In difesa degli spoiler: il piacere di sapere prima Perché scoprire cosa succederà in un film o in una serie tv non rovina la nostra esperienza di spettatori

Il mondo si divide in due macro gruppi: chi vuole sapere e chi gode nell’ignoranza preferendo lasciarsi stupire dagli avvenimenti. Voi da che parte state? Io sono del partito dei curiosi. Degli impazienti, dei compulsivi cliccatori di trame su Wikipedia, dei maniaci del spoiler explained prima ancora che la puntata sia finita. Sono quella che legge l’ultima frase del libro quando è ancora alla seconda pagina. Quella che cerca su Google "muore o non muore?" perché non ce la fa ad aspettare il verdetto della sceneggiatura. Voglio sapere cosa accadrà, se Hub Halloran riuscirà a fregare il diavolo e quando tutti si accorgeranno che Lady Whistledown è in realtà Penelope Featherington. Non lo faccio perché voglio rovinarmi la sorpresa, ma perché voglio sapere dove sto andando. Perché mi piace entrare in una storia con la mappa già tracciata. Non è noia, è desiderio di immersione consapevole. Lo spoiler, per me, non è una distrazione. È un’ancora. Un faro. Una guida per godermi meglio tutto il resto. E non me ne vergogno. In un’epoca in cui lo spoiler alert è diventato un totem sacro, ci avviciniamo a ogni nuova uscita come se dovessimo attraversare un campo minato di social, titoli clickbait e messaggi vocali traditori. Siamo sicuri che lo spoiler sia davvero il male assoluto dell’esperienza narrativa?

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Spoiler: rovina o rivelazione?

Nel 2011 un gruppo di ricercatori dell’Università della California pubblicò uno studio che ribaltò tutto ciò che pensavamo di sapere sull’effetto degli spoiler. Si scoprì che conoscere il finale di una storia non diminuisce il piacere della lettura. Al contrario: lo aumenta. Le persone che avevano ricevuto uno spoiler prima di leggere un racconto riportavano un’esperienza di lettura più soddisfacente. Più ricca, più profonda, più appagante. Il motivo? Uno è quello che in psicologia si chiama fluidità percettiva. In sostanza, quando sappiamo già cosa accadrà, la nostra mente lavora meno per decodificare la narrazione e più per gustarla. Come quando si rivede un film per la seconda volta: i colpi di scena non sorprendono più, ma improvvisamente notiamo i dettagli. I silenzi, le espressioni, le battute nascoste. C’è meno ansia e più attenzione. Meno corsa e più presenza. L’effetto sorpresa lascia il posto all’effetto contemplazione. Lo spoiler non è un nemico della narrazione, è un suo potenziatore. È come passare da turista disorientato a viaggiatore esperto: sai dove andare, quindi ti godi meglio il paesaggio. Pensateci: la maggior parte dei grandi classici li conosciamo già prima di iniziare. Nessuno si aspetta un colpo di scena quando rilegge Orgoglio e Pregiudizio o si perde tra le pagine de Il grande Gatsby. Eppure li amiamo lo stesso, forse di più. Perché sappiamo dove stiamo andando, e proprio per questo possiamo abbandonarci alla bellezza del percorso.

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L’ansia dell’incertezza

Per alcuni, l’ignoto non è stimolante. È snervante. È un tarlo che scava e inquieta. A me capita spesso: mi innamoro di una serie e la divoro, ma poi arrivo a un punto critico, un cliffhanger, un personaggio in bilico... e ho bisogno di sapere. Non posso aspettare la prossima puntata e men che meno la prossima stagione. Non posso vivere nel limbo. Scoprire se Joe Goldberg troverà l’ennesima scappatoia per reinventarsi o finirà in galera per sempre prima che le scene sullo schermo me lo svelino è un’esigenza quasi viscerale. Sapere cosa succede mi toglie il peso dell’ansia e mi aiuta a godermi davvero la storia. Ad analizzare i personaggi, notare i dettagli, prevedere le motivazioni. È un’esperienza attiva, quasi partecipativa, ma è anche una forma di autoregolazione emotiva. Se scopro che Marissa Cooper in The O.C. morirà in un tragico incidente stradale, posso preparare i fazzoletti e avere un certo distacco. Se so che John Wick alla fine riuscirà a vendicare l’assassinio della sua cucciola, mi rilasso. Così, lo spoiler mi toglie la tensione, la rende sostenibile. Perché sapere è un sollievo. È come sbirciare sotto al letto per controllare che non ci sia nessun mostro: non uccide la magia, uccide la paura. E fa fare bei sogni.

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Ma non perdiamo la sorpresa?

Sì. E allora? Siamo sicuri che la sorpresa sia così importante? O meglio: siamo sicuri che sia l’unica emozione che valga la pena provare? Viviamo in un’epoca dominata dal culto del colpo di scena. Ogni serie deve avere un twist, ogni film un finale “che non ti aspetti”. È come se ci fosse una pressione continua a restare scioccati. Ma lo shock, da solo, non basta. Lo stupore è un’emozione fragile: dura un secondo, poi svanisce. La profondità, invece, resta. E lo spoiler può paradossalmente favorirla. Quando sappiamo cosa succederà, ci concentriamo su come accade. Sul percorso, non solo sulla meta. È come rivedere Fight Club dopo aver scoperto il finale: non perdi l’interesse, lo moltiplichi. Perché tutto, retroattivamente, acquista senso. La narrazione si arricchisce. Lo spoiler non è un ladro di emozioni. È un attivatore di letture multiple. È il ponte tra la sorpresa e la riflessione. Tra il consumo veloce e la comprensione duratura.

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Lo spoiler come forma di controllo

C’è un altro aspetto che raramente viene detto ad alta voce: spoilerarsi qualcosa è anche una forma di controllo. In un mondo che ci sfugge da ogni angolo tra algoritmi, breaking news, crisi esistenziali e aggiornamenti in tempo reale, sapere prima cosa succederà in una fiction diventa un micro atto di ribellione al caos. Controllare la trama di una serie prima di guardarla non è superficialità, è autodifesa. Significa prendersi cura del proprio tempo, delle proprie emozioni, dei propri limitiSapere il finale non inibisce la narrazione, ne cambia solo la direzione. È un filtro emotivo e cognitivo. Come controllare il menù prima di entrare in un ristorante: non rovina la cena, la rende più adatta a noi, più gustosa.

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Quella sete di sapere è solo curiosità?

Sì, ma non solo. Chi legge spoiler non è un pubblico passivo, al contrario: è un pubblico attivo, strategico, interpretativo. Vuole costruire, non solo ricevere. Si chiede già da subito perché accade qualcosa, quali saranno le conseguenze, come si incastrano i pezzi. In fondo, leggere uno spoiler è un po’ come leggere la critica prima del film. O come ascoltare l’interpretazione prima della sinfonia. Non ci toglie niente. Ci prepara. È la differenza tra una lettura ingenua e una lettura consapevole. Tra il vivere la narrazione come intrattenimento e viverla come esperienza.

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In difesa degli spoiler, dunque

Spoilerare non è sempre un crimine. E leggere spoiler non è un reato da nascondere. È una modalità legittima, e anche molto più diffusa di quanto si pensi, di vivere l’intrattenimento. Dovremmo smettere di vergognarci, di abbassarci a scuse tipo “è stato un incidente” o “l’ho letto per sbaglio”. No. L’abbiamo cercato. Voluto. Letto con fame. E non ci ha tolto nulla. Anzi, ci ha dato di più. Quindi, la prossima volta che qualcuno vi dice “spoiler!”, non abbiate paura. Sorridete. E rispondete con fierezza: “Lo so già. E lo guarderò comunque. Anzi, meglio.”

P.s. In ogni caso, fan degli spoiler, sapere chi è Keyser Söze o il finale di The Handmaid’s Tale, non ci autorizza a svelarlo agli altri. Almeno se vogliamo ancora avere degli amici.