
Come eravamo: Instagram 15 anni dopo Dalle cornici ai reel: così si è evoluta l’app che più ha segnato il nostro rapporto con i social media
Il bacio di Kim Kardashian, il caminetto di Kylie Jenner, il selfie a torso nudo di David Beckham. Se esiste qualcosa di democratico a questo mondo, è l’assoluta banalità del primo post condiviso su Instagram, che voi siate star o comuni mortali. In generale, scorrere oggi il proprio profilo a ritroso è un’esperienza a tratti mistica e surreale. È un viaggio in un album dei ricordi virtuale, in cui molti di noi hanno affastellato buona parte di quello che è capitato loro negli ultimi quindici anni, per molti trascorsi nel (doloroso) passaggio tra l’adolescenza e la vita adulta. Su Instagram abbiamo vomitato pensieri e immagini, storie di viaggi, buoni propositi per gli anni a venire e celebrazioni di festività e compleanni. Per molti è ancora un luogo adibito all’archiviazione dei ricordi, per altri è diventato un lavoro. Per tutti è una fonte quotidiana di distrazione, svago, ma anche alienazione. Come scrive nella sua newsletter Sean Monahan, esperto di tendenze, probabilmente Instagram è la piattaforma che, più di ogni altra, ha definito l'esperienza internet dei millennial: "Non c'era bisogno di un nome d'arte pittoresco. Non c'era bisogno di essere divertenti. Bastava la propria faccia". Così tutto è iniziato.
La nascita di Instagram, nel 2010
Era il 6 ottobre 2010 quando due giovani sviluppatori di San Francisco, Kevin Systrom e Mike Krieger, lanciarono Instagram: un'app nata dalla semplificazione di un progetto precedente, Burbn, che combinava check-in nei vari luoghi, geolocalizzazione e condivisione di foto. Ben presto, i fondatori si resero conto che gli utenti erano molto più interessati alla funzione fotografica che alle altre. Rimossero il superfluo e si concentrarono esclusivamente sulla condivisione di immagini con filtri preimpostati, rendendo più facile per chiunque creare contenuti visivamente accattivanti (a riguardarli oggi, non si direbbe). In sole 24 ore dall’uscita su iOS, Instagram fu scaricata da 25.000 utenti; dopo due mesi, erano già un milione. L’arrivo su Android nel 2012 segnò un nuovo picco, con un milione di download in un solo giorno. Pochi giorni dopo, la svolta definitiva: Facebook (oggi Meta) acquistò Instagram per un miliardo di dollari, intuendone il potenziale culturale e commerciale. Da lì in poi, il mondo del social networking - ma anche quello della moda, della bellezza e del lifestyle - non sarebbero mai più stati gli stessi.
Le ere di Instagram: dalle foto alla performance
È indubbio che molte cose su Instagram siano cambiate in questi anni. L’esperimento è partito con foto quadrate, filtri e cornici. Siamo poi passati - qualcuno lo ricorderà - all’ossessione per i bordi bianchi e i profili in palette. Fino ad arrivare all’avvento dei video, con le stories prima e i reel poi. L’app si è evoluta mentre cambiava il mondo intorno a lei: non solo nelle tipologie di contenuto, ma anche nello stile e nei gusti degli utenti che lo generano. Sean Monahan ha individuato in questo percorso sei diverse "ere", che ne identificano forse gli snodi più salienti. La prima - tra il 2010 e il 2012 circa, dice Monahan - è l’era delle foto. Era il regno della spontaneità. Si fotografava qualsiasi cosa, dal tramonto alla tazza della colazione, senza preoccuparsi troppo del feeling estetico o della didascalia accattivanti. Poi sono arrivati i meme e i contenuti virali, tra il 2013 e il 2015 circa. È il periodo dei primi account tematici, che diventano strumenti di aggregazione e contribuiscono a coniare un nuovo linguaggio culturale, mentre su Instagram si fa spazio l’ironia. Nel mentre, comincia ad emergere tutto il potenziale commerciale dell’app. Si apre, intorno al 2016, l’era della performance (o Clout Era): gli utenti iniziano a costruire il proprio profilo come un brand; follower, like e collaborazioni diventano metriche di successo e Instagram si trasforma in uno status symbol. Nascono gli influencer e le aziende sbarcano sulla piattaforma.
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Attivismo, content e AI: che ne sarà di Instagram?
Arrivati a questo punto, se non sei su Instagram non esisti. Contemporaneamente, complice lo scoppio della pandemia, l’app si trasforma anche in un luogo di attivismo digitale: spopolano le grafiche informative, i caroselli educativi e gli “infopost”. L’estetica è più sobria, il contenuto più politicizzato. Anche l’informazione prende sempre più corpo su Instagram. In quel momento, però, inizia a farsi strada TikTok. Ed ecco che si approda all’era del content (2021-2023): Instagram punta tutto sui reel e sul micro-intrattenimento, il contenuto diventa sovrano anche a scapito dell’autenticità. A dettar legge ora è l’algoritmo. Così arriviamo a quella che Monahan chiama The Slop Era, ovvero l’era (attuale) del contenuto scadente. Una definizione che può richiamare da un lato un gusto per immagini e video sempre meno impostati - come i dump lanciati dalla Gen Z - dall’altro una tendenza alla creazione di contenuti poco originali, massificati: la causa e la conseguenza di uno scroll compulsivo e poco interattivo, che probabilmente finirà per aggravarsi con il dilagare dell’AI. È un ritorno al disimpegno, ma in versione esausta. Siamo passati così dalla condivisione alla performance, dall’attivismo alla saturazione. Che futuro c’è per Instagram e, soprattutto, per noi su Instagram? Difficile a dirsi, ma intanto noi siamo qui. Finché Zuckerberg non ci separi.



















































