Architettura inclusiva e femminista: si può? Empatia, accessibilità e cura come principi del progetto architettonico e urbano

Ripensare gli spazi in un’ottica inclusiva e femminista è un cambio di prospettiva profondo che riguarda il modo in cui scegliamo di vivere insieme. Significa, soprattutto, riconoscere che lo spazio non è mai neutro e che edifici e infrastrutture plasmano comportamenti, relazioni, possibilità e limiti della vita quotidiana. Parlare di architettura femminista non vuol dire applicare un’etichetta ideologica ai progetti, ma prendere atto di un dato di realtà: per troppo tempo lo spazio è stato pensato da pochi e per pochi, ignorando bisogni e paure di una parte consistente della popolazione.

L'architettura femminista è importante perché lo spazio non è neutro

Per decenni architettura e urbanistica sono state costruite attorno a un soggetto considerato standard: adulto, abile, maschio, economicamente produttivo, senza carichi di cura. Tutto ciò che si discostava da questo modello, come donne, bambini, persone anziane, persone con disabilità, caregiver, è stato trattato come un’eccezione, qualcosa da adattare in un secondo momento. Questo approccio ha prodotto città apparentemente funzionali, ma spesso ostili nella pratica: marciapiedi stretti o dissestati, sottopassi bui, stazioni isolate, quartieri dormitorio senza servizi di prossimità. Spazi che, pur essendo formalmente pubblici, risultano di fatto inaccessibili o respingenti per molte persone. Un’architettura femminista, o meglio transfemminista, ribalta questa impostazione: non progetta per un corpo ideale, ma per corpi reali. Parte dall’esperienza quotidiana e dalle disuguaglianze che attraversano lo spazio urbano.

@poli.her.o Le #donne occupano spazi è la #tesi con cui Adele @analog_adel si è laureata al #Polimi. Un giro per #Milano diventa una rilettura di #genere della #città #urbabistica #gendergap #genderequality #laurea #architettura #feminismo LA DOLCE VITA - Fedez & Tananai & Mara Sattei

L'empatia come strumento progettuale

Architettura empatica significa progettare mettendosi nei panni di chi attraverserà quello spazio. Non solo attraverso dati e standard tecnici, ma ascoltando racconti, abitudini, paure e desideri. Un esempio semplice ma emblematico è l’illuminazione pubblica. Una strada ben illuminata non è solo una questione di decoro o risparmio energetico: è una questione di libertà. La possibilità di tornare a casa a piedi la sera senza ansia cambia radicalmente il rapporto con la città, soprattutto per le donne e per le comunità marginalizzate. Allo stesso modo, una fermata dei mezzi pubblici visibile, aperta, attraversata da flussi diversi e non isolata diventa uno spazio che riduce la vulnerabilità. L’empatia, in questo senso, non è un concetto astratto, ma un criterio progettuale concreto.

@thersaorg What if your city wasn’t designed with you in mind? For most women and non-binary people, it wasn’t. But in Glasgow, that’s starting to change. Read more on RSAJournal+ #RSAJournal #FeministUrbanism #CityPlanning #Glasgow #Architecture #InclusiveDesign original sound - theRSAorg

La città vista da chi si prende cura

Un altro punto centrale dell’architettura femminista riguarda il lavoro di cura. Ancora oggi, in maniera sproporzionata, sono le donne a occuparsi di bambini e persone anziane. Questo si traduce in spostamenti complessi, frammentati e non lineari. Le città, però, continuano a essere progettate secondo lo schema casa-lavoro, ignorando questa realtà. Un’urbanistica empatica e femminista si chiede invece:

  • i servizi essenziali sono raggiungibili a piedi o con mezzi pubblici?
  • gli spazi sono accessibili con passeggini, carrozzine, borse della spesa?
  • esistono panchine, bagni pubblici, luoghi di sosta e riposo?

Rispondere a queste domande non migliora solo la vita delle donne, ma rende la città più vivibile per tutte e tutti.

Sicurezza percepita e sicurezza reale

Il tema della sicurezza è spesso affrontato in modo riduttivo, come se coincidesse esclusivamente con controllo e presenza delle forze dell’ordine. L’architettura empatica propone una visione diversa. La sicurezza nasce anche e soprattutto dalla qualità dello spazio pubblico. Spazi curati, vissuti, attraversati da funzioni diverse in orari diversi riducono il rischio di violenza e isolamento. Visibilità, illuminazione, mix funzionale e manutenzione costante sono strumenti potenti quanto qualsiasi telecamera. È il contrario di militarizzare la città, ma significa renderla abitata e condivisa.

@studio.null What Would a Real Feminist City Look Like? #books #booktok #feminism #urbandesign#city #barbie original sound - Studio Null

Accessibilità come principio, non come aggiunta

In un’ottica femminista, l’accessibilità non è un optional né una concessione finale. È un principio fondante del progetto. Questo significa superare la logica delle soluzioni speciali per pochi e costruire spazi inclusivi che funzionino per il maggior numero possibile di persone. Rampe, ascensori funzionanti, segnaletica chiara, percorsi intuitivi non sono elementi di lusso: sono strumenti di equità. Parlare di architettura femminista significa anche interrogarsi sui processi decisionali. Chi decide come sarà una piazza o una strada? Chi viene ascoltato e chi no? Coinvolgere cittadine e cittadini, associazioni, comitati e le persone che vivono quotidianamente quei luoghi è parte integrante di un approccio empatico. La partecipazione non è un rallentamento, ma un investimento sulla qualità del progetto.

Dal margine al centro

L’architettura empatica e femminista porta al centro ciò che per troppo tempo è stato marginale: esperienza quotidiana, vulnerabilità, cura, tempo lento. Non propone città per donne, ma città progettate meglio. È una risposta concreta alle disuguaglianze urbane, perché cambia le domande prima ancora delle soluzioni. Tutto ciò richiede volontà politica e il coraggio di mettere in discussione modelli consolidati. È una necessità.