
I regali di Natale 2025 che in segreto vorremmo ricevere Una lettera sincera a Babbo Natale
Caro Babbo Natale, quest’anno sono stata abbastanza buona, o almeno ci ho provato. Ho lavorato come un mulo, ho ascoltato gli sfoghi di mezzo mondo, ho coccolato il cane come se fosse l’ultimo cucciolo della Terra, e ho sorriso anche a chi sinceramente avrei preferito ignorare. E tutto questo mentre cercavo di non crollare sotto bollette, precarietà, notizie-catastrofe e un futuro globale che sembra scritto da uno sceneggiatore in sciopero. Quindi sì, mi merito un regalo. Magari anche due. Magari tre. La pace nel mondo sarebbe ottima, per carità. Ma nell’attesa, se volessi lasciarmi un bel pacchetto sotto l’albero… non mi offenderei. Libri, vinili, cinnamon rolls quotidiani, caramelle Haribo, un Chevalier minimal per il mignolo, una borsa no logo, skincare che funzioni davvero e non costi come un rene, e magari, già che ci siamo, un attico a Barcellona per ricominciare la vita da zero. E poi tutti quei regali che non diciamo di volere perché non suonano cool. Ma cool rispetto a cosa, esattamente? Io per Natale vorrei mani e piedi caldi, un pigiama da uomo gigante in cui vivere, ciabatte che sembrano hamburger imbottiti, portachiavi essenziale, un giradischi serio, un materasso degno di una persona che ambisce a dormire più di tre ore, un tè buono e ovviamente qualcosa per il cane, che nella mia vita è l’unico amore coerente.
Il 2025 ci ha sbloccati: basta regali finto-cool
La verità? Non ci interessa più apparire perfette. Non ci interessa la pulizia estetica da “camera sempre in ordine”, la pelle glassata 24/7 e la vita minimalista in cui ogni oggetto ha un senso spirituale. Vogliamo cose che ci rendano la vita più morbida. Più comoda. Più nostra. Se mi regali un paio di guanti riscaldati che non siano orribili, ti dico grazie con le lacrime agli occhi. Magari aggiungi anche dei calzini statement. Se mi regali un plaid gigante che sembra disegnato da una nonna ricca e pazza, lo considero couture. Se mi regali un libro di un autore che amo davvero, anche se non è tra i best seller e non grida performative male (o, nel mio caso, female), ti abbraccio. Se mi prepari (ma va bene anche se la compri) la mia cena preferita, mi stai cambiando la giornata. O, almeno, l’umore. Perché il lusso oggi è stare bene.
L’utilità, ma chic e spietatamente sincera
Sì ai regali utili, ma belli, morbidi, con un design che non mi faccia sembrare una persona che ha rinunciato alla vita. Non vogliamo oggetti “da adulti responsabili”. Vogliamo oggetti che siano pratici e, allo stesso tempo, dicano chi siamo. Un materasso premium? È self-love. Un pigiama maschile da portare fuori casa con rossetto rosso e cappotto gigante? È quasi dichiarazione politica. Tazze, vassoi, piatti colorati? Una boccata d’aria fresca. Un bel pezzo di underwear? Non si rifiuta mai. E, poi, chi non ha bisogno di lacci, mollette e accessori per i capelli?
La tecnologia che semplifica, non che complica
Non mi regalare una cosa con 18 app collegate, 12 aggiornamenti obbligatori e un manuale che sembra la tesi di un ingegnere svedese in burnout. Voglio tech che non mi giudica, che non pretende di ottimizzare la mia vita mentre mi fa perdere un’ora a impostare la password perfetta con tre emoji, un accento circonflesso e il sangue di una vergine. Voglio oggetti semplici, che fanno quello che devono. Tipo un buon giradischi. Magari accompagnato da qualche vinile dei miei artisti preferiti. E, già che ci siamo, un paio di cuffie che suonano bene, piene, rotonde, ma che non mi facciano male alle orecchie dopo venti minuti. Un bollitore smart, sì, ma non troppo smart. Un aggeggio che pulisca casa al posto mio? Sì, grazie. Uno che cucina al posto mio? Ancora meglio. E poi un tracker per ritrovare le chiavi, perché io ormai non ritrovo neanche più me stessa. E se, proprio non puoi, incartami almeno un bel portachiavi.
La cura di sé, quella vera
La cura di sé patinata, che sembra uscita da un tutorial con musica ambient in sottofondo e una clean girl finto spirituale che beve acqua tiepida al limone alle 6 del mattino e ha sempre due orchidee vive e fiorite sul tavolo (come se fosse possibile tenerle in vita davvero)? No, grazie. La self-care da esposizione non mi interessa. Per favore, regalami prodotti che funzionano davvero e non solo perché hanno un packaging minimalista degno di un museo. Fammi trovare sotto l’albero creme che mi salvano la pelle quando sono stressata, non di gel traslucidi che promettono “luminosità eterea” mentre nella vita reale ho tre brufoli da stress, un sonno disordinato e una call tra cinque minuti. La vera self-care non mi giudica se mi strucco con pigrizia, non mi impone dieci step coreani, non mi obbliga a bere matcha ogni volta che voglio solo un caffè forte come un pugno nello stomaco. È indulgente, sensuale, imperfetta. È la crema barriera che metto quando sento la pelle stanca, il balsamo labbra che sa leggermente di vaniglia, il bagno caldo che faccio anche se non è “ecologico” al 100%. E, soprattutto, la cura di sé vera comprende anche il cane che dorme sulle mie gambe, la coperta pesante che mi schiaccia dolcemente sul divano, il tè buono che profuma di legno e spezie. Non deve essere fotogenica, deve essere curativa. Non deve essere trendy, deve essere mia.
E quindi, caro Babbo Natale…
Insomma, Babbo Natale, non ti sto chiedendo l’impossibile. O forse sì, ma almeno te lo chiedo con onestà. Non voglio più regali da mettere in mostra per far credere al mondo che ho capito come si vive. Voglio cose che mi fanno respirare meglio, dormire più a lungo, sentire più morbida la vita anche quando è ruvida come carta vetrata. Regalami tutto ciò che è caldo, utile, bello, imperfetto, morbido, pratico, scintillante. Regalami oggetti che parlano la mia lingua e non quella della tendenza del momento. Regalami magia quotidiana e quella piccola dose di lusso che non serve mostrarla per farla valere. E sì, lo so che il mondo lì fuori brucia, implode, si incasina sempre un po’ di più. Ma proprio per questo ho (e forse abbiamo tutti) bisogno di queste piccole cose per ricordarmi che sono ancora qui, che mi merito un po’ di dolcezza, che sono più resistente di quanto credo.





































































