Ombretto is back, baby Storia di come il trucco occhi sia sopravvissuto alla clean girl, a TikTok e alla noia collettiva

Solo pochi anni fa l’ombretto veniva trattato come un parente imbarazzante alle cene di famiglia: meglio ignorarlo. Era stato dichiarato fuori moda, superato, roba da Millennial. Peggio, da vecchie. In un’epoca dominata dall’estetica clean girl, dalle palpebre nude e dalla pelle glowy, il trucco occhi sembrava un gesto eccessivo, quasi sospetto. Troppo pigmento, troppa intenzione, troppo tempo speso davanti allo specchio. E così l’ombretto è stato accompagnato alla porta, insieme alla riga laterale e ai jeans skinny. Lo abbiamo salutato con sufficienza, convinte che non ci sarebbe mancato. Spoiler: ci è mancato eccome.

Quando l’ombretto è diventato un crimine estetico

Ripensandoci ora, il processo è stato quasi crudele. C’è stato un periodo in cui bastava un tocco di colore sulla palpebra per sembrare fuori tempo massimo. Le palette gigantesche degli anni passati avevano fatto danni irreparabili. Troppi lanci, troppe promesse, troppe sfumature mai usate. Il trucco occhi si era trasformato in una prestazione atletica, più che in un piacere. Cinquanta tonalità, dodici pennelli, venti minuti per uscire di casa con la sensazione di aver comunque sbagliato qualcosa. La Generazione Z, che è cresciuta a colpi di tutorial rapidi e make-up “da cinque minuti”, oltre ad avere una soglia di tolleranza bassissima per tutto ciò che richiede sforzo non ricompensato, ha detto basta. Meglio una palpebra nuda, al massimo una passata di mascara e via. E così l’ombretto è diventato una specie di inside joke, il simbolo di un beauty percepito come vecchio, faticoso, inutilmente elaborato. Un’estetica da evitare, possibilmente da deridere.

Clean girl: minimal, sì, ma con il fucile puntato

L’estetica clean girl si è presentata come una promessa di libertà, ma in realtà funzionava più come un regolamento condominiale. Tutto doveva sembrare semplice, fresco, naturale, anche quando era palesemente costruito. La pelle doveva brillare ma non luccicare, le sopracciglia essere perfette ma invisibili, le labbra lucide ma mai colorate. In questo schema rigido e sorridente, il trucco occhi non aveva posto. L’ombretto era visto come un atto di ribellione non autorizzata. Troppo colore, troppa presenza, troppo carattere. Le palpebre sono diventate superfici neutre, quasi disciplinate, come se il colore occhi fosse una tentazione da tenere a bada. Peccato che l’autocontrollo estetico, a lungo andare, sia mortalmente noioso.

Il momento in cui abbiamo detto: ok, basta

Il ritorno dell’ombretto non è stato improvviso, è stato inevitabile. È iniziato quando ogni volto ha cominciato a sembrare lo stesso volto. Quando labbra e guance si sono trasformate in un loop infinito di gloss, oli e blush, rincorrendosi in una gara infinita a chi è più juicy e più glazed.  A quel punto lo sguardo, ignorato per troppo tempo, ha fatto quello che fanno le parti trascurate: ha iniziato a urlare. Il trucco occhi è tornato come risposta alla monotonia. Perché l’ombretto, a differenza di tanti altri prodotti, non promette di migliorarti. Promette di cambiarti. Di raccontare un’attitudine, creare un personaggio. E, in un’epoca ossessionata dall’ottimizzazione, cambiare è un atto radicale.

Il nuovo ombretto: meno circo, più cervello

Tranquille. Non stiamo tornando all’era del full glam quotidiano. Non è una replica del passato. Non è nostalgia da cut-crease 2016 né revival delle palette XXL comprate sull’onda di un hype momentaneo. Il nuovo ombretto è più intelligente, più consapevole, più mirato. Le formule sono cambiate, diventando più performanti, più facili da usare, più versatili. Stick, ombretti in crema, texture ibride che si applicano con le dita e resistono per ore parlano un linguaggio nuovo, pensato per chi vuole un trucco occhi d’impatto senza dover seguire un corso accelerato di blending. È espressività senza burnout, colore senza sensi di colpa. Così, la Generazione Z ha cambiato idea. O, meglio, ha solo deciso che doveva funzionare secondo le sue regole. Niente smokey eye da due ore, niente layering compulsivo. Un colore opaco messo bene, una texture metallica scelta con criterio, un accento che sembra spontaneo ma non lo è mai davvero. Il trucco occhi diventa un gesto rapido, ma intenzionale, capace di dare carattere senza appesantire. È un’estetica che rifiuta l’eccesso per l’eccesso, ma abbraccia l’espressione personale con una nuova maturità visiva.

Passerelle e pop culture: lo sguardo torna protagonista

Sulle passerelle il messaggio è inequivocabile: l’occhio è tornato al centro della narrazione beauty. Ombretti opachi portati fino all’arcata sopracciliare, palpebre metalliche, smokey eyes freddi e grafismi decisi convivono con incarnati puliti, quasi trasparenti. Basta guardare il lavoro  di Isamaya Ffrench per il make-up della SS26 di Collina Strada, quello di Pat McGrath per Anna Sui SS26, di Andrew Dahling per Luar o di Patrick Glatthaar per Blumarine. È un equilibrio studiato, dove il trucco occhi diventa il focus assoluto, mentre il resto del viso fa un passo indietro. Anche nella pop culture, dalle it-girl alle performer, lo sguardo si trasforma in manifesto estetico. Non è decorazione, è dichiarazione. Avete visto i beauty look creati da Sophia Sinot per Zara Larsson?

Blu, verde, bianco e metallici: i colori che non dovevano tornare (e invece eccoci qui)

Se c’è una cosa che il ritorno dell’ombretto ci sta insegnando è che i colori trucco occhi dati per “impossibili” sono esattamente quelli che funzionano meglio. Dopo anni di nude rassicuranti e sfumature che chiedevano il permesso, il trucco occhi torna a parlare a colori pieni. Il blu, che ha dominato l’immaginario tra cinema, pop culture e revival Y2K, si conferma un classico moderno che prepara il terreno a nuove ossessioni cromatiche. E tra queste, il verde avanza con sicurezza, senza più complessi. Per anni relegato in fondo alle palette, associato a ricordi vagamente rétro e a beauty look che sapevano di fotografie ingiallite, l’ombretto verde rientra dalla porta principale. Vintage quanto basta, futuristico al punto giusto, carico di simbolismi legati a rigenerazione, crescita e transizione, è il colore di chi ha superato il minimalismo punitivo e vuole qualcosa di più stratificato. Non a caso, sulle passerelle più attente al linguaggio visivo contemporaneo il verde compare ovunque, declinato in versioni profonde, bombate, quasi mistiche, spesso addolcite da marroni e neutri per renderlo vissuto, mobile, sorprendentemente raffinato. Accanto a lui, in un gioco di contrasti molto 2026, torna anche il bianco. Non il bianco trucco occhi timido da punto luce strategico, ma il bianco consapevole della propria storia. Un colore che affonda le radici nel trucco scenico, nel teatro, nel drag, ma anche nel make-up mod anni ‘60, quando serviva a ingrandire lo sguardo, renderlo quasi alieno, dichiaratamente grafico. E poi ci sono i toni metallici: oro, argento, acciaio, finiture liquide e riflettenti che trasformano la palpebra in superficie attiva. I metallici non servono più a “brillare” in senso letterale, ma a dare struttura, profondità, carattere. Nel nuovo trucco occhi funzionano come accento, come gesto preciso, come scelta estetica consapevole. Sono il punto di incontro tra il desiderio di impatto e la voglia di controllo. Blu, verde, bianco e metallici raccontano la stessa storia: l’ombretto non vuole più mimetizzarsi. Vuole esistere, farsi notare, prendersi spazio. E soprattutto, vuole smettere di chiedere se va bene così.

Bentornato, ombretto. Ci sei mancato

Alla fine, il ritorno dell’ombretto non è una notizia clamorosa. È più una presa di coscienza collettiva. Non è che il trucco occhi sia improvvisamente tornato di moda, è che abbiamo smesso di fingere di poterne fare a meno. Dopo anni passati a inseguire l’illusione di una bellezza silenziosa, naturale, quasi invisibile, ci siamo ricordate che il make-up serve anche, e soprattutto, a dire qualcosa. Anche quando non è chiarissimo cosa. L’ombretto oggi non chiede regole, né tutorial infiniti, né approvazione social. È più libero, più veloce, più intelligente. Può essere un gesto minimo o un atto teatrale, un velo di colore occhi o una dichiarazione visiva. Non promette di migliorare la pelle, non ottimizza il volto, non finge di essere skincare. È colore, intenzione, presenza. Ed è proprio questo che lo rende di nuovo desiderabile. Forse tra un anno cambierà tutto. Forse torneremo a volere palpebre nude e facce pulitissime. Ma per ora l’ombretto è qui, rilassato, consapevole, finalmente a suo agio. Non per piacere a tutti, ma per piacere a chi lo indossa. E, in un panorama beauty che per troppo tempo ci ha chiesto di essere sobrie e perfette, questa è una rivoluzione più grande di quanto sembri.