Pilates, tecnologia e frullati proteici: il nuovo linguaggio del wellness al maschile E come i marchi cercano di comprenderlo, comunicarlo e capitalizzarlo, tra sfide e responsabilità

Un tempo bastava una saponetta economica e una bottiglia di shampoo "2 in 1" per sentirsi a posto. La cura del sé, per il maschio medio, era una faccenda di pochi minuti, da risolvere in silenzio, tra un’occhiata allo specchio e un gesto automatico. Nessuno parlava davvero di benessere, e se lo faceva, era solo per prenderne le distanze. Roba da spa, da riviste femminili, da altri. Fino a quando qualcosa si è incrinato. Quel modello di mascolinità funzionale e stoica ha cominciato a scricchiolare, interrogarsi e riconfigurarsi. Al suo posto è emersa una nuova grammatica del benessere complessa, sfaccettata e a volte contraddittoria, fatta di rituali di cura, tecnologie indossabili, biohacking e supplementi personalizzati. Oggi, la cura del corpo e della mente non sono più solo una pratica individuale. Sono sempre più spesso una dichiarazione di appartenenza, uno statement culturale, politico, esistenziale, un tentativo di dare forma al proprio posto nel mondo, anche per gli uomini. Per i marchi del wellness attraversare questo terreno, fertile ma scivoloso, significa interpretare una crisi identitaria culturale, un desiderio diffuso di controllo e riconoscimento, e tradurlo in prodottimessaggi e comunità. Come ci riescono?

L'industria del benessere per gli uomini, oggi

Il corpo maschile non è più un dato: è un progetto in divenire

Dimenticate il vecchio culto dell’addominale scolpito. O, meglio, non dimenticarlo del tutto, ma rileggetelo. La pandemia ha catalizzato una trasformazione già in corso. Isolamento, fragilità mentale, ridefinizione delle priorità hanno spinto milioni di uomini a esplorare nuove vie per prendersi cura di sé. I dati lo confermano. Secondo lo studio Future of Wellness di McKinsey, l’84% degli uomini appartenenti alla Gen Z e ai millennial considera il benessere una priorità assoluta, superando persino la percentuale delle donne. Pinterest ha registrato un boom nelle ricerche maschili su fitness, alimenti funzionali e rituali di self-care. Il messaggio è chiaro: il wellness è diventato un codice condiviso. E non riguarda solo i giovani. Anche gli uomini più adulti, una volta impermeabili a concetti come meditazione o skincare, stanno ridefinendo la propria relazione con il benessere. Integratori, cicli ormonali, wearable tech, meditazioni guidate, immersioni in acqua gelida e micro-routine personalizzate, tutto rientra in un progetto di crescita personale che ha poco a che fare con la vanità e molto con il controllo e il bisogno di senso, di riscrivere cosa vuol dire essere uomo partendo dal corpo. Dentro questo universo, si muovono costellazioni di nuove tribù: dai looksmaxxer ai devoti del longevity coaching, dai fan di Andrew Huberman ai nuovi spiritual-gym-bros, che uniscono squat e silenzio interiore

@healthyhustlerr Learn how to make physical activity a part of your day and improve your overall well-being #healthylifestyle #fitnessmotivation #cardio #cardiovascular #running #muscle #strength #fitness #fitnessjourney #endurance #activity #movement #cardioexercise #andrewhuberman eredeti hang - HealthyHustlerr

Il wellness maschile come linguaggio contraddittorio

Il culto della performance ha trovato una guida carismatica in Andrew Huberman. Neuroscienziato a Stanford, muscoli ben visibili sotto la t-shirt, linguaggio tecnico ma diretto, ha conquistato una platea sterminata di uomini con il suo podcast iniziato nel 2021. Parla di cervello, concentrazione, ormoni, e lo fa come se ti parlasse un amico brillante con cui hai appena finito una sessione in palestra. E così, è nato l’Huberman husband. Un nuovo archetipo virile che si alza presto, si immerge in una vasca di ghiaccio, beve il suo frullato proteico, conta gli elettroliti e registra il battito cardiaco. Ma non solo. Prova anche, spesso con goffa insistenza, a convincere chi gli sta accanto dei benefici della sua routine. Un tempo c’erano le mogli di Stepford, immaginate perfette e remissive. Oggi c’è l’uomo che vuole ottimizzare ogni secondo, e si misura con gli altri come in un’arena biochimica. La competizione è sempre lì, ma ha cambiato forma: non è più forza bruta ma dati, abitudini, precisione. È vanità, certo. Ma è anche bisogno disperato di approvazione. Questa concezione di benessere come forma di potere, selettiva, estetica, gerarchica e strettamente collegata alla politica conservatrice non è l’unica ad emergere. C’è chi pensa che non sia solo forza, ma anche armonia, equilibrio, lucidità, bellezza sfumata. Lo conferma il primo rapporto sulle tendenze maschili di Pinterest. Aumentano le ricerche su idratazione, alimenti funzionali, skincare e perfino make-up e nail art maschile. I confini sono sempre più sfumati, e la cura estetica non è più vissuta come minaccia alla virilità, ma come estensione della propria narrazione identitaria. Il pilates, un tempo dominio femminile, conquista sempre più uomini. Così come l’arrampicata, che diventa anche estetica, con un +95% di ricerche legate al look.

I marchi come mentori culturali: tra storytelling e design di esperienze

In questo scenario ibrido, i brand non possono più limitarsi a vendere prodotti. Devono vendere significatoappartenenzavisione. È ciò che Julia Alsterberg, curatrice wellness per il retailer Healf, definisce come “passaggio dal bulk and basics al rituale sofisticato”. Non basta più offrire integratori proteici o multivitaminici. Il nuovo consumatore maschile cerca esperienze trasformative, possibilmente su misura, che si integrino con fluidità nella vita quotidiana e che rispondano a bisogni molto più ampi di quelli meramente fisici. Prendiamo l’esempio di Himsmarchio di teleassistenza che ha superato i 2,4 milioni di utenti attivi. La sua forza non sta solo nell’offerta ampia (che spazia dalla disfunzione erettile alla caduta dei capelli fino al supporto psicologico), ma nella narrazione normalizzante e accessibile con cui presenta i suoi servizi. Nessun imbarazzo, nessun gergo medico astruso, ma un tono diretto, umano, ironico: “Avere un problema non è strano. È non gestirlo che è strano”. Una comunicazione che diventa ponte verso una nuova consapevolezza maschile. Anche brand come AG1Momentous e Neuro Gum hanno capitalizzato sulla semplicità d’uso e sull’efficacia narrativa dei loro prodotti. Basta una gomma nootropica o una bustina di Zyn in vista sulla scrivania per evocare un’identità performativa che parla di produttività e virilità moderna.

Sdoganare i tabù, creare accessi

Il vero ostacolo ad un benessere maschile non è tecnologico né logistico. È culturale. Ancora oggi, per molti uomini, parlare apertamente di salute mentale, infertilità o caduta dei capelli può essere fonte di imbarazzo. Ma sono proprio questi temi che, se affrontati con coraggio e autenticità, offrono ai brand l’occasione di distinguersi e di generare una connessione profonda con il proprio pubblico. Marchi come Legacy, specializzati in fertilità maschile, o Headspaceapp di meditazione e crescita mentale, hanno costruito la loro forza su questo principio. Headspace, in particolare, ha capito che per molti uomini il linguaggio dell’equilibrio emotivo può risultare estraneo o addirittura minaccioso. Ecco perché ha costruito il suo ingresso nel mercato maschile attraverso contenuti orientati alla performance mentaleproduttività, concentrazione, gestione dello stress. Il messaggio? La cura mentale non è debolezza. È vantaggio competitivo. Perché per molti uomini il benessere è accettabile solo se è finalizzato al successo. La speranza è che, una volta aperto questo varco nel mondo del wellness, acquisiscano non solo muscoli e longevità, ma una nuova disposizione mentale.

Chi parla è più importante di cosa dice

Nel marketing tradizionale rivolto alle donne, a fare la differenza sono spesso gli ingredienti, le formule, la trasparenza. Nel marketing wellness maschile, invece, il fattore decisivo è spesso la voce narrante. Gli uomini non vogliono perdere tempo a leggere etichette o studi clinici. Vogliono che un personaggio che stimano dica: “questo funziona”. Ecco perché le collaborazioni con figure come Andrew HubermanLewis HamiltonTim Ferriss o Joe Rogan hanno un impatto profondissimo. Questi uomini sono diventati non solo testimonial, ma veri e propri curatori culturali, archetipi di una nuova mascolinità che unisce forza fisica, consapevolezza mentale e lifestyle performativo. C’è un rovescio della medaglia. La scelta dei testimonial da associare al brand è delicatissima. Un endorsement da parte di personaggi polarizzanti, come lo stesso Rogan, spesso associato ai lati più oscuri della cosiddetta “manosfera”, può generare hype ma anche backlash. Perché oggi più che mai, ogni brand di wellness è anche un attore ideologico. Scegliere chi rappresenta il proprio prodotto significa anche definire che tipo di mascolinità si intende promuovere.

Il futuro è ultra-personalizzato, ancestrale e (forse) più sano

Il futuro del benessere maschile sarà sempre più intimo. Test ematici, algoritmi predittivi, consulenze digitali: ogni corpo con il suo protocollo. Non basta sentirsi bene. Bisogna sentirsi uniciHims e Healf stanno già costruendo piattaforme in grado di creare percorsi sartoriali, cuciti su misura attorno a dati biometrici, ormoni, cicli del sonno. Ma c’è anche chi guarda indietro. All’essenziale. All’ancestrale. A una cura che parte dal fegato essiccato e arriva agli integratori NAD+. L’ossessione per la longevità sta scalzando quella per l’estetica.

La chiave: ascoltare la Gen Z (e non sottovalutarla mai)

Alla base di questa trasformazione c’è una generazione che ha ribaltato le regole: la Gen Z. Il suo rapporto con il benessere non è passivo né commerciale. Questa generazione non cerca solo prodotti ma strumenti, linguaggi e visioni per dare senso alla propria vita e alle proprie relazioni. E, cosa ancora più interessante, il suo comportamento diventa modello anche per generazioni più adulte. I contenuti che pubblica su TikTok, Instagram, YouTube e Discord influenzano anche i millennial e i boomer. È un movimento bottom-up, in cui la cura è auto-narrazione. C’è un avvertimento implicito. Se l’attenzione verso la cura diventa ossessione, se l’ottimizzazione diventa competizione, il wellness rischia di trasformarsi nel nuovo volto dell’insicurezza maschile. Tocca ai marchi intervenire con responsabilità, proponendo modelli di mascolinità diversi, complessi, inclusivi e sostenibili, che aiutino a costruire, non a distruggere. Perché oggi più che mai, un brand che opera in questo settore deve, oltre a vendere un prodotto, essere un alleato strategico, un interlocutore culturale, un simbolo di possibilità. Per navigare in questo spazio mutevole, servono tre qualità: empatia, per capire le fragilità senza giudicarle; consapevolezza, per scegliere con chi parlare e in che modo; coraggio, per raccontare verità scomode senza paura.