
Abbiamo bisogno di silenzio, e siamo disposti a sacrificare le nostre vacanze per ottenerlo Cosa dice la tendenza dei silent retreat sull'idea di benessere della Gen Z
Viviamo iperconnessi, rincorriamo la vita tra FOMO (ovvero la paura di perdersi qualcosa ndr) e ansia da prestazione. Risultato: spesso veniamo travolti dal burnout. Rispetto alle generazioni precedenti, la Gen Z pare soffrire molto di più di picchi di stress, ansia e depressione. E se una ragione univoca di questa tendenza non può essere identificata, sicuramente l’esplosione dei social media ha fatto la sua parte. Il confronto con gli altri è continuo, e la dipendenza da smartphone ha reso il doomscrolling (ovvero l’azione di scorrere in maniera compulsiva feed di notizie perlopiù negative o allarmanti ndr) un’esperienza ormai quotidiana. E poi c’è l’ingresso - spesso brusco - nel mondo del lavoro, l’ansia di capire quale sia il proprio posto nel mondo, l’incertezza della situazione economica, il cambiamento climatico che pare ormai irreversibile.
I ritiri del silenzio su TikTok
In questo scenario che sembra apocalittico (anche se non lo è, ancora), non stupisce che abbiano preso sempre più piede i silent retreat, ovvero i ritiri del silenzio. Si tratta di periodi dalla durata variabile - possono essere tre, quindici giorni o più - durante i quali una persona si ritira in un luogo isolato in cui non le è consentito parlare, per dedicarsi - tra le altre cose - alla pratica della meditazione. Non è un fenomeno nuovo, né probabilmente un’invenzione di questo millennio, ma come molte cose che già accadevano nel mondo la sua narrazione è sbarcata su TikTok e questo significa che la pratica è entrata nel radar dei più giovani, spesso come alternativa alle più tradizionali vacanze.
@lindzoutside would you give up talking & technology for 10 days to meditate? One of the hardest things I’ve ever done, but life changing and i’d do it again. @Nepal Tourism Board @Steller #Nepal #NepalNow #lifetimeexperiences #meditationretreat #buddhism #travel Faith’s Hymn - Beautiful Chorus
Come funziona un silent retreat
I racconti online di chi ha fatto questa esperienza non sono pochi. Dei silent retreat esistono versioni italiane o più esotiche, fino ad arrivare al Nepal o alla Thailandia. Spesso la location è un monastero, un convento o più in generale un luogo legato alla meditazione, che è uno dei tasselli fondamentali del ritiro. Le giornate infatti si svolgono in maniera molto tranquilla e ripetitiva, scandite da pasti frugali (molto spesso vegetariani), esercizi di meditazione, e in alcuni casi piccoli lavoretti in compagnia di monaci o suore. Ovviamente, tutto è condiviso con gli altri partecipanti al ritiro, ma in assoluto silenzio. Sono banditi gli smartphone e nelle varianti più drastiche anche qualsiasi tipo di lettura o scrittura. È il caso del Vipassana, una delle pratiche più diffuse e più antiche dell’India (quella che il Buddha praticò personalmente per la sua illuminazione), che mira a purificare la mente. Per evitare distrazioni, nei ritiri Vipassana si invitano le persone a indossare abiti consoni - ad esempio, non troppo corti o scollati - e a non scambiare neppure sguardi o gesti con i propri compagni. L’obiettivo è di ritornare a se stessi, trovare il proprio focus e uscire dall’esperienza con una maggiore consapevolezza e una leggerezza che aiuti a ri-affrontare il mondo.
@dasiadoesit Replying to @Dejah-Millena i was becoming a miserable person and i could see it happening in my day to day. #vipassana #vipassanameditation #tiktokforgood original sound - Dasia Sade
Sfuggire al burnout o al social hangover
Per molti, questi ritiri si rivelano efficaci. Stephanie Gavan, che ha partecipato a un ritiro Vipassana di dieci giorni in Inghilterra, scrive su Dazed: "Ho sperimentato una leggerezza che non provavo da anni, come se i rancori accumulati e la sporcizia mentale che mi ero trascinata dietro fossero stati finalmente spazzati via […] Ora custodisco con forza la mia energia, consumo in modo più consapevole ed esprimo molta più pazienza verso gli altri". Le ragioni per intraprendere un’esperienza di questo tipo possono essere molteplici: si può sentire l’esigenza di disintossicarsi da smartphone e social media (più facile a dirsi che a farsi, in autonomia), si può essere sopraffatti da una forma di stanchezza sociale (o social hangover) data dalle interazioni ininterrotte con gli altri, oppure semplicemente si ha bisogno di ritagliarsi del tempo per sé - in maniera un po’ drastica - per sfuggire al burnout da lavoro o alle aspettative un po’ soffocanti della famiglia. In quest’epoca in cui tutti hanno qualcosa da dire, ritornare al silenzio sembra quasi un’utopia. Eppure potrebbe essere proprio questa la chiave di volta. Così dicono su TikTok.



















































