
Il caso Pélicot continua a offrire spunti di riflessione Chi ha ragione? Tutti, tranne il carnefice
Qualche giorno fa, a mesi di distanza dalla conclusione del processo per il caso di stupro di Mazan, che ha condannato Dominique Pélicot a 20 anni di carcere per aver praticato sottomissioni chimiche sulla moglie, Gisèle Pélicot, e aver invitato circa cinquanta sconosciuti in casa loro per violentarla per quasi un decennio, una ferita si è riaperta. Perché sebbene il caso si sia chiuso lo scorso dicembre, i danni subiti da Gisèle Pélicot e dalla sua famiglia resteranno per sempre una piaga aperta. Lo ha raccontato Caroline Darian, figlia di Gisèle e Dominique Pélicot, in un’intervista concessa pochi giorni fa al quotidiano britannico The Telegraph. Caroline non porta più il cognome Pélicot. Non chiama più suo padre "papà" e, in realtà, non chiama più nemmeno Gisèle "mamma": non la chiama affatto da quando le due hanno interrotto ogni rapporto. Caroline oggi si chiama Darian (una fusione dei nomi dei suoi due fratelli, David e Florian). Lei accusa Dominique, ma anche Gisèle: ed è proprio questo che lettori e utenti della rete non sono pronti ad accettare.
La decisione della figlia di Gisele Pélicot scuote la Francia (e non solo)
Quando nel 2020 Dominique Pélicot venne sorpreso a filmare sotto la gonna di una donna al supermercato, la polizia trovò veri e propri film dell’orrore sul suo telefono e sul suo computer. Oltre a scoprire che Pélicot aveva trascorso quasi dieci anni a drogare la moglie per portare sconosciuti conosciuti su internet in casa loro a stuprarla e riprendere tutto, gli inquirenti trovarono anche foto di Caroline, una delle tre figlie, incosciente, in posizioni ambigue e con indosso solo un paio di mutandine che non erano sue. Durante tutto il processo Caroline rimase accanto a sua madre, le tenne la mano, testimoniò. Ma quando in aula vennero mostrate queste foto e le chat Skype che lasciavano intendere fossero state inviate a sconosciuti, Gisèle faticò a crederci e non le offrì lo stesso sostegno. “Sai cosa mi ha detto più volte mia madre nel cortile del tribunale? Smettila di fare la commediante”, ha raccontato Caroline alla giornalista del Telegraph. “Mia madre mi ha lasciato la mano in quell’aula. Mi ha abbandonata” ha proseguito.
Dalla scoperta dei fatti e dall’inizio del processo, Caroline è diventata una sorta di portavoce del caso. Partecipa a programmi televisivi e parla in pubblico e sui social del suo libro. Ma invece di ricevere lo stesso sostegno che sua madre ha avuto, viene accusata di avere la sindrome del main character, persino di sfruttare sua madre e la sua tragedia per guadagno. Anche la sua testimonianza al quotidiano britannico ha acceso la polemica, con commenti come “è stata sua madre a essere violentata, non lei”, “piagnucola perché sua madre non vuole che si prenda tutta l’attenzione” o “ci sono altre persone che hanno subito cose altrettanto terribili e violente nella vita e non ne hanno fatto un business”. Se, come ha affermato Pélicot, la vergogna e la rabbia devono cambiare direzione, allora perché questa rabbia e questa vergogna non sono rivolte al criminale, allo stupratore, al colpevole?
La fille de Gisèle Pelicot me fait de la peine. Elle avait tte légitimité à occuper l’espace public avec sa parole. Mais elle a été réduite au silence par ce besoin collectif de construire une héroïne “pure”,sans de contradictions, qui incarnerait la cause féministe sans fissures
— Hashilé | Omoge (@sankurienne) August 26, 2025
Chi ha ragione? Tutti, tranne il carnefice
La situazione è delicata, persino spinosa. Se da un lato si potrebbe rimproverare a Gisèle Pélicot di non aver dato alla figlia il sostegno incondizionato che lei stessa ha ricevuto durante il processo, dall’altro è difficile giudicare una donna che ha vissuto un vero incubo, che sceglie il rifiuto come unica difesa e che probabilmente non riuscirà a guarire tanto presto. Al tempo stesso, è impossibile non provare empatia per Caroline, che più che un danno collaterale è una vera e propria vittima, non solo di uno dei peggiori predatori sessuali che la Francia abbia mai conosciuto, ma probabilmente anche di incesto, o quantomeno di un tradimento imperdonabile. Chi ha ragione, chi ha torto? Tra Gisèle e Caroline, nessuna delle due è del tutto nel giusto o del tutto nel torto. La colpa resterà per sempre attribuita a Dominique Pélicot e ai cinquanta uomini che hanno preso parte a questa tragedia. Anche se per l’opinione pubblica sembra sempre più facile condannare le vittime, le donne e le loro reazioni all’impensabile, piuttosto che gli uomini che quell’impensabile lo hanno reso concepibile, possibile e poi reale.




















































