Scottature e linee di abbronzatura finte sono l’ultima ossessione del make-up di TikTok Vogliamo davvero romanticizzare i danni del sole, anche se solo in modo fittizio?

Le tan lines sono tornate. E no, non quelle ottenute per sbaglio dopo essersi addormentate in spiaggia con la t-shirt addosso. Oggi sono desiderate, cercate, replicate. Non più il “difetto” da nascondere con una spolverata di bronzer, ma un'estetica consapevole e dichiarata, che parla di corpi vissuti, estati piene, vacanze rubate alla routine. Le vediamo ovunque. Nei TikTok con milioni di visualizzazioni, nei GRWM su Instagram, nelle campagne pubblicitarie dei brand che hanno capito come trasformare anche un contrasto di pelle in un segno di stile. No, non è uno scherzo. Il trend dell’estate 2025 è truccarsi per sembrare scottate dal sole, complete di segni da bikini, occhiali da sole o collanine Y2K, tracciati sulla pelle con la precisione nostalgica di un ricordo estivo stampato come uno stencil. Un’estetica iper-realista che imita la scottatura perfetta, senza mai prendere un raggio UV. All’apparenza è solo un tributo ironico al caos estetico degli anni 2000. Un gesto che sembra innocuo, giocoso. E forse lo è. O forse no. Perché sotto il blush shocking e la terra abbronzante si nasconde qualcosa di più profondo: un’estetica epidermica che tocca nervi culturali ben più sensibili del semplice bronzer.

La rinascita (fake) delle scottature solari

Questo trend non è piovuto dal cielo, né è esploso all’improvviso. Il primo video virale risale al 2023, quando la make-up artist Isabel Rose ha condiviso un look con contorni “bruciati” di un bikini e occhiali da sole, disegnati con correttori chiari e blush roventi. Il risultato? Un effetto sunburnt skin visivamente irresistibile. Da lì, l’estetica ha preso il volo: è atterrata sulle passerelle, basti pensare alla SS25 di Di Petsa, e si è fatta strada nelle campagne editoriali, con Sabrina Carpenter e Addison Rae come muse inconsapevoli del sunburn chic. Anche Fenty Beauty ha flirtato con quest’estetica in una sua campagna, rivestendola di inclusività e gloss. Il principio tecnico è semplice: si disegna la linea netta del costume da bagno con nastro adesivo o con il contrasto tra highlighter e bronzer, si aggiunge il rosso del blush lì dove il sole avrebbe colpito (zigomi, naso, décolleté) e si sfuma. Il risultato? Un effetto post-spiaggia assolutamente posticcio, ma, a quanto pare, terribilmente desiderabile.

Il trucco c’è, il danno (forse) no

Chiariamo subito una cosa: nessuno si sta realmente ustionando. Le guance rubino, i segni da spallina e quel décolleté arrossato sono tutti illusioni ottiche, ottenute con sapiente uso di blush cremisi e bronzer al gusto di Malibù. Nessuna pelle arsa, nessun aloe vera a fine giornata. E, in fondo, le linee dell’abbronzatura finte sono solo una derivazione del sunkissed make-up. Ma se la pelle rimane salva, la domanda rimane sospesa come una nuvola SPF 0: e l’immaginario? Perché in un’epoca nella quale la skincare è religione e la crema solare con SPF un sacramento quotidiano che viene applicato anche nei giorni di pioggia, c’è qualcosa di profondamente disturbante nel veder romanticizzata la scottatura, anche solo in modalità cosplay. È come se il trauma cutaneo si fosse reincarnato in estetica virale, una nostalgia del bruciato che ignora volutamente tutto ciò che abbiamo imparato su raggi UVAmelanomi e invecchiamento precoce. Il tutto condito con un’estetica che sa di vacanza nel 2003 e ribellione controllata. È un look che finge di infrangere le regole, ma solo quanto basta per ottenere like e approvazione. È la versione solare del “mi sveglio così”. Costruita, filtrata, simulata. Un sunburn chic che non ustiona, ma stuzzica. Eppure, il messaggio passa: scottarsi è bello. Anche se è finto. Anche se lo dici piano.

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@tabithaswatosh

this is actually one of my favorite looks. i love tan lines.

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Dal trucco all’ossessione: il culto del sole 2.0

Non ci sono solo i make-up sunkissed o le finte tan lines. Sempre più creator, veri e propri sacerdoti digitali dell’abbronzatura, stanno trasformando TikTok in un altare dedicato al culto del sole. Prendi London Kolkana, ad esempio: influencer, oracolo UV e guru dell’“abbronzatura intelligente”. Nei suoi video, dispensati come vangeli estivi, suggerisce di evitare l’asciugamano (“troppo basic”) in favore della sdraio per una migliore esposizione, consiglia un olio accelerante da 40 dollari, seguito da una spruzzata quasi ironica di SPF 15, e raccomanda di crogiolarsi al sole tra mezzogiorno e l’1:30, proprio quando l’indice UV è all’apice. Una mossa che farebbe sussultare qualsiasi dermatologo, e non in senso buono. Benvenuti nel surreale revival della tan culture, versione Gen Z: un inquietante ritorno agli anni ‘70, quando ci si metteva sotto gli specchi e ci si spalmavano sul corpo intrugli con olio d’oliva (sì , manco fossimo delle orate sulla griglia) per cuocersi più in fretta, quando lo strato di ozono era ancora integro e la parola “melanoma” suonava come il nome di un cocktail esotico. A peggiorare il quadro ci sono app come Rayz o Sunglow, progettate per chi vuole pianificare al secondo la propria dose quotidiana di UV. Ti dicono quando uscire, quanto esporsi, e in quale posizione sederti per massimizzare il risultato. Tutto all’insegna di una narrativa tossica: l’abbronzatura è sexy, la scottatura fa paura, ma solo quella rossa rossa eh, che tutto il resto è glow. Peccato che anche l’abbronzatura sia, di fatto, un danno: la pelle scura è pelle ferita, anche se non la senti bruciare. Nel feed, fioccano i reel di gambe abbronzatissime con segni bianchi da sandalo, i reel con la voce fuori campo che dice “non è un’abbronzatura, è una personalità estiva”, e un sottotesto sempre più chiaro: il sole, ancora una volta, è status symbol. Ma questa volta, invece di pagarlo con il tempo libero, lo si paga con la salute. E con un sacco di disinformazione.

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@ellisealou

got sooo much sun this weekend happy & tan ellisealou

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Tan lines: estetica o ideologia?

Facciamo un passo indietro e guardiamo al passato. Quelle che sembrano semplici righe sulla pelle raccontano, invece, storie complesse di classeaccesso e privilegio. Come ha scritto l’autrice Maïssa Rouissi, la pelle abbronzata non è mai neutra: è una narrazione incarnata. Negli anni ‘20 Coco Chanel, dopo una vacanza in Riviera, torna con una leggera abbronzatura che fa scalpore, trasformando per sempre il concetto di bellezza. Da quel momento, le tan lines diventano il simbolo di chi può permettersi il lusso del tempo libero al sole. Non più segno di fatica contadina, ma badge elitario. Negli anni ’60 e ’70, l’abbronzatura si carica di significati nuovi: libertà, sessualità, erotismo, trasgressione. Il corpo nudo, o quasi, è simbolo di emancipazione, e le tan lines ne sono la prova visiva. Basti pensare agli scatti di Slim Aarons, con le modelle sdraiate a bordo piscina con addosso solo bikini all’uncinetto e segni dell’abbronzatura ben visibili.

Con l’arrivo degli anni ’80 e la cultura da spiaggia, le tan lines si radicalizzano. Si sperimentano nuovi metodi per ottenere una doratura sempre più intensa, esponendosi per ore sotto il sole cocente, unti di olio per bambini o, persino, Coca-Cola. Negli anni ’90, grazie alla maggiore informazione sui rischi dell’esposizione ai raggi UV, si inizia ad usare la protezione solare. Nel decennio successivo, durante il quale la pelle deve essere uniforme, dorata (anche con l’aiuto di autoabbronzanti), i segni del costume diventano imperfezioni da coprire, una prova che ci si è abbronzate “male”. O, all’opposto, in linea con lo stile Y2K, si evolvono in accessorio sexy. Ricordate gli adesivi a forma di coniglietto di Playboy, lasciati appositamente sulla pelle durante le sessioni di lampade, per ostentare l’abbronzatura con un pizzico di malizia?

Glow sì, ustioni no: tra nostalgia tossica e blush consapevole

La Gen Z è la generazione più SPF-aware di sempre, quella che tra un reel sull’autoesame dei nei e un tutorial su come riconoscere i sintomi del melanoma posta con la stessa disinvoltura video su come ottenere un perfetto effetto “sunburnt glam” col make-up. Una generazione che conosce i rischi, ma li estetizza. Che sa che il sole può uccidere, ma lo trasforma in filtro. Un cortocircuito in pieno stile TikTok. Le tan lines finte, come le lentiggini disegnate, sono strumenti narrativi che trasformano la pelle in una tela, un diario visivo che racconta emozioni e estetiche senza necessariamente pagarne il prezzo biologico. Il problema non è il trucco. È quello che ci raccontiamo mentre ci trucchiamo. Perché dietro il blush cremisi e le linee di bikini in correttore chiaro si nasconde una memoria estetica fatta di contraddizioni come il ritorno della malattia glamourizzata, l’eco tossica dell’heroin chic, la fascinazione per la fragilità che diventa feticcio fashion. Come se il bruciato fosse bello solo quando non brucia davvero. È il culto del sole 2.0. Ma la realtà è che le scottature solari non sono mai glamour. Sono dolorose, possono causare eritemi, vesciche, rughe precoci, e nei casi peggiori aumentare il rischio di melanoma cutaneo. E se il danno è fatto? No panico, ma sì cure. Via libera ad aloe vera, pantenolo, burro di karité, e soprattutto stop immediato all’esposizione. La pelle non dimentica, anche se Instagram lo fa. Quindi sì, giocate pure con il sun-kissed look, disegnate le tan lines, seguite i tutorial di chi sa cosa fa. Ma fatelo con consapevolezza. Perché la pelle non è un trend stagionale. E nessuna estetica, per quanto bella, nostalgica o virale, vale un giro dal dermatologo.