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La bellezza e il problema della glamourizzazione della malattia

L’estetica Succubus Chic è la nuova Heroin Chic?

La bellezza e il problema della glamourizzazione della malattia L’estetica Succubus Chic è la nuova Heroin Chic?

Le nozioni di malattia e bellezza sono state a lungo intrecciate nella cultura occidentale. Dall'Inghilterra elisabettiana fino ai tempi moderni, un filo sottile, eppure apparentemente indistruttibile, unisce aspetto emaciato, sofferente, morte e fascino, dettando standard estetici non solo irraggiungibili, ma anche potenzialmente pericolosi. Un esempio? Il caratteristico trucco bianco gesso contenente piombo in polvere che la regina Elisabetta I applicava su viso, collo e décolleté serviva per nascondere la deturpazione causata dal vaiolo, ma veniva replicato dalle donne aristocratiche per ricreare un pallore simbolo del proprio status elevato, che si contrapponeva all’abbronzatura delle classi inferiori che lavoravano all'aperto e alle intemperie.

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Scorrendo velocemente avanti nel tempo arriviamo all’heroin chic degli anni ’90, quando il massimo dell’aspirazione collettiva era assomigliare a Kate Moss. La polaroid più evocativa di quel momento la ritrae nel retro di una sfilata, con una semplice canotta bianca e un paio di pantaloni neri che ne esaltano il profilo sottilissimo, un trucco marcato che sottolinea le guance scavate e gli occhi infossati, con la sigaretta tra le dita e lo sguardo assente. Quello scatto racchiude al meglio sia lo spettro della filosofia sesso, droga e rock'n'roll sia la quintessenza dell’heroin chic con la sua visione nichilista della bellezza che secondo molti sta tornando prepotente, insieme allo stile Y2K e l’esaltazione di una magrezza estrema. Se trent’anni fa la glorificazione di quel canone estetico passava attraverso una palese celebrazione di tossicodipendenza e anoressia, nel 2023 ha qualcosa di molto più velatamente sinistro e si nasconde dietro alla cultura del benessere e alla passione per la cosmesi. Così le modelle di taglia 0 stanno buttando giù dalla passerella le colleghe mid e plus size e, contemporaneamente, anni di battaglie per la body positivity; le Kardashian si sottopongono a diete restrittive e cancellano le tracce di Brazilian butt lift; tra le celebrità aumentano gli interventi di rimozione del grasso buccale; su TikTok milioni di views trasformano Ozempic un farmaco per curare il diabete di tipo 2 in una bacchetta magica dimagrante reclamizzata anche nella stazione metropolitana di Times Square.

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L’ultima ossessione beauty si chiama Ghoul GirlSuccubus Chic e prende il nome dalla figura del Succubus, un potente demone femminile che usa la sessualità per apparire nei sogni delle vittime e ucciderli. L’esempio contemporaneo si mescola alle Cholas e si ispira al look di Angelina Jolie negli anni ’90: lunghi capelli neri, sopracciglia sottilissime, quasi invisibili, incarnato pallido, sguardi vitreo, zigomi alti e guance scavate, prive di qualsiasi traccia di grasso buccale. Commentando il trend e tracciando il parallelo che molti hanno notato tra le immagini di Gabbriette Bechtel e Amelia Gray oggi e quelle di Kate Moss e Jaime King nella loro fase Heroin Chic ha scritto: "Mercoledì Addams se fosse cresciuta, avesse trovato lavoro a Milano e preso il vizio della coca". In realtà, le reference sono molto più cupe e lontane nel tempo. Pelle pallida, occhiaie e magrezza androgina non erano popolari e aspirazionali solo negli anni ’90 quando erano tratti associati all'abuso di droghe e non lo sono solo oggi che per ottenerli siamo schiavi di chirurgia estetica e cosmetici, ma lo erano già nel XIX secolo.

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Tra il 1780 e il 1850, come racconta bene Carolyn Day, professoressa associata di storia presso la Furman University, nel libro Consumptive Chic: a History of Beauty, Fashion, and Disease"c'è stata una crescente estetizzazione della tubercolosi che si è intrecciata con la bellezza femminile". I vittoriani, compresa Charlotte Brontë che la definì "una malattia lusinghiera", hanno romanticizzato la malattia che ha ucciso milioni di persone tanto da ricreare con il trucco i suoi effetti secondari, eletti a standard di bellezza: una pelle delicata e trasparente, capelli fini e setosi, occhi scintillanti o dilatati, le guance rosee e le labbra rosse, la vita sottile, le spalle arrotondate e le clavicole visibili. "La salute e l'attività erano considerate volgari, le donne languide e svogliate con carnagione pallida erano di gran moda" e, dalla metà alla fine del XIX secolo, gli effetti sbiancanti della tubercolosi erano così ambiti che le donne iniziarono a ingoiare wafer all'arsenico, a lavarsi con ammoniaca e coprirsi il corpo con vernici bianche e smalti tossici per cercare di schiarire la loro carnagione. Complice il patriarcato capitalista e l'idea diffusa dai medici che i "buoni muoiono giovani a causa della tubercolosi", le donne malate, vulnerabili, deboli o facilmente controllabili sono diventate sinonimo di fascino. Una concezione ulteriormente amplificata dal folklore, dall’arte (avete presente La Boheme?) e dalla letteratura che ha perpetrato una lunga connessione tra l'abbellimento della tubercolosi e il vampirismo, compresa l’attraente e conturbante figura del succubus che succhia la vita. Ed è qui che appare evidente il rapporto della romanticizzazione della malattia e della "tubercolosi chic" con l’estetica succubus chic.

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"Nel XVIII e XIX secolo si pensava che l'aspetto esteriore rivelasse il carattere interiore. Più si era attraenti, più si era bravi. Anche gli ideali di benessere odierni non sono correlati alla salute reale, perché chi non rientra negli standard di bellezza è visto come un individuo non sano". Spiega Day, ricordandoci che nel 2023 non è poi cambiato molto. Passato e presente si rincorrono, offrendoci istantanee che raccontano la stessa idea di bellezza malsana, ormai imprescindibilmente legata ad un fisico molto più che longilineo. Una persona dalle curve più generose può essere sana, ma darà sempre il messaggio contrario perché è così che gli standard di bellezza ci hanno abituato. Magrezza estrema e look emaciato, quasi malato, vincono sempre. Chiedetelo a Gabriette che pur essendo sempre stata bella, talentuosa e interessante ha iniziato ad avere un vero successo solo dopo essere molto dimagrita fino a diventare una sorta di dupe di Angelina Jolie in versione dark anni ’90. E che dire di Amelia Gray che è quasi un clone di Gabriette? L’unica cosa che è cambiata sono gli strumenti che usiamo per conformarci. La malattia reale non è più un’opzione. La sofferenza deve essere mimata, portata sul viso e sul corpo, ma nessuno vuole le complicazioni e le disabilità piccole e grandi legate alla malattia cronica né vuole avere a che fare con le persone che ne soffrono. Guancia scavate, pallore, zigomi prominenti e vita sottile si ottengono con una distorta concezione di wellness fatta di diete restrittive e spesso assurde, chirurgia estetica selvaggia, estenuanti session di fitness e l’acquisto di montagne di cosmetici. Insomma, nel 2023 aderire a una bellezza che coincide con un malato di tubercolosi dell’Inghilterra vittoriana significa avere un portafogli gonfio di soldi. La prossima volta che soffriamo nel vederci distanti e brutti rispetto Amelia, Kylie o Angelina pensiamo per un momento. È l'industria della bellezza in generale che andrebbe riesaminata e ripensata completamente. Sapere le reference del succubus chic non cambierà le cose, ma forse ci farà godere del look goth senza riprodurne la parte malata.