Caterina Fantetti: "L'intersezionalità ci porta a mettere al centro chi solitamente sta al margine" Intervista alla creativa e socia fondatrice di donnexstrada su femminismo e intersezionalità
Caterina Fantetti è tante cose. A soli 28 anni è infatti criminologa, socia fondatrice di donnexstrada, scrittrice e creativa di Santomanifesto. Nel contesto di una partnership media con Orgoglio di Porta Venezia, abbiamo scambiato due chiacchiere con lei. I temi portanti sono stati quelli della rappresentazione, del femminismo e dell'intersezionalità, tutti temi su cui Caterina si interroga in tutte le sfaccettature del suo impegno e del suo lavoro. La nostra intervista è zeppa di spunti e di scambi, tutta da leggere e da ascoltare, per questo ve la presentiamo così com'è, trascritta, con il minor numero di alterazioni possibili.
Intervista a Caterina Fantetti, creativa e socia fondatrice di Donnexstrada
Il lavoro di donnexstrada è un esempio concreto di come il femminismo possa trasformarsi in supporto pratico. Cosa rende unico questo progetto secondo te?
Donnexstrada è un'associazione contro la violenza di genere per la sicurezza in strada e rispecchia una forma di femminismo pratico e accessibile. Noi fin dagli inizi abbiamo provato a offrire degli strumenti concreti e accessibili. Penso sia proprio questa la nostra unicità.
In che modo state cercando di rendere le donne per strada più accessibile anche a persone con background migratorio, disabilità o identità LGBTQIA+?
Parlare di sicurezza senza parlare di accessibilità e inclusività, ad oggi, è paragonabile a dire di voler costruire un castello ma poi farlo di sabbia. Dunque, per far sì che si arrivi a un mondo, a una cultura, insomma uno stato civile quanto più sicuro possibile, è necessario che prima sia inclusivo e soprattutto accessibile. Ad oggi donnexstrada ha divulgato il materiale informativo in altre lingue, oltre che in italiano. Collabora attivamente con diversi collettivi impegnati nella tutela dei diritti LGBTQIA+ e inoltre stiamo provando a capire come poter rendere anche il nostro materiale e le nostre piattaforme digitali ancora più accessibili.
Come definiresti il femminismo intersezionale oggi nel contesto italiano? Quali sono per te i suoi cardini fondamentali?
Il femminismo intersezionale è un approccio politico e sociale in cui si nota come le oppressioni non agiscono in maniera isolata, ma sono interconnesse. Per esempio, quando abbiamo a che fare con dei casi di violenza di genere, è spesso visibile che c'è una connessione alla razza, alla sessualità, all'orientamento sessuale, alla disabilità di un'altra persona. Dunque diciamo che i cardini del femminismo intersezionale sono le interconnessioni tra le oppressioni, l'inclusività e la solidarietà.
Nel contesto di donnexstrada, come si fa ad applicare davvero un approccio intersezionale e non solo dichiararlo. Che sfide comporta secondo te?
L'intersezionalità è paragonabile ad una lente di ingrandimento attraverso la quale riusciamo a vedere chi è meno al sicuro. Applicare poi l'intersezione significa chiederci continuamente a chi arriviamo, a chi non arriviamo soprattutto e perché non arriviamo. A quel punto non si tratta di fare di fare di più di quello che stiamo facendo, ma in realtà di fare diversamente. Dunque diciamo che l'intersezionalità ci porta a mettere al centro chi solitamente sta al margine.
Quanto è importante, secondo te, che chi si occupa di attivismo femminista intersezionale tenga anche conto di classe, razzializzazione e neuro divergenze?
Un femminismo che non tiene conto di di classe, razza e neurodivergenze è un femminismo che parla solo ad una parte di noi, dunque diciamo che è piuttosto fondamentale. Anche perché se non si tenesse conto di razza, classe e neuro divergenze il femminismo correrebbe il rischio di essere un movimento, anziché emancipatorio, escludente.
Cosa significa per te fare attivismo nel 2025 in una società dove diciamo il backlash patriarcale sembra sempre più visibile anche nei media mainstream? Come lo applichi al tuo lavoro creativo e vuoi raccontarci qualcosa in proposito?
Fare attivismo nel 2025 penso che sia semplicemente un avere a che fare tutti i giorni con una realtà molto complessa e soprattutto molto sfidante. Fare attivismo nel 2025 non è la risposta ad un problema, bensì è una pratica quotidiana di resistenza che ci auguriamo possa portare a una grande trasformazione. Dall'attivismo nasce un altro fortissimo movimento che è l'attivismo creativo. L'attivismo creativo è una forma potentissima di informare, sensibilizzare e soprattutto di mobilitare coscienze. E io nel mio personale, attraverso la mia scrittura, le mie poesie, il mio lavoro grafico, presta molta attenzione alla scelta di parole, alla scelta di immagini e che mi auguro possano portare alla creazione di uno spazio di riflessione. Infine, mi auguro sempre sinceramente che in questo spazio di riflessione non ci sia spazio per alcun tipo di oppressione.
Cosa sogni per il futuro di donne per strada e per il femminismo intersezionale in Italia e anche per la tua creatività?
Con donnexstrada e per il femminismo intersezionale senz'altro mi auguro una crescita. Mi auguro di riuscire ad ampliare l'impatto sociale e l'informazione. E per la mia creatività, mi auguro di riuscire sempre a trovare lo spazio e il modo di esistere.
Come rispondi a chi dice che il femminismo in Italia ha già ottenuto abbastanza?
Il femminismo non ha ottenuto abbastanza. Se avesse ottenuto abbastanza probabilmente non ci sarebbe ancora tutto questo lavoro da fare. Mi viene da dire che il femminismo che lotta per ogni tipo di soggettività, per tanti non ha neanche raggiunto l'essenziale. Finché l'autonomia non sarà garantita, finché la sicurezza e la libertà non saranno reali e soprattutto non saranno di tutti allora non sarà abbastanza.
Se potessi cambiare una sola cosa nel dibattito pubblico italiano legato al genere, quale sarebbe?
La prima cosa che vorrei cambiare è la narrazione sulla violenza di genere, che deve passare da un fatto emergenziale e individuale a un problema sistematico e soprattutto culturale. Diciamo che finché tratteremo ogni caso di femminicidio come un dramma passionale, ogni abuso e ogni molestia come un errore isolato non staremo mai davvero affrontando nulla. E questo lo dico perché credo fermamente che spostare la responsabilità dalla vittima a un sistema e a una cultura penso sinceramente che possa essere uno dei primi passi per cambiare le cose.