withGiulia Torelli
Se non si riesce a fare le cose bene tanto vale ritirarsi
Il teatro è un luogo senza dubbio evocativo, che richiama un tipo di spettacolo per definizione antico, nato in un tempo lontano, ma non per questo meno bello ed emozionante. È fatto di forme stabilite, di blocchi rigidi, di costumi e intonazioni che è difficile considerare contemporanei. Forse anche per questo, il teatro di oggi, con la sua decostruzione, la sua fluidità e il suo apparente caos, è un mistero per molti. Non per Giulia Torelli, che ai palcoscenici è abituata. Anche se sono quelli dei social network e dei blog, quelli virtuali che l’hanno accolta come uno dei personaggi più seguiti della sfera social nostrana. Palcoscenici fatti di microfoni, sì, ma da podcast. E in effetti di podcast (il suo si intitola Non ho mai, è prodotto da OnePodcast e lo conduce insieme a Claudio Pavese, in arte Cleves) parliamo quando la incontriamo - e non è un caso - al Teatro Carcano, a Milano.
Non ho mai, di cui il 2 aprile è partita la seconda stagione e che si può ascoltare su OnePodcast e su tutte le principali piattaforme, si basa su aneddoti divertenti, intimi, inaspettati, a metà tra il serio e il faceto. Difficile fare una classifica dei migliori, ma Giulia Torelli se li ricorda quasi tutti: “L’aneddoto più sorprendente forse è quello in cui Claudio mi ha svelato, in diretta, che si è vendicato di una ragazza. Molto divertente anche quello in cui ho raccontato che mio padre è andato per sbaglio in un motel pensando fosse un hotel, il M Hotel. La puntata più sorprendente in assoluto, però, è quella sulle cose che faremmo per soldi. Quella è davvero bella”. L’episodio preferito, quello che consiglierebbe a chi non ha mai ascoltato il format, si intitola Brutte persone.
“Sorprendente” è un aggettivo che ritorna spesso, e non potrebbe essere altrimenti. Il format trova la sua forza nella spontaneità. “Non mi autocensuro quasi mai”, ci conferma Giulia. “Nel podcast parliamo di cose abbastanza pruriginose, ma è raro che io mi censure quando si tratta di vita lavorativa”. Fa poi un’importante distinzione: “Per quanto riguarda la vita privata, invece, mi sforzo un po’ di più, soprattutto rispetto al passato. Mi autocensuro su famiglia e amici che non vogliono apparire sui miei canali, e sulla vita affettiva e amorosa. Stop”.
Questo lavoro nel mantenere una comunicazione il più naturale e autentica possibile, secondo Giulia, paga: “Tante cose vengono travisate, per colpa del mezzo e perché è impossibile essere autentici al 100%, dire quello che diresti ai tuoi amici a cena. Ma è normale che sia così, anche perché dall’altra parte non sai chi c’è: qualcuno che ti conosce, che non ti capisce, che ha un’ironia diversa”. Nonostante tutto: “Per me l’autenticità è un valore importantissimo. Però non è detto che lo sia per tutti, e va bene così. Ci sta che ci sia un pubblico che vuole vederla e uno che invece vuole vedere vite più edulcorate, più fiori e confetti. È giusto che ognuno scelga cosa guardare e come essere intrattenuto”. A proposito di autenticità, Giulia Torelli non si fa problemi a rispondere a una domanda un po’ spinosa. Le chiediamo, infatti, cosa chiederebbe alle colleghe in un ipotetico episodio di Non ho mai dedicato al mestiere del content creator. “Chiederei: ‘Non ho mai fatto un lavoro che poi si è rivelato sbagliato per me’, perché almeno una volta è capitato a tutte. Magari ti hanno fatto fare qualcosa che non ti aspettavi, o magari il brand ti piaceva e il prodotto no. Però nessuno lo direbbe mai, quindi è impossibile”.
Al suo fianco, come già accennato, c’è Claudio Pavese. La loro collaborazione nasce quasi per caso, a Radio LatteMiele, e in effetti l’idea del podcast è stata sua. “Mi avevano chiamata per condurre un programma e mi hanno affiancata a Claudio, che faceva lo speaker da anni. Siamo diventati amici”, racconta. “Quando si è spostato in un’altra radio e il nostro programma si è interrotto, mi ha proposto di fare un podcast. E io gli ho risposto: ‘Sì sì, poi ci pensiamo’. Invece lui ha perseverato, e alla fine ce l’abbiamo fatta. Mi trovo molto bene con lui, siamo molto diversi, abbiamo un senso dell’umorismo diverso. Lui ha dieci anni meno di me, ma ci incastriamo bene. Siamo un bel team”.
Il podcast, per Giulia, è solo l’ennesimo palcoscenico. Prima c’era il blog, poi Snapchat e Instagram. La sua figura cresce e si evolve da anni, e con lei anche ciò che la circonda. “I social non sono cambiati tantissimo, secondo me. Quello che è cambiato è il pubblico, e sono cambiati i creator. Io ho cercato di adattarmi, un po’ con i contenuti, un po’ con la mia personalità. Ho cercato di seguire ciò che funziona, aprire nuovi canali, chiuderne altri, fare contenuti in linea con il momento. All’inizio mi sembrava di parlare a venti persone, ed era anche così. Adesso il pubblico è aumentato, le persone sono cambiate. Bisogna rimodularsi, stare attenti. Io, ad esempio, mi sono ammorbidita, autocensurata. Questo lavoro tira fuori il peggio di me”, conclude, ma sorride. “Perché non è semplice, no? Ogni anno c’è un’idea nuova, voglio fare qualcosa di nuovo. L’importante è non diventare cringe. Finché non sono cringe, vado avanti”.
Impossibile non chiederle cosa voglia dire, per lei, essere cringe. Non ha dubbi: “Vuol dire che nemmeno io riesco a guardarmi, che guardo i miei contenuti e penso: non ci siamo. I tempi vanno avanti, ci sono nuovi creator più giovani e più freschi, il pubblico vuole cose diverse, e non sempre si riesce ad accontentare tutti. Secondo me, se non si riesce a fare le cose bene, tanto vale ritirarsi”.