withGreta Ferro
Spero di riuscire a fare arrivare un messaggio a qualcuno per più tempo possibile
Greta Ferro è una donna di una bellezza e di un talento folgoranti. Può sembrare superficiale iniziare un’intervista in questo modo, ma fidatevi di noi. Perché la bellezza di Greta è una di quelle che esce dagli occhi, si riversa in tutto ciò che dice e fa, nel modo in cui muove le mani e il capo. Una bellezza che parte da dentro, va verso fuori e ritorna. Ce ne rendiamo conto durante un incontro in una giornata tipicamente milanese – grigia e piovosa, ma anche luminosa – sedute su una sedia di design, in un ambiente altrettanto di design.
La nostra chiacchierata si concentra su Il Turco, il suo ultimo progetto. Una produzione internazionale al fianco di Can Yaman, ambientata nel 1683. La serie racconta la storia di un giannizzero gravemente ferito che, dopo una sconfitta, giunge a Moena e viene salvato da una strega: Gloria. Un personaggio complesso e sfaccettato – guaritrice, interesse romantico, donna fieramente indipendente – a cui Greta presta il volto e l’anima. “Non so quale aspetto di Gloria mi abbia attratta di più. È l’insieme delle sue caratteristiche a renderla speciale. Forse, alla fine, la sua indipendenza. A quei tempi non era affatto scontato che una donna potesse vivere da sola. Lei lavora, essere una guaritrice è il suo mestiere. Questo mi ha colpita: vive sola, su una collina fuori dal villaggio.”
Un personaggio antico, in una storia altrettanto antica, ma al tempo stesso sorprendentemente attuale, che ha ancora molto da dire. “Uno dei temi centrali della serie è la diversità come ricchezza. Baldan e Gloria vengono da mondi e culture distanti. Il primo impatto è duro, crudo, quasi violento, fatto di scherno e diffidenza. Ma alla fine, sono le emozioni umane a legarci agli altri, e quelle sono universali.”
La produzione è internazionale, colossale. E la recitazione è in inglese. “Ho la fortuna di parlare inglese molto bene”, ci racconta quando le chiediamo cosa ha provato a lanciarsi in un’esperienza così nuova. “All’inizio, le prime settimane, è stato necessario entrare in un mindset diverso. Sul set si parlava inglese, turco, ungherese, italiano... era complesso da un punto di vista linguistico. È stata una sfida, era la prima volta che giravo un progetto internazionale.” E non è tutto: “È anche la produzione più grande in cui abbia mai lavorato”, aggiunge. “Le ambientazioni erano impressionanti. Abbiamo girato nei boschi; la casa di Gloria era stata costruita appositamente per il mio personaggio. Ci avrei vissuto dentro al 100%: era bellissima, ricca di dettagli meravigliosi”, dice sorridendo. “Il lavoro di scenografia è stato incredibile. Le fortezze erano veri e propri paesi costruiti in legno, riadattati da progetto a progetto. Ti ritrovi a vivere in un villaggio quasi medievale, a camminare nel fango, a viverci. Abbiamo trascorso sei mesi a Budapest, durante l’inverno.” Le chiediamo cosa si sia portata a casa da questa esperienza. “Con tutti gli attori sul set si è creato un bellissimo rapporto, di amicizia. Alcuni li sento quasi tutti i giorni. C’è stata molta collaborazione, molto scambio, aiuto, feedback, prove collettive anche divertenti. Un film, una serie TV, sono progetti corali: tutti fanno la propria parte per renderli possibili. La collaborazione su questo set è stata speciale.”
Sul set, Greta ha portato con sé tutto il suo bagaglio personale e formativo, incluso il metodo Strasberg e la tecnica Meisner. “Una volta assimilati, questi metodi li usi sempre, in contesti diversi, continuamente. Della tecnica Meisner, che si basa sull’ascolto e la ripetizione, ho notato quanto faccia bene il contatto con gli altri attori. Rende tutto più autentico, perché stai davvero ascoltando quello che dici, non è solo un copione memorizzato, ma una reazione emotiva e fisica all’altro. In una scena in particolare, un mio ricordo doloroso mi ha aiutata a interpretarla. La recitazione non è terapia, ma i ricordi, una volta elaborati, possono essere utili. E in quel momento avevo bisogno di qualcosa di molto potente."
Il riferimento alla terapia ci porta a una riflessione sul percorso interiore di Greta, sulla sua crescita personale e consapevolezza emotiva. “Per fare questo lavoro devi essere il più libero possibile” ci conferma, con grande serietà. “Tutti partiamo con dei blocchi, ma quei blocchi non ti permettono di dare al personaggio tutto ciò di cui ha bisogno. Per liberarsene, per stare bene, serve consapevolezza. Nel mio caso, ho fatto un percorso di psicoterapia – né lungo né breve – necessario per conoscermi meglio, per liberarmi da dolori e vivere con maggiore serenità. Secondo me, tutto è collegato.”
Oltre alla recitazione, Greta Ferro ha una carriera anche nel mondo della moda. “La moda ha una leggerezza che la recitazione non ti dà, richiede un tipo di impegno molto diverso. Ma entrambe ti permettono di giocare con il tuo personaggio, di divertirti nel creare qualcosa.” E torna al concetto già espresso: “La recitazione, però, richiede uno sforzo anche emotivo, una profonda conoscenza di sé.”
In chiusura, le chiediamo cosa direbbe alla sé bambina dopo un progetto così importante e cosa si augura per il futuro. Ride mentre ricorda: “Da piccola sognavo di ritirare un premio. Mi mettevo davanti allo specchio a ringraziare il pubblico, la mia famiglia. Pensavo fosse un Nobel… ma in realtà sognavo l’Oscar. Alla me bambina direi che il suo percorso – anche le sofferenze – sono servite a renderla la persona che è oggi.” E sul futuro non ha dubbi: “Spero ci sia tanto lavoro. Spero di poterlo fare a lungo, il più possibile. Di esplorare tanti personaggi, tanti progetti. La cosa più bella è quando, una volta girato, un progetto porta un messaggio. Tornando a Gloria: se il personaggio è piaciuto, è perché ha forza ma anche sensibilità. E io sono felice se quel messaggio è arrivato – a donne, bambine, a chiunque l’abbia accolto. Spero di riuscire a far arrivare qualcosa ancora per molto tempo.”