
Yuri S. D'Ostuni: "Ogni corpo è politico" Intervista all'artista e art director su arte, privilegio, comunità e mascolinità (qualsiasi cosa voglia dire)
Dopo Caterina Fantetti tocca a Yuri S. D'Ostuni essere intervistato nel contesto della partnership con Orgoglio Porta Venezia. Art director, artista e fondatore di Làme, ha condiviso con noi il suo percorso artistico e personale, portandoci negli spazi di Iperspazio, in zona Romolo, a Milano, dove si trova una delle sue opere. Questo è quello che ci ha raccontato, rigorosamente nelle sue parole.
Intervista a Yuri S. D'Ostuni, aka Dogyorke
Il tuo lavoro come Dogyorke fonde immaginari digitali, sensualità, glitch e corpi decostruiti. In che modo l’estetica che scegli riflette (o sovverte) le narrazioni dominanti sul corpo e sul desiderio?
Sono un creativo di mestiere, per anni sono stato art director e designer per agenzie di comunicazione omnicanale internazionali, ora sono freelance ma indubbiamente la mia estetica è influenzata non solo dall’arte, ma anche dal teatro, dalla performing art e dalla pubblicità. La ricerca di Dogyorke è una cosa per la quale ho sempre ritagliato del tempo e dello spazio mentale, mi permetteva anche di evadere dalla frustrazione di tante proposte creative brutte per clienti arroganti. L’estetica di Dogyorke è impregnata di advertising, lavoro spessissimo mixando diversi media e output, passo dal disegno su carta o muro, per arrivare a narrazioni immersive dove curo dal vsiual all’audio alla sceneggiatura. Sono degli esperimenti percettivi, provo ad usare tecniche di art direction, visual e graphic design.
Per 17L ad esempio ho usato la tecnica del "rubamatik" usando criteri di ricerca come “queer, trans, monster, horror, fashion, iconic, alien" in banche immagini o video, ho usato dei frame del mio documentario in uscita IMAGO e dei disegni, poi ho montato, ritoccato e musicato. Cercando video e suoni dalle banche audio/video ho scoperto che le keywords di ricerca utili a proporre le immagini queer o antiabiliste sono tutte orribili, perciò si apre un po’ a modi "flow". Non sempre la costruzione è lineare e ragionata, capisco solo quando ho finito cosa volevo dire davvero nel profondo. Non mi sono mai sentito a mio agio nelle rappresentazioni canoniche perché i miei personaggi sono stati spesso perlopiù animali umanoidi.
Per anni ho pensato che Dogyorke fosse solo un acronimo, un nome d’arte. Poi, col tempo, ho capito che era molto di più: una vera e propria ricerca esistenziale. Oggi posso dire con chiarezza che è la cosa più vicina al mio "sé superiore". Creare guidato da Dogyorke significa guarire e alchimizzare. Scoprire cosa mi ha ferito, cosa mi eccita, cosa mi fa arrabbiare. Immagini, suoni, voci che sono diventate il messaggio. Il pubblico le chiama "opere", per me sono molto di più. Dogyorke è nato con me, ha guidato la mia bambina interiore, Simona, verso il mio me adulto, Yuri. Ha creato uno spazio sicuro, privato, dove queste due parti fondamentali di me potessero incontrarsi, scontrarsi e generare qualcosa di nuovo. Mi ha dato la possibilità di essere visibile anche quando il mio corpo non poteva farlo. La mia anima, in un certo senso, si è ribellata alla mente analitica e ha orchestrato una forma di sabotaggio dolce ma potentissimo. Dogyorke è una coscienza critica. Un timone spirituale, politico, etico e pionieristico. Non so se riesco davvero a rispondere alla tua domanda, ma se ci vedi immaginari digitali, sensualità, glitch e corpi decostruiti, ti ringrazio. È esattamente ciò che desidero venga percepito. Insieme a pugni nello stomaco, disagio, spinta fuori dalla comfort zone.
A volte c’è sollievo, ma il più delle volte si tratta di un immaginario denso, profondo, che deve restare tale. La mia ricerca parla di quei valori che la società contemporanea e la macchina capitalista stanno cercando di distruggere. In altre parole: parla di noi stessə. Ogni corpo è politico. E qualsiasi corpo che riesce a raggiungere uno stato di amore, sicurezza, gioia e condivisione diventa una minaccia per questo sistema. Le minoranze non vengono sostenute proprio perché rappresentano corpi che si trasformano nel dolore. Che evolvono in spazi scomodi, dove non ci sono privilegi a proteggerli. Le mie opere sono spesso cupe, con toni alchemici, perché parlano di questo. Ogni pezzo nasce da un’intuizione. Poi diventa un’intenzione chiara, una domanda, una possibile risposta. È una forma di magia, antica e concreta. Si fa così da sempre, solo che nella società contemporanea ce lo siamo dimenticatə.
Dogyorke nasce e si esprime soprattutto in spazi sociali autogestiti a Roma, Bologna, Milano, Napoli. Primo tra tutti c’è il Forte Prenestino, durante varie edizioni di Crack Festival! - Con Mp5, Valerio Bindi e molt3 autor3 e disegnator3. Ovviamente c’era sempre anche musica e perfomance di varia natura. Erano i primi anni in cui si parlava di queerness anche negli spazi antagonisti, e vi assicuro che non è stato semplice. Con le To/Let ed MP5 ho imparato a disegnare sui muri e ad attacchinare! Il primo amore non si scorda mai. Ma poi ancora famiglie queer come Industria Indipendente, Sara Leghissa, Annamaria Ajmone, Anna Ciammitti, F. De Isabella, Giorgia Nardin, Tomboys Don’t Cry, Dajana Champ, Giulia Valicelli, Andrea Bonfini e tante altr3 artist3 indipendenti e di gran talento che stimo e amo molto. A Napoli lo "Scugnizzo Liberato" ha ospitato per un anno un mio muro e una tappa del mio progetto itinerante GOOD CLUBBING CAN’T DIE, una mini-guida per abitare spazi di festa in modo più consapevole, liberandosi della mascolinità tossica che abita in ognunə di noi. Ci sono molti altri spazi sociali, associazioni e realtà con cui ho collaborato come Macao, Leoncavallo, Kinlab, alcune le trovate sul mio sito o su Instagram da quando ho deciso di rendere pubblica questa parte, ma ce ne sono tante altre che non sto citando ora e mi scuso anticipatamente. Senza di loro non esisterebbero né Yuri, nè Dogyorke nè il nascente progetto curatoriale di Làme. Ho esposto e progettato come Dogyorke anche in gallerie e spazi istituzionali (Otto Zoo Gallery, Piccolo Teatro per MIX festival, Fabbrica del Vapore, Centrale Fies), tutto è utile a portare messaggi.
Il mondo oggi non è accessibile, figuriamoci gli spazi interiori. Ecco perché tengo così tanto a questa ricerca. Perché è la mia sopravvivenza. È il mio atto d’amore verso me stess* e mi auguro sempre che faccia luce su zone buie a più persone possibile. Questa ricerca simboleggia il coraggio, la determinazione, l'autocontrollo e forza interiore, indica la capacità di superare le difficoltà grazie alla propria forza d'animo e alla propria saggezza restando fragile, gentile e vulnerabile.
Cosa significa per te esplorare la mascolinità nel 2025? Cosa rimane, cosa si trasforma, cosa si perde nel passaggio tra virilità imposta e vulnerabilità scelta?
Ho 41 anni e una transizione in corso da 8. Penso che ognun* abbia dentro di sé un’energia di azione - che la società chiama "mascolinità" - e una di ricezione, che però chiama "femminilità". Trovo assurdo che ci siano delle fazioni interiori ed esteriori. Diventa evidente che non è un binomio scisso, ma una realtà complessa che ci costituisce e convive. Avrebbe più senso parlare di complessità, di moltitudine identitaria, di convivenza ormonale, di euforia di genere. La tua complessità è utile. La ricerca sulla complessità è una ricerca del mio programma curatoriale per la mia piattaforma Làme. Sono ossessionato dal discorso sul privilegio, Dogyorke lo tratta dall’interno, attraverso l’inconscio e l’intuito, con Làme invece attraverso l’esterno, la ricerca, le arti, la comunicazione, il design, i media, gli eventi, in maniera più orizzontale e accessibile. Il patriarcato ha fatto e continua a fare disastri, e non salva proprio nessun*, come ogni postura suprematista. De-colonizzarsi non è semplice e ci riguarda tutt*. Nell’epoca contemporanea, questa necessità di definirsi e difendersi non dovrebbe nemmeno esserci. Quindi, che si fa?
Forse ha senso riflettere e modulare gli strumenti già a nostra disposizione. Si tratta di essere più umili, pront* a perdere privilegi, a rivolgere lo sguardo verso l’etica e l’onestà intellettuale, piuttosto che verso il riscatto sociale, economico, o personale. L’elaborazione di ogni emozione richiede tempo, lavoro, sacrifici. Genera altri errori e altri traumi. Ci devi stare, se vuoi evolvere. Penso che la paura, ma anche la pigrizia, sia una delle cause principali per cui si preferisce procrastinare ciò che ci fa stare male, invece di cambiarlo qui e ora. O almeno provare a fare qualcosa di diverso, aprirsi. Ma se ti apri, prendi un sacco di batoste. E le vittorie sono sempre meno in proporzione.
Ma è così che funzionano la libertà e la felicità. Nessuno te la regala. Non sei felice se prima non conosci il dolore. Altrimenti saremmo tutt* asces*, e non staremo nemmeno a farci queste domande.
La condizione umana non è solo progresso. È anche involuzione, radicalità, ostilità, disagio, rabbia, e un sacco di altre emozioni che questa società individualista, falsa e performativa vuole addomesticare, eludere, dimenticare. Attenzione: siamo fatt* non solo di spirito, ma pure di acqua, sangue e merda. Ecco perché ritorno a dire che la chiave è l’alchimia. Non so se ho risposto alla tua domanda, ma credo che non si perda niente, quando si cambia. Semplicemente si scoprono nuove cose su di sé, sugli altri, su meccanismi che sembravano tutt’altro, per colpa del pregiudizio, della paura, della performatività. Devi camminare in quelle scarpe, per capirlo. Per farti un’idea tua. E a seconda di quanti privilegi fissi hai, puoi andare più o meno a fondo. Essere bianchi, cis, ad esempio, sono privilegi che non possono cambiare, mentre essere abile, benestante, eteronormat*, ecc. sono condizioni che possono cambiare nella vita. Quindi: occhio, la prossima minoranza presa di mira potresti essere tu. Se sei consapevole dei tuoi privilegi poi devi ammettere di avere più potere e non esercitarlo solo a tuo vantaggio. Per me è fondamentale capire che bisogna iniziare a cedere spazio per auto-rappresentazione, devi sostenere la comunità che decide di raccontarsi senza mettere becco, dando solo strumenti, soldi e ascolto, SPAZIO. Ti devi solo mettere a disposizione, punto, non ci sta un altro modo. Basta ego. A volte si può provare a mettersi nei panni altrui, altre volte no. Ed è proprio per questo che bisogna imparare a stare in silenzio e ad ascoltare. Rendersi disponibili. E lasciare tutto lo spazio che l’altrə chiede e giustamente pretende.
Come è cambiata, secondo te, l’idea di mascolinità nel tempo? Esiste ancora una mascolinità unica? Chi o cosa è un uomo, oggi?
Sai che è buffo che tu mi faccia proprio questa domanda? Ci credi se ti dico che non ho ancora una risposta? Questa è anche però una domanda che ho portato come pratica che come Dogyorke alla prima edizione di Nobody’s indiscipline e che ha creato il panico! Ho fatto girare un quaderno con questa domanda tra artist* e persone a caso per strada perché appunto avevo bisogno di capire di più. Il giorno dopo sarei andato di fronte ad un giudice per la rettifica anagrafica dei miei documenti e appunto non sapevo più cosa volesse dire. Che cos’è un uomo? Cosa lo rende tale? Ho avuto risposte incredibili, dai toni decisamente violenti. Le persone pretendevano che io contestualizzassi la domanda, che dessi io una chiara guida ad una domanda che era invece volutamente aperta. Tutte le persone erano in difficoltà. Solo una persona ha chiesto una cosa sensata ed era: "Ma cosa intendi? Vorresti un esempio? A me viene solo in mente che mio padre mi diceva che se leccava il gelato invece di morderlo da bambino gli davano un ceffone. Lui da maschio il gelato lo morde e non lo lecca". Questa risposta era una della tante plausibili ma mi ha colpito moltissimo, è evidente che tutte le persone scrivevano o urlavano delle attitudini brutte, soffocanti, violente... per loro era quello essere uomini. Nulla a che vedere con la protezione, con la saggezza, con la politica. Insomma avevo capito che da giovane persona transmasc ne avrei passate tante. Il mio passing da una parte mi protegge dalla transfobia, ma dall’altra mi mette automaticamente nel gruppo dei maschi cis che sono per la maggior parte abusivi.
Insomma è dura. Non fraintendetemi, è importante avere un’identità, riconoscersi, ma dovrebbe servire solo a te stess* per orientarti e trovare altri simili, non di certo per essere perseguitat*, giudicat*, umiliat*. La mascolinità come la femminilità sono dei costrutti sociali, servono a controllare le persone attraverso il senso di colpa se non rientrano nei canoni standard e definiti. Da qui nascono tutte le violenze possibili, dall’omolesbobitransfobia al body shaming al razzismo e così via. Lo stereotipo di "Mario Rossi" non ci rappresenta ed esclude prepotentemente tutte le altre soggettività, soprattutto femminili e queer. Non esistono mai in questa narrazione, non sono mai allo stesso livello.
La tua pratica, sia artistica che curatoriale, sembra sottrarsi al binarismo anche quando parla di genere. Quali spazi esistono oggi per un’espressione maschile che non abbia bisogno di definirsi in opposizione ad altro?
Credo di aver già risposto a questa domanda, non esiste un solo tipo di mascolinità, come non esiste un solo tipo di femminilità, così come non ci sono solo questi due estremi. Penso alle persone genderfluid, alle persone intersex, a quelle agender… etc. Ma di cosa stiamo parlando? Sembra che sia tutto o bianco o nero, bello o brutto, buono o cattivo, giusto o sbagliato, e quindi se non sei in una delle due fazioni non esisti… e se ci rientri o ti uccidono o ti lodano. Ma per me questa è follia pura. Non sono io ad essere strano, siamo tutt* diversi e UNIC+ sia per la nostra storia che per i nostri corpi. Nessun* è uguale ad un’altr*. Pensaci. Altrimenti saremmo dei robot.
A proposito di questo, cosa pensi che ci sia, nel non binarismo, che turba così tanto la nostra società? In che modo decostruire alcuni schemi, regole, convenzioni, costruzioni e sovra-costruzioni può essere un bene per tutt*?
Andando in terapia, studiando, facendo rete, uscendo dall’identitarismo e dall’ iper-sessualizzazione dei corpi, ma anche chiudere con sto cavolo di individualismo. Siamo animali sociali, nessuno esiste senza l’altr*. Questa è la più grande illusione dei nostri tempi. L’isolamento è fatto per controllare, così come ogni forma di abuso e di umiliazione. Essere consapevoli dei propri privilegi ed essere in grado di lasciare spazio (e soldi anche) quando puoi fa già la metà del lavoro. Abitare questo mondo senza infestarlo del tuo ego potrebbe essere un ottimo esercizio. Nessuno ti guarda, e va bene così. Se ti guardano sempre invece è violento. Ogni cosa ha lati positivi e negativi e l’eccesso è sempre rischioso. A volte serve anche quello. La complessità è utile e necessaria.
Làme è definita come "una creative factory con un’attitudine materica e un pensiero speculativo." I vostri progetti uniscono estetica e funzione, ma anche molto pensiero critico. Quanto è importante l’intenzione politica o poetica anche nei lavori apparentemente più commerciali?
Più che intenzione politica la chiamerei onestà progettuale, semiotica ed intellettuale. Siamo progettisti, ricercator*, curator*, creativ* che sono alla ricerca di autorappresentazione, qualità narrativa, verità oggettiva. Non vogliamo più distorcere le nostre narrazioni per rafforzare un discorso malato, fobico e violento che aiuta solo ad avere il potere delle masse nelle mani di pochi. Abbiamo una grande responsabilità legata all’accessibilità, usare la persuasione non significa manipolare. Dunque il lavoro culturale è alla base di tutto. In Italia però spesso sappiamo bene che non si osa mai, non si usa il "negative approach" in advertising, non si fa critica, è tutto buonista, democristiano e oggettivamente ORRENDO. Non usi la creatività, non fai storytelling, trascrivi male i pensieri e le idee di committenti ignoranti e dopo se va male sei tu che non sai fare il tuo lavoro. Capisci da te perch? è nata questa piattaforma. Parla di innovazione sociale e non a cluster di arte, design e scrittura, questi ultimi sono uno dei tanti strumenti.
Nei tuoi lavori c’è spesso un’idea di comunità, anche solo evocata. Come immagini oggi una "comunità creativa"? Che legami ha con la cura, con il dissenso, con la sopravvivenza fuori dagli schemi?
La comunità è fondamentale, senza quella non abbiano il consenso, l’assenso o la negazione e la critica. Insomma come diavolo pensi di migliorarti? Siamo tutt* parte di questo mondo e siamo tutt* unic* e indispensabil*. Il capitalismo e il colonialismo vogliono imporsi dicendo che ci sono persona di serie A e serie B e bisogna avere cura di dimostrare coi fatti e la sapienza che non è così. Questo è anche un processo di cura. La cura è un tema ampissimo, non mi dilungo, dirò solamente che muoversi in uno spazio dicendo "NO" e prendendosi la responsabilità delle conseguenze e la possibilità di andare avanti anche senza alleat* da solo è un fatto. Trovare una tua comunità è un lavoro diverso, comporta il compromesso. Chi è disposto a fare compromessi che non siano solo un'appropriazione culturale? Un'idea pagata non è tua.
Vi propongo un bel libro da leggere sul tema della cura collettiva, si chiama "Pleasure Activism The Politics of Feeling Good" di Adrienne Maree Brown.


















































