell’anno in cui la logica smette di funzionare. O, per dirla come il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge, avviene una "volontaria sospensione dell’incredulità". A partire dal mese di novembre, le piattaforme di streaming iniziano a proporre titoli con la parola Natale in ogni possibile combinazione, la casa di produzione Hallmark sforna decine di rom-com ambientate in città innevate dalle trame assolutamente prevedibili e noi non ci lasciamo scappare l’ennesimo rewatch de L’amore non va in vacanza. Fa tutto parte di un rodato rituale, ma cosa ci spinge a rivedere ogni anno gli stessi film natalizi, di cui conosciamo a memoria ogni battuta o di cui possiamo facilmente intuire il lieto fine? La risposta, dicono gli psicologi, è più complessa (e più interessante) del semplice "spirito delle feste".
I film natalizi e l'operazione nostalgia
Il primo motivo è la nostalgia. I film di Natale sono una capsula del tempo emotiva: ci riportano a quando il Natale era davvero magico, o almeno così ci piace ricordarlo. Guardare Jude Law che interpreta Mister Tovagliolo, o la stressata donna in carriera che ritorna nella sua cittadina rurale per portare avanti una tradizione di famiglia, riattiva in noi un senso di familiarità e sicurezza che oggi fatichiamo a trovare altrove. Secondo diversi studi, la nostalgia funziona come una strategia di autoregolazione emotiva: ci consola, ci ricollega alle nostre radici, ci fa sentire "a casa" anche se quella casa è solo uno schermo illuminato.
Il comfort della ripetitività
Poi c’è la questione del comfort. In un mondo imprevedibile, i film natalizi rappresentano un rifugio ovattato di banalità e cliché - nel senso più positivo del termine. Anche quando sono inediti, hanno trame che si possono indovinare già dal trailer: non importa se i personaggi si incontrano a un mercatino, in un hotel di montagna o durante una tempesta di neve, l’esito è sempre lo stesso, e questo ci rassicura. È il trionfo della formula contro l’incertezza del reale. E se i grandi classici - come Love Actually, L’amore non va in vacanza o Una poltrona per due - incarnano la nostalgia "autentica", oggi l’industria dello streaming ha portato la formula all’estremo. Ogni dicembre, le piattaforme sfornano decine di film intercambiabili con titoli che si somigliano, da Un principe per Natale a Falling for Christmas (quello con Lindsay Lohan, se serve rinfrescare la memoria). Sono film scritti con lo stampino, ma proprio per questo irresistibili: come biscotti industriali, perfetti nella forma e privi di sorprese, impossibili da non sgranocchiare.
Il mere exposure effect: che cos’è
In questa passione (o ossessione) per i film natalizi esiste anche un aspetto rituale, quasi antropologico. Guardare ogni anno lo stesso film - o la sua copia aggiornata - crea un senso di continuità. In psicologia si parla di mere exposure effect: più qualcosa ci è familiare, più lo troviamo piacevole. È la stessa logica per cui ci ritroviamo ad ascoltare sempre la stessa musica, o a scegliere sempre lo stesso piatto al ristorante. Nel guardare questi film, in fondo, stiamo mettendo ordine nel caos: un piccolo rito domestico, una parentesi di stabilità. E sì, la scienza conferma che fanno bene: guardare film di Natale può ridurre lo stress, stimolare la dopamina e migliorare l’umore. Non a caso, li cerchiamo proprio nei mesi più bui, quando la luce cala e l’energia anche.
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Uno spazio sempre più rappresentativo
E se i film di Natale sembrano tutti uguali, in realtà qualcosa è cambiato. Proprio Hallmark, regina delle trame intercambiabili e dei baci sotto la neve (mai qualcosa di più, sia chiaro!), negli ultimi anni ha mostrato una particolare attenzione alla diversità del proprio pubblico, includendo storie con coppie LGBTQ+ o coppie miste. Una rivoluzione silenziosa, che trasforma la comfort zone natalizia in uno spazio finalmente più rappresentativo, pur restando fedele ai suoi cliché più rassicuranti.
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Un atto di speranza collettiva
In fondo, la nostra ossessione per i film di Natale non parla tanto di cinema quanto di noi. Della nostra voglia di semplicità, di lieti fine garantiti, di credere - almeno per due ore - che il mondo sia un posto più gentile. Forse è kitsch, forse è ingenuo. Ma è anche, paradossalmente, un piccolo atto di speranza collettiva. Perché non siamo ossessionati dai film di Natale, ma da ciò che rappresentano: stabilità, calore, la possibilità che - da qualche parte - tutto torni al proprio posto. E se per crederci serve l’ennesimo rewatch de L’amore non va in vacanza (o il terzo capitolo di Nei panni di una principessa), va bene così.























































