Il club kids make-up è tornato Quando il trucco non è solo bellezza, ma anche arte e provocazione

Assicuratevi che le vostre amiche clean girl siano sedute e rilassate, perché è in arrivo una notizia che le sconvolgerà: il club kids make-up è tornato in città. C'è qualcosa di magico nel buio delle discoteche underground: giochi di luci, musica impeccabile, uno spazio dove identità, moda e libertà si intrecciano. Il movimento club kids nasce proprio lì, non solo come sottocultura ma come ribellione visiva, performativa, e profondamente queer. È un’esplosione colorata e di eccesso, dove il trucco non è solo bellezza ma anche arte, provocazione e dichiarazione di sé.

Chi sono i club kids?

Facciamo un passo indietro, che cos'è il movimento club kids? Nella New York tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, mentre la città sobbolliva tra decadenza urbana e voglia di libertà, nasce una delle sottoculture più folli e irresistibili di sempre: i club kids. Non erano semplici ragazzi che uscivano a fare festa: erano il vero e proprio party. Creature notturne, performer, icone di stile ante-litteram che trasformavano ogni serata in una performance totale: dal trucco e l'outfit fino alla musica e l'identità stessa della festa. Ovviamente la parola minimalismo non era presente nel loro vocabolario, niente "less is more": il troppo non stroppiava mai. Il loro make-up non era una maschera ma piuttosto un’armatura contro la noia del quotidiano, una dichiarazione politica in un’epoca che voleva categorizzare tutto. Eyeliner potenti, shimmer ovunque, contouring teatrali e labbra sgargianti. La cosa più importante non era essere belli: era essere iconici e memorabili. Ognuno sfoggiava il proprio un alter ego senza regole di genere, moda o sociali.

Le icone beauty del movimento Club Kids

Quando si parla di Club Kids, oltre che nominare Michael Alig, famoso promoter delle serate al Limelight di New York, non si può non menzionare le icone beauty di quel periodo, quelle che con il solo potere di un pennello e qualche pigmento riuscivano a ridefinire il concetto stesso di volto, riscrivendo anzi bruciando le regole. Primo fra tutti Leigh Bowery: artista, performer e soprattutto maestro dell’irriconoscibilità. Il suo trucco non era beauty, ma piuttosto body-art: sopracciglia ridisegnate, colori versati come vernice sul capo, protesi, glitter e labbra ultra mega contornate. La sua estetica ha influenzato intere generazioni di artisti: da David Bowie a Boy George, con cui ha contribuito a definire l’idea di make-up come identità fluida, teatrale e inclassificabile, fino a stilisti come Alexander McQueen e John Galliano, che nella sfilata Christian Dior Fall/Winter 2003 ha proposto una reinterpretazione del make-up di Leigh Bowery. Accanto a Bowery, da ricordare anche James St. James con i suoi blush sparati fino alle tempie, labbra teatrali e parrucche scenografiche. E poi c’è Amanda Lepore, la diva cyborg che ha portato l’estetica club in una sfera più glamour. Le sue labbra XXL, la pelle di porcellana e gli occhi da pin-up hanno creato uno dei look più riconoscibili di sempre. Certo è che senza di loro, oggi il club make-up non sarebbe ciò che è: un territorio dove tutto è possibile e niente è troppo.

Il ritorno dei club kids, oggi, passa soprattutto dal trucco

Oggi il club kids make-up è ufficialmente uscito dal seminterrato del Limelight per tornare alla ribalta. Dopo anni di pelle glowy, mascara marrone e make-up no make-up, la Gen Z ha deciso che era ora di cambiare vibe. A riportare in vita il trend non sono stati solo i social, ma soprattutto una nuova ondata di make-up artist (emergenti e non) che hanno ufficialmente detto addio al minimalismo perbenino e ai soliti look canonici. Sempre più MUA stanno sperimentando senza regole, creando make-up teatrali ispirandosi e reinterpretando le vibes dei club kids. Il trucco torna a essere un travestimento quotidiano: un alter ego da sfoggiare per una serata, per un brevissimo TikTok o semplicemente per andare a prendere il latte sotto casa.