
Nori Studio ed Elisa Pini ci dicono che il futuro (e l'arte) sono punk Intervista in occasione

Lo studio di architettura e design milanese Nori Studio si trova in un anfratto un po' nascosto della città, in un palazzo in cui è difficile entrare e uscire a causa di un sistema di porte e portoncini i cui segreti sono custoditi gelosamente dai condomini. All'ingresso dello spazio guidato Jacopo Nori e Francesca Marengo - nel contesto del secondo appuntamento con il loro format creativo in cui collaborano con giovani artisti per creare oggetti di design nuovi, frutto di questo incontro - troviamo Bruma, un incontro creativo, un mondo fluido fatto di bulbi e di carta, di colori e di corpi evanescenti e materici allo stesso tempo. Da una parte, il lavoro di Elisa Pini, che ha a che fare con il liquido, il disfatto, la leggerezza del corpo che proviene dalla sua matericità, trasformata in acqua o bolla o vapore. Dall'altra parte Nori Studio, che tramite il laboratorio creativo Alibi di Ferro ha fatto realizzare, interamente a mano, lampade in carta di riso su cui Elisa ha dipinto.
Ogni lampada ha una propria identità: nessuna è identica all’altra, ciascuna porta con sé le tracce del gesto manuale, del tempo di asciugatura, delle piccole variazioni che rendono autentico un prodotto artigianale. Una serie di lampade concepite come tele scultoree, superfici pensate per accogliere e amplificare il linguaggio visivo dell’artista. Il risultato? Una collezione di corpi luminosi che dialogano con lo spazio in modo poetico, creando atmosfere soffuse e accoglienti.
Intervista a Elisa Pini
Presentati al nostro pubblico
Sono Elisa Pini, 24 anni, ho studiato Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e al momento vivo e lavoro a Milano. Porto avanti un'indagine pittorica che riguarda i dualismi e l’evoluzione del corpo tramite la fusione con l'ambiente.
Definisci la tua pratica artistica in tre parole
Ibrido, etereo, immanente.
La tua arte esplora il corpo in metamorfosi, spesso trasformato in liquido, bolla o vapore. Cosa ti attrae di questa idea di fluidità e leggerezza?
La visione occidentale dell’uomo è ancora legata all’idea di matrice orfica che separa corpo e mente, ed il corpo viene vissuto come l’elemento tra i due più pesante, ingombrante, a volte doloroso, mentre il pensiero o l’anima sono associati a una dimensione più alta. A me interessa andare in direzione opposta, mettere in discussione questo rapporto quasi repulsivo con il corpo. Renderlo visivamente leggero e impalpabile è un modo per avvicinarmi a questa idea: figure sensibili, semplici nel loro esistere, ma anche trasparenti, liquide, eteree. Si appoggiano su un piano estetico delicato, che vorrei desse sollievo, ma allo stesso tempo riportasse a una dimensione naturale.
Come definiresti il rapporto tra corpo e spazio nelle tue opere?
Lo spazio è sempre uno spazio naturale, o comunque neutro, in cui il corpo si appoggia e inizia una mutazione, mescolandosi con esso e cominciando a perdere massa. Mi interessa l’idea di un cambiamento che avviene mentre si osserva la tela, come se fosse in atto sotto gli occhi di chi guarda: lo spazio intorno diventa materia della stessa sostanza del corpo. Allo stesso tempo il corpo si ibrida con l’ambiente, cambiando il proprio stato, passando dal solido al liquido o al gassoso, smettendo di avere un confine netto con ciò che lo circonda e svanendo tra le foglie, nella nebbia o nell’erba. È una forma umana inconsapevole di sé, è il corpo stesso a scegliere di cambiare, di evolversi in questo modo per cercare una sorta di salvezza, non artificiale. La natura è allo stesso tempo una madre accogliente e un metabolismo in continuo movimento. La simbiosi con l’ambiente è un ritorno a qualcosa di bucolico e idilliaco, ma anche un ritorno al caos, all’azione costante degli agenti esterni.
La collaborazione con Nori Studio ha portato i tuoi corpi dalla tela alla luce, con lampade realizzate in carta di riso e ferro. Come hai vissuto il processo di tradurre il linguaggio pittorico in un oggetto tridimensionale e funzionale?
È stato interessante potersi muovere su un territorio differente, sia dal punto di vista tecnico che concettuale. Sono molto legata alla bidimensionalità della tela e cerco di esasperarla isolandola con delle bordature, che separandola dall'esterno creano una sorta di finestra attraverso cui spiare le scene delle tele. Con le lampade questo non succede totalmente. Alla base ho tenuto ugualmente una bordatura nera, che potesse creare una divisione tra quello che vedo come inizio della lampada e il suo sviluppo verso l'alto. Allo stesso tempo le forme dipinte sono le stesse che vanno a comporre le tele, ma su un supporto che già riprende idealmente la morfologia di un corpo, per cui accendendo le luci il corpo dipinto si amalgama con il corpo che è la struttura della lampada. È stato difficile e divertente poter lavorare su qualcosa che mutasse a livello visivo tra acceso e spento, riprendendo i dualismi di cui parla il lavoro, tra corpo e mente e tra corpo e elemento naturale. Le lampade inoltre sono già nella forma una trasposizione tridimensionale del lato pittorico, ricordando corpi pellicolari e diafani.
Ogni lampada è unica e porta le tracce del gesto manuale. Quanto è importante per te l’aspetto dell’artigianalità nel dialogo tra arte e design?
Probabilmente sarebbe stato fallimentare scegliere di lavorare su un oggetto già esistente, invece che su un progetto disegnato per l’occasione dopo aver compreso il lavoro pittorico. Allo stesso tempo arte e design sono divise da una linea molto sottile e su di essa troviamo anche la replicabilità dell’oggetto di design contro la non replicabilità dell’opera, che rende le lampade, nella loro funzionalità, a metà tra realizzazione artistica e design. Dopo aver visto le mie tele Jacopo e Francesca hanno realizzato delle bozze delle lampade, che sono state successivamente realizzate artigianalmente. Qualsiasi oggetto se fatto a mano diventa più umano, le lampade inoltre sono tutte differenti nella forma e questo alimenta l’idea di corporeità da cui nascono.
Intervista a Nori Studio
Nori Studio pone al centro il concetto di comunità e collaborazione. Come nasce l’idea di trasformare ogni progetto in un ecosistema creativo condiviso?
Come ogni progettista anche noi abbiamo i nostri riferimenti, che possiamo definire i nostri maestri: le personalità di Carlo Mollino e Gio Ponti sono un’ispirazione continua. La loro figura non è possibile circoscriverla a quelle di semplice Architetto, intesa per come è concepita oggi la professione. Loro erano anche designer, artisti, artigiani, fotografi e scenografi. Questo perché nella nostra professione è necessario essere tutto ciò che respira immagini, disegni, prodotti e oggetti. Il nostro lavoro come progettisti non è mai un atto solitario. L’idea vincente è il risultato di un confronto collettivo alimentato dal dialogo continuo tra le diverse discipline. Più che un metodo, è una visione: creare contesti in cui le competenze si intrecciano e le idee circolano liberamente, dando vita a ecosistemi creativi capaci di evolversi nel tempo.
La collaborazione con artisti come Elisa Pini permette di intrecciare arte e design in modo molto poetico. Quali sono le principali sfide e le soddisfazioni di un approccio così integrato?
La sfida più grande è trovare un equilibrio tra libertà espressiva e funzionalità. Il linguaggio dell’arte è spesso intuitivo e simbolico, mentre il design richiede rigore e concretezza. La soddisfazione arriva proprio quando questi due mondi si incontrano senza compromessi, generando oggetti che non sono solo funzionali, ma portatori di emozioni e significati profondi. Questa seconda edizione del nostro format creativo vuole infatti portare avanti il nostro manifesto: creare cortocircuiti di idee dove contesti dissonanti acquistano credibilità. I progetti che realizziamo hanno sempre un taglio molto grafico e non rappresentano solo uno spazio, ma è presente un linguaggio che accumuna contenitore e contenuto.
Come scegliete i materiali e le tecniche più adatte per tradurre il linguaggio visivo di un artista in un prodotto concreto?
La scelta dei materiali e delle tecniche è il risultato di un confronto fatto a più mani: le nostre e quelle dell’artista. È un esperimento creativo, fatto di prove e risultati. Non è un processo lineare applicabile sempre, ma è qualcosa che nasce insieme alla collaborazione che ogni volta prende strade differenti.
Qual è il ruolo della luce, della forma e dell’oggetto stesso nella narrativa di Nori Studio? Come trasformate uno spazio abitativo in un’esperienza immersiva grazie al design?
La luce, la forma e gli oggetti di design come le opere d’arte assumono per noi lo stesso ruolo. Ognuno di essi è un tassello all’interno del progetto con lo stesso peso. Per noi non può esistere uno spazio che non abbia tutti questi elementi. L’esperienza immersiva non è data da un oggetto in sé ma dall’atmosfera che si va a creare grazie al dialogo tra gli elementi. Non è un approccio lineare, ma un lavoro istintivo. Ci ispiriamo dal racconto del luogo e da quello che ci comunica.
Guardando al futuro, quali valori e pratiche pensi siano fondamentali per mantenere viva la dimensione comunitaria e collaborativa nel design contemporaneo?
Nori Studio vuole combattere la malattia della fretta e della speculazione. In un’epoca dominata dalla produzione rapida e della rincorsa costante ai trend, mantenere viva la dimensione comunitaria significa dare tempo ai processi, valorizzare le relazioni umane e riconoscere il ruolo di ogni voce coinvolta. Il design del futuro sarà sempre più collettivo, responsabile e radicato nelle comunità che lo rendono possibile, sempre aperto a nuove sperimentazioni e nuove commistioni. Il futuro è punk.



































































