La violenza e le molestie nello sport indiano non sono una novità Il caso delle giocatrici australiane di cricket è solo l'ultimo esempio

In queste settimane si sta disputando la tredicesima edizione dei Campionati Mondiali di cricket femminile, per cui l’ICC ha designato cinque sedi tra India e Sri Lanka. Il viaggio della World Cup è ripartito da qui dopo la trasferta del 2022 in Nuova Zelanda, dove si era imposta l’Australia, che nei prossimi giorni difenderà il titolo in semifinale proprio contro l’India. Il torneo e le stesse campionesse in carica, però, sono passate alla cronaca internazionale per quanto accaduto settimana scorsa a Indore, città del Madhya Pradesh, dove due giocatrici sono state vittime di molestie sessuali per strada.

L’incidente si è verificato giovedì 23 ottobre, mentre due atlete australiane stavano percorrendo il breve tragitto tra l’hotel e un caffè del quartiere, quando un motociclista le ha inseguite e avvicinate, e quindi ha toccato una delle due in modo inappropriato e ovviamente non consensuale. Informate le autorità locali, l’intervento è stato celere: nel giro di poche ore sono stati ricostruiti i fatti con le telecamere di sorveglianza, che hanno portato all’identificazione e all’arresto di un uomo con precedenti penali. Il caso è stato inquadrato nei nuovi capi d’accusa del codice penale ristrutturato di recente, come violazione degli art. 74 (oltraggio alla modestia) e 78 (stalking). Un episodio che ha portato un’altra volta a galla la drammatica quotidianità delle donne in India.

Le reazioni all'episodio di violenza di genere ai Campionati Mondiali di cricket femminile

In breve la notizia ha fatto il giro del mondo, passando dai notiziari australiani alle testate di ogni continente, e le reazioni non sono tardate ad arrivare. Alcune atlete hanno chiesto agli organizzatori maggiore tutela e campagne più efficaci per prevenire e contrastare il fenomeno; un appello che non si limita a Indore o al mondo dello sport femminile indiano, ma che si estende su una scala ben più vasta. Se questi sono infatti perimetri in cui la prevaricazione maschile è diffusa e normalizzata, il discorso aderisce anche ad altri contesti, sociali e geografici.

Nelle ore successive all’incidente la politica e le forze dell’ordine del Madhya Pradesh hanno prontamente condannato l’episodio e promesso un giro di vite nella tutela delle atlete. Di pari passo, però, è stato detto e ripetuto che si trattasse di un caso isolato che "rischia di macchiare la reputazione" di Indore, "un posto sicuro". Una narrativa, questa, che stride con la realtà del posto, su vari livelli. Innanzitutto perchè il tema della violenza e delle molestie nello sport indiano non è affatto una novità, anzi. Nel 2023 un gruppo di lottatrici locali - tra cui Sakshi Malik, Vinesh Phogat e Bajrang Punia - ha duramente protestato contro l’allora presidente della Wrestling Federation of India (WFI), Brij Bhushan Sharan Singh, che è stato accusato di abusi da diverse atlete, tra cui una minorenne. Le polemiche hanno attirato l’attenzione internazionale e causato un terremoto all’interno del movimento, mentre la United World Wrestling (UWW) sospendeva la WFI. La morbidezza istituzionale e giudiziaria sul caso, però, ha evidenziato una piaga sociale molto più profonda.

La cultura dello stupro a Indore

Secondo i dati NCRB, nella sola città di Indore (tre milioni circa di abitanti) si sono verificati 1.919 reati di violenza maschile nel 2023. Una cifra che raggiunge quota 32.342 di cui 2.979 stupri allargando lo zoom allo stato del Madhya Pradesh, che secondo tali report è il quinto stato tra i ventotto federati per numero di crimini di genere all’anno. Un numero che si avvicina al mezzo milione (448.211) su scala nazionale, sempre su un arco di dodici mesi; quindi una media di oltre 1.200 casi al giorno, più di cinquanta ogni ora, quasi uno al minuto. L’episodio che ha coinvolto le due ragazze australiane, insomma, non è un outlier, nemmeno nella sicura Indore. Stando a un sondaggio pubblicato dalla Commissione Nazionale per le Donne, il 30% delle residenti locali non è d'accordo con la definizione "sicura", e più della metà (52%) racconta di sentirsi in pericolo per strada dopo il tramonto.

Se tali cifre non restituissero un quadro già abbastanza allarmante, va sottolineato che i report della polizia e delle autorità non fotografano l’intero fenomeno, anzi. In India si osserva infatti un bassissimo tasso di denuncia: stando ai dati NFHS (National Family Health Survey), solo il 14% delle vittime di violenza dal partner cerca aiuto, e meno del 2% sporge denuncia formale per abusi da sconosciuti. I numeri precedenti vanno letti quindi come punta di un enorme iceberg, edificato sull’arretratezza normativa e prima ancora su fattori culturali. Un documentario del 2018, Rape is consensual, ha mostrato all’audience globale quanto la colpevolizzazione delle vittime sia radicata e interiorizzata in India, nelle caste più basse soprattutto; e allo stesso tempo come il rischio di “intaccare l’onore” delle caste più protette abbia prodotto una sostanziale impunità. Tutto ciò si riflette nelle conclusioni di uno studio di qualche anno fa della Thomson Reuters Foundation, che ha definito l’India "il paese più pericoloso al mondo per le donne".

Il quadro globale della violenza maschile

Se parlare di caso isolato è fuorviante nel contesto specifico, lo è anche trattarlo come qualcosa che non ci riguarda da vicino. Le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità indicano che più di una donna su quattro nel mondo ha subito nella propria vita episodi di violenza maschile. Le medie nel continente asiatico e africano (30-35%) trainano certamente questo dato, ma in Europa e America del Nord non si scende comunque sotto il 20%.

Non c’è dubbio che in questo schema l’ambiente sportivo sia depositario un po' ovunque di una cultura misogina e violenta. Alcuni casi di lunga gittata mediatica hanno scoperchiato di recente il tema, ad esempio lo Yates Report sugli abusi sistemici nella NWSL (calcio femminile nordamericano), gli scandali nella ginnastica britannica e nell’hockey canadese, e pure la vicenda Rubiales-Hermoso nella federcalcio spagnola. Ma è nella sfera giovanile e amatoriale, ovviamente, che la dinamica si presenta con maggiore frequenza. In uno studio della dottoressa Tine Vertommen condotto in Belgio e Paesi Bassi, ad esempio, il 40% delle donne adulte che hanno praticato sport da minorenni risponde di aver vissuto episodi di violenza psicologica, tra il 10% e il 15% fisica. Dati in linea con quanto emerso da una ricerca paneuropea (CASES) del 2023.

Lo stesso sport italiano è stato travolto negli ultimi anni da diversi scandali, tra ginnastica ritmica (Desio), calcio (Trieste) e basket giovanile (Stella Azzurra). Alle forme di violenza, poi, si aggiungono quelle di discriminazione, come si nota nel luogo più frequentato della vita sportiva italiana: gli stadi di calcio. Dove episodi di sessismo a cielo aperto tre volantini degli ultras che sconsigliano alle donne le prime file, molestie a giornaliste, cori a sfondo discriminatorio o contro addette ai lavori sono la regola, non un’eccezione. E un barometro culturale, non folklore. Le indagini europee sulle tifose allo stadio, del resto, sono piuttosto eloquenti. Kick It out e Women at the Match (Football Supporters’ Association) testimoniano che nel Regno Unito una donna su tre-quattro riceve esplicitamente attenzioni fisiche indesiderate allo stadio, con contatti fisici non infrequenti (7%).

Nessun caso è isolato, così come in India, anche in Europa e nel mondo. Dentro e fuori gli spogliatoi, gli impianti sportivi, i luoghi di lavoro, le case e le strade. E se incidenza e dinamiche possono variare secondo il contesto, ciò che non cambia con la latitudine è l’importanza di dimensionare correttamente il fenomeno. Non minimizzarlo è il punto di partenza, se non altro, per un dibattito più consapevole.