
Stiamo finendo il pumpkin spice Tra carenza di materie prime, incursioni beauty e food FOMO
Il dubbio che serpeggia nell’aria di questo autunno non riguarda se sia più imbarazzante avere un fidanzato o postarlo, nè chi siano le metropolitan muses. La vera questione che scuote consumatori, baristi, beauty editor e cultori della nostalgia è molto più semplice e, allo stesso tempo, sorprendentemente drammatica: dovremo davvero dire addio al pumpkin spice come lo conosciamo? Non è soltanto un aroma ma un rituale, un simbolo emotivo, un oggetto culturale che da vent’anni definisce l’ingresso dell’autunno pop occidentale. Eppure, dietro la sua apparente leggerezza zuccherina, il mondo delle spezie alla/per la zucca sta vivendo una crisi profonda tra raccolti falcidiati dal clima, dazi sulle spezie importate, competizione tra multinazionali della cosmetica, rincari generalizzati e un pubblico sempre più schiavo della FOMO stagionale. È una crisi che parla di economia, di clima, di cultura pop e perfino di psicologia collettiva. E capire cosa stia succedendo significa leggere, tra le righe della zucca, il nostro tempo.
Beauty al pumpkin spice: quando la zucca scarseggia, la creatività esplode
Nel mondo beauty, la zucca non è una moda passeggera ma una risorsa concreta perché gli enzimi di zucca hanno una capacità esfoliante e rigenerante che molti ingredienti sintetici non riescono a imitare. Per anni marchi come Irene Forte, Malin + Goetz, Naturopathica, Peter Thomas Roth e Tonymoly hanno fatto affidamento su forniture stabili, attente e sostenibili. Poi è arrivato il 2025, portando con sé un clima fuori controllo che ha messo in ginocchio zone chiave di produzione. In Ohio le piogge non sono arrivate, in Illinois l’estate è stata troppo breve, nel Regno Unito il caldo ha stravolto i calendari di semina. Improvvisamente, il prodotto più autunnale dell’universo beauty è diventato un bene raro. Le aziende non hanno aspettato di restare a scaffale vuoto. Come riporta BoF, Lush ha trasformato la crisi in un’opportunità, scegliendo zucche europee coltivate con tecniche rigenerative, ha ripensato la filiera e ha costruito un modello più resiliente e narrativamente potente. Bliss, dal canto suo, ha esteso la rete di approvvigionamento dalla Carolina del Nord a regioni italiane e taiwanesi, cercando non solo quantità ma anche qualità costante e agricoltori capaci di controllare acqua e nutrienti in un clima impazzito. Nel frattempo, hotel di lusso come il Ritz Carlton di South Beach si affidano sempre più a prodotti locali freschissimi, mentre i laboratori biotech stanno sviluppando enzimi di zucca coltivati in vitro, una svolta che potrebbe rendere la filiera immune alle bizze del clima. Il beauty, insomma, non sta abbandonando la zucca, ma, piuttosto, la sta reinventando.
Fragranze speziate: l’illusione perfetta che non ha bisogno della zucca
Se nel beauty la zucca è un ingrediente concreto, nel mondo delle fragranze la verità è più sottile e, in fondo, affascinante: il profumo alla zucca non contiene quasi mai zucca. Le note che percepiamo come pumpkin spice derivano da un incantesimo aromatico di cannella, noce moscata, cardamomo, vaniglia e zenzero. Lo conferma a Bof Kara Kowalski di Snif, che descrive la zucca come una sensazione più che una presenza reale. Non è un ingrediente, è un ricordo evocato. Questo significa che l’industria del profumo non teme la crisi agricola. Le sue formule sono già indipendenti dalla zucca e più vicine a un linguaggio culturale che a una ricetta culinaria. Lush, dal canto suo, continua a giocare con note gourmand che ricordano una torta di zucca uscita dal forno, aggiungendo tocchi scenografici come glitter arancione biodegradabile. Il risultato è un aroma che sopravvive agli shock del mondo reale perché non ha mai avuto davvero bisogno delle zucche dei campi. Piuttosto, vive della nostra capacità di associare profumi e sensazioni a un autunno ideale che corre tra film, tazze fumanti e meme Internet.
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Food: l’impero del pumpkin spice è più vasto di quanto sembri
Nel settore alimentare, la vicenda è più complessa. Il pumpkin spice food non è un capriccio stagionale, ma una vera e propria infrastruttura commerciale. L’aroma è diventato un linguaggio che attraversa l’intero supermercato: dagli yogurt ai formaggi spalmabili, dalle barrette ai fichi alle mandorle aromatizzate, passando per versioni speziate perfino della pancetta e dell’olio di avocado. La creatività raggiunge livelli che sfiorano l’assurdo, ma è proprio questo che piace ai consumatori. Il fascino del pumpkin spice deriva dalla sua capacità di evocare un sentimento di calore domestico. Profuma di forno acceso, di feste di fine ottobre, di giornate più brevi e di un ritmo che rallenta. È nostalgia concentrata in un aroma. E in un mondo in cui la sicurezza emotiva è merce rara, milioni di persone cercano questo conforto negli scaffali del supermercato. Nonostante i dazi, i rincari e la logistica sempre più complessa, la domanda continua a crescere, trasformando l’autunno in una coreografia di packaging arancioni e spezie importate.
@starbuckssouthnormanton Come make a pumpkin spice latte with me! #pumpkinseason #pumpkinspice #starbucks #pumpkinspiceseason Pumpkin Spice Latte: la bevanda che divide l’America e confonde l’Europa
Il Pumpkin Spice Latte è diventato una dichiarazione di identità. Per alcuni è l’acqua santa dell’autunno, per altri un abominio zuccherato. Negli Stati Uniti non esiste bar che non lo proponga appena il calendario sfiora settembre. In Europa la situazione è molto diversa: alcune città, come Bruxelles e Anversa, hanno adottato il PSL con entusiasmo quasi americano, mentre in Paesi come Italia o Francia il dibattito è tuttora feroce. C’è chi lo considera un’usurpazione del caffè tradizionale e chi lo vede come un gioco stagionale che non fa male a nessuno. La verità è che la curiosità cresce. Sempre più caffetterie indipendenti propongono versioni rivisitate, a volte con spezie locali, altre con dolcificanti naturali, altre ancora presentandolo come una coccola fuori dagli schemi. I prezzi, però, sono in aumento, e non solo per motivi estetici, ma a causa dell’impatto dei dazi sulle spezie e dei costi di lavorazione che rendono questa bevanda un piccolo lusso stagionale. E forse è proprio questo che la rende irresistibile.
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Mercato della zucca: una locomotiva da 2,4 miliardi che non accenna a frenare
Il mondo delle spezie alla zucca non è più un fenomeno stagionale confinato a qualche scaffale color arancio. È diventato un settore economico a tutti gli effetti, una vera e propria infrastruttura che si estende dalla grande distribuzione alle boutique gourmet, dai bar indipendenti alle multinazionali del beauty. Gli analisti stimano che entro il 2031 il valore globale del pumpkin spice possa sfiorare i 2,4 miliardi di dollari, un numero che colloca questa miscela aromatica nella stessa categoria dei trend alimentari più redditizi dell’ultimo decennio. Negli Stati Uniti, il mercato è già un gigante consolidato tanto che nell’ultimo anno le vendite hanno superato gli 800 milioni di dollari, segnando una crescita costante nonostante l’inflazione, i dazi sulle spezie importate e le difficoltà logistiche che hanno colpito altri segmenti del food & beverage. Per molte aziende, la stagione del pumpkin spice funziona come una seconda alta stagione, un momento di picco che arriva puntuale tra settembre e novembre e che permette di compensare flessioni estive o invernali. È una dinamica che pochi trend possono vantare. Il pumpkin spice gode di una prevedibilità quasi rituale, una sorta di capodanno commerciale che riaccende consumi, promozioni, campagne pubblicitarie e interi ecosistemi di prodotti in edizione limitata. Ed è proprio qui che entra in gioco la sua potenza. Dove c’è un’edizione limitata, nasce l’attesa; dove c’è attesa, si sviluppa la FOMO; e dove c’è FOMO, il fatturato accelera. L’aroma diventa così un contenuto culturale, un evento annuale che crea un’urgenza percepita e, con essa, un flusso economico che le aziende possono pianificare con precisione quasi chirurgica. Questa ciclicità, unita al fascino emotivo della nostalgia autunnale, rende il pumpkin spice una delle rarissime certezze rimaste nell’industria del consumo stagionale. E tutto lascia pensare che, più che rallentare, la locomotiva arancione stia preparando la prossima accelerazione.
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Cultura pop: la zucca come stato emotivo collettivo
La cosa più sorprendente del pumpkin spice è la sua evoluzione culturale. Da fenomeno legato a un pubblico preciso (la ragazza basic con Ugg, sciarpone e feed color beige) è diventato un archivio emotivo comune, un’icona di stagione che appartiene a tutti. Non rappresenta più uno stile di vita stereotipato, ma una sensazione condivisa. È una sinfonia sensoriale che mescola ricordi di infanzia, film di culto, fotografie su Pinterest e il bisogno profondo di rallentare almeno una volta l’anno. Non c’è nulla di casuale in questa ascesa. Il pumpkin spice è figlio della storia coloniale delle spezie, dell’evoluzione della cucina europea medievale, della cultura americana del comfort food e della moderna psicologia del benessere. Ogni sorso, ogni profumo, ogni crema alla zucca racchiude secoli di abitudini e nostalgie. Non c’è crisi climatica che possa spezzare così facilmente un legame del genere.
Allora, dobbiamo dirgli addio?
La risposta più onesta è che non dobbiamo rinunciare al pumpkin spice, ma dobbiamo accettare che cambierà. Il settore beauty si sta già adattando con soluzioni biotech e filiere regionali più corte. Le fragranze, che non dipendono davvero dalla zucca, continueranno il loro percorso indisturbate. Il food, pur lottando contro dazi e logistica, non rinuncerà a uno dei suoi asset stagionali più redditizi. E i bar continueranno a proporre il PSL come se nulla potesse fermare il suo mito. Il cambiamento più visibile, almeno nel breve termine, sarà il prezzo. La pumpkin tax è inevitabile e renderà l’esperienza un po’ più costosa, ma forse anche più desiderata. E quando qualcosa diventa più desiderata, la FOMO si moltiplica. È così che i rituali sopravvivono, non grazie alla loro semplicità, ma al loro valore emotivo. Il punto non è più chiedersi se il pumpkin spice sarà ancora con noi. La domanda giusta è come continuerà a trasformarsi.

















































