
Il make-up d’archivio è diventato il nostro ansiolitico estetico preferito La nostalgia è il vero trend del 2025, anche nel beauty
C’è qualcosa di quasi terapeutico nel rispolverare un vecchio rossetto. Non importa se è secco, scaduto o irrimediabilmente fuori produzione. È come annusare un pezzo della propria giovinezza. Così come c’è qualcosa di poeticamente tragico (e, allo stesso tempo, irresistibilmente glamour) nel vedere il trucco vintage diventare l’ennesimo oggetto del desiderio su TikTok. I nostri feed si riempiono di rossetti d’antan, palette iconiche e fragranze retrò, mostrandoci un pezzo di chi eravamo, o di chi avremmo voluto essere, sigillato in un tubetto beige anni ’80. È un fenomeno emotivo collettivo. Non compriamo più un mascara, ma un ricordo confezionato in alluminio satinato; non un fondotinta, ma la promessa di sentirci qualcos'altro. In un’epoca iperstimolata, il make-up d’archivio è diventato una sorta di ansiolitico estetico, una via d’uscita soft, profumata di vaniglia, verso un tempo in cui tutto sembrava più semplice, più autentico, più nostro. Perché nel 2025 la nostalgia è il vero trend globale, l’unico capace di attraversare la moda, il cinema, la musica e persino il beauty. L’industria lo sa bene. Lo sa MAC Cosmetics, che ha appena rilanciato la sua collezione MAC Nudes, riesumando pezzi cult come Fleshpot, Folio, Stone e una nuova matita labbra Cool Spice, più vicina alla mitica Spice anni ’90 di quanto lo sia l’attuale versione in commercio. È un ritorno d’archivio che sa di rimpatriata del liceo: la stessa energia, ma con una formula più pulita e un packaging meno tossico (almeno chimicamente).
Ti amo, ma sei scaduto: la nostalgia nel beauty
La nostalgia beauty esplode adesso perché viviamo in un’epoca in cui tutto cambia troppo in fretta e l’identità è un eterno "refresh". Recuperare vecchi prodotti è il nostro modo di rallentare, di placare l’ansia del nuovo rifugiandoci nell’unico luogo emotivamente stabile: il passato. Non stupisce, quindi, se una ricerca del 2021 ha rivelato che una persona su quattro continua a usare prodotti scaduti. E non per disattenzione, ma per affetto. Lo conferma la TikToker Emma Abrahamson, diventata virale per aver festeggiato il "decimo anniversario" della sua Naked Palette di Urban Decay, non più in vendita dal 2018. Tra i commenti al suo video, un utente scrive: “Potete strapparmi la mia Naked Palette del 2012 solo dalle mie fredde mani morte". Un altro: "La mia deve avere almeno 11 anni! Crescono così in fretta". È umorismo da internet, certo, ma anche la confessione collettiva che siamo sentimentalmente legati a prodotti che non ci servono più, ma che ci ricordano chi eravamo. Ci aggrappiamo ai cosmetici come a frammenti di memoria. Il profumo di un rossetto MAC o la lucentezza di un flacone Lancôme anni ’90 possono evocare più sicurezza psicologica di un’intera skincare routine coreana.
@emma.abrahamson bye I know it has to be expired & guess what I don’t care. hot girls still have their naked palette. #nakedpalette #urbandecay #makeup original sound - Ascnd
Il ritorno dei nude freddi (e il lutto per il malva perduto)
Il revival del make-up d’archivio ha acceso una vera caccia al tesoro tra i fan dei toni freddi, tanto da spingere marchi come MAC, NARS, Lancôme e Make Up For Ever stanno setacciando gli archivi per riportare in vita texture e tonalità perdute. Peccato che più l’industria cerca di replicare i toni iconici del passato, più sembra allontanarsene. Anche con spettrofotometri e tecniche innovative, nessuno riesce davvero a catturare quel preciso marrone malva che indossava nostra cugina nel 1998 e ci piaceva tanto. E poi, perché oggi tutto è più arancione? La make-up artist Erin Parsons, storica della bellezza e paladina del revival, spiega che gli ingredienti cambiano, le normative pure (e sì, usare gli stessi pigmenti di allora oggi ci porterebbe “dritti in prigione”, come ha detto scherzando Nicola Formichetti, direttore creativo globale di MAC). Molti pigmenti vintage, come il carminio o il talco, non possono più essere usati, e le formule moderne, più sicure e vegane, alterano inevitabilmente la resa cromatica. Risultato? Oggi è praticamente impossibile ricreare le tonalità originali. Ma forse è proprio questa impossibilità a renderle così desiderabili. Quello che davvero cerchiamo non è un determinato marrone, ma la sensazione che ci dava la prima volta che ci siamo sentite grandi, cool, diverse. Come ha detto a Dazed Digital la ex sviluppatrice di prodotti e una delle due metà di The Lipstick Lesbians Alexis Androulakis: "Le persone si affezionano emotivamente a un prodotto molto più di quanto ricordino visceralmente il colore stesso. Ricordano come il prodotto le ha fatte sentire. Ricordano come si sono sentite quando si sono guardate indossando quel prodotto. Vogliono ottenere quella sensazione. Vogliono ricordare quel preciso momento".
L’archeologia del beauty
Su TikTok, i video con l’hashtag #vintagemakeup totalizzano milioni di visualizzazioni. Tra flaconi Dior, rossetti Revlon anni ’40 e portacipria Avon a forma di poltroncina, l’algoritmo ci serve una versione glamour del passato, filtrata e patinata. La truccatrice Lisa Eldridge ha trasformato la sua collezione, che spazia da rossetti appartenuti ad Audrey Hepburn a portacipria cinesi del 1000 d.C., in una masterclass visiva di storia del beauty. Mentre creator come Mako Bayramyan (VuloxVanity) o Olivia White (LivvyLoveASMR) trasformano le boccette vintage in oggetti di culto sensoriale, tamburellando con le unghie sui flaconi in una liturgia quasi ipnotica. Il fascino dell’archivio beauty, che, in un colpo solo, unisce storia, estetica e cultura pop, è comprensibile. Eppure, non tutto ciò che è vintage è meglio. Molti prodotti d’archivio non possono essere riprodotti per motivi di sicurezza, e altri semplicemente… non erano così buoni.
L’arte (impossibile) di ricreare il passato
Idealizzare il passato è un hobby a basso costo, ma non sempre innocuo. La verità è che molti dei prodotti che ricordiamo con tanto affetto non supererebbero nemmeno un test di sicurezza odierno. Ci piace pensare agli anni ’50 come l’epoca del glamour, ma dimentichiamo che nelle creme viso c’era radio, nelle ciprie c’era talco, e nei rossetti scarafaggi frantumati. Oggi viviamo in un’era di consapevolezza del consumatore, dove il clean beauty, la sostenibilità e le formule cruelty-free non sono più nicchia, ma norma. E questo è un progresso, anche se a volte rimpiangiamo la sensualità perduta del packaging in metallo e velluto. Siamo fortunati a poterci permettere di essere nostalgici e sognare nostra nonna che si truccava davanti allo specchio d’ottone senza rischiare un’eruzione cutanea. Forse la vera lezione è accettare che la nostalgia non è un ritorno, ma un ponte. Un modo per riconnetterci con chi siamo stati e con chi, tra un rossetto e una riformulazione, speriamo ancora di diventare.
L’industria del déjà-vu
La nostalgia vende. E finché venderà, i brand continueranno a setacciare gli archivi alla ricerca del prossimo ritorno iconico. Dal Cool Spice Lip Pencil di Mac Cosmetics alle Juicy Tubes di Lancôme, ogni revival promette di restituirci un frammento di felicità pre-digitale. Ma quanto può durare? La nostalgia fatigue è dietro l’angolo e l’effetto collaterale di questo eterno revival è un’industria che guarda solo nello specchietto retrovisore. Forse è il momento di considerare la storia del beauty come un archivio aperto da reinterpretare e aggiornare. Perché sapere da dove veniamo è bellissimo. Restarci intrappolati un po’ meno. La passione per il make-up d’archivio dovrebbe insegnarci ad amare il passato, ma anche a lasciarlo andare. A truccarci come chi siamo oggi, non solo come chi eravamo. Dovrebbe lasciarci spazio per cambiare. Quindi sì, possiamo anche continuare a idolatrare la nostra palette Naked del 2012, ma prima o poi dovremo accettare che l’archivio è un posto bellissimo da visitare e non per traslocarci dentro.
























































