
L'età dei femminicidi I killer diventano sempre più giovani, ma ammettere il buco educativo ed emotivo sembra impossibile
Recentemente, una ragazza di 14 anni ha perso la vita, l'ennesima vittima del patriarcato italiano, di una cultura internazionale e locale di possesso, di una radicalizzazione dei giovanissimi che non è più possibile spazzare sotto il tappeto. Non importano i post pruriginosi che non danno informazioni né risorse, il pietismo alla Barbara D'Urso o le condivisioni nelle storie. Quello che importa è guardare in faccia il problema, senza troppi giri di parole, e cercare di proteggerci e di proteggere i giovani e le giovani da una cosa che esiste da sempre, ma che sembra aver preso una piega ulteriormente sinistra.
Cosa fare se ci sentiamo in pericolo? ma non è la domanda giusta
Potremmo dirvi che se il nostro fidanzato (o ex fidanzato, o crush, o situationship, o storia di una notte, o migliore amico, o uomo nella nostra vita in qualsiasi misura) esibisce comportamenti pericolosi (ci minaccia, ci insulta, scrive di non poter vivere senza di noi, si dimostra possessivo e geloso, ci limita nei comportamenti e nell'espressione, ci controlla) la prima cosa che dobbiamo fare è parlarne e non colpevolizzarci né dargli il beneficio del dubbio. Potremmo dirvi di parlarne con le amiche, con la famiglia, con le forze dell'ordine. Di parlarne con i servizi di sostegno donne online e in presenza, con gli sportelli aperti sul territorio. Qualche esempio? Mama Chat, Rete antiviolenza di Milano, D.i.Re, donnexstrada, Differenza Donna a Roma e molti altri. La verità, però, è che non è giusto girare i riflettori solo e soltanto verso le vittime o potenziali tali. La verità è che il problema ci è sfuggito di mano, e la colpa è di tutti. Degli uomini e dello squilibrio di potere, certo, ma anche di tutti. E i vostri "not all men" non stanno facendo nulla per migliorare la situazione.
I dati della violenza di genere in Italia e le responsabilità del discorso pubblico
I numeri dei femminicidi salgono (secondo l'osservatorio nazionale di Non Una di Meno si parla di 40 femminicidi e almeno 29 tentati femminicidi in Italia nel 2025), le età degli accusati di femminicidio scende. Il problema non inizia all'omicidio, e l'omicidio non occorre nel vuoto, anzi. Secondo l'Istat, infatti, il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). La violenza fisica è più frequente fra le straniere (25,7% contro 19,6%), mentre quella sessuale più tra le italiane (21,5% contro 16,2%). Le straniere sono molto più soggette a stupri e tentati stupri (7,7% contro 5,1%). Le donne moldave (37,3%), rumene (33,9%) e ucraine (33,2%) subiscono più violenze. Il problema è, dunque, intersezionale.
Sotto la lente di ingrandimento non solo, dunque, come difendersi, ma anche e soprattutto un sistema sociale ed educativo che ha fallito e che continua a fallire, dalla famiglia alla scuola a tutto resto. Ancora, sotto esame il discorso pubblico sulla violenza di genere, che anche sulla stampa al femminile rimane legato a stilemi da piccolo schermo, a comunicazioni di pancia e di rabbia che starebbero meglio al bar tra amici piuttosto che su canali istituzionali, che dovrebbero conservare un briciolo di autorevolezza. Non abbiamo guide, e non siamo abbastanza bravi (noi, tutti, singolarmente e in tutte le situazioni in cui facciamo parte di un gruppo sociale) a farlo da soli: a spiegare che la colpa è sempre di chi la violenza, la molestia, l'abuso le perpetra, a cambiare l'idea di mascolinità, che quando esiste dentro al patriarcato è per forza prevaricante, ad accogliere la debolezza, l'incertezza, la complessità, a spiegare a un adolescente maschio che le sue azioni hanno conseguenze, tutte, anche quelle più piccole. Che deve dirlo ai suoi amici, ma che prima deve accettarlo dentro di sé.
Il buco, oltre che ad essere emotivo, è anche educativo e sociale. Il problema non è da indicare, non bastano le istruzioni. Bisogna prima decostruire queste idee dentro di noi, e poi aiutare chi ci circonda a farlo a sua volta. Bisogna partire dal piccolo per arrivare al grande, dal singolo per arrivare al gruppo, bisogna smantellare un sistema che, per sopravvivere, si basa sullo squilibrio di potere, sulla vittoria del forte sul debole, dell'uomo sulla donna, del bianco sul non bianco, dell'abile sul non abile, del canone occidentale sulla diversità. E se per iniziare dobbiamo prima sentirci in colpa, sentirci male, andare in terapia, litigare, allora che ben venga. L'importante è non restare immobili.
Se voi uomini vi sentite, invece, violenti e volete iniziare a lavorare su voi stessi, vi consigliamo Mask.You, Mica Macho, Cerchio degli uomini, Maschile Plurale. Ammettere di avere un problema, aprirsi e ascoltare sono sono i primi passi per un cambiamento che fa bene a tutti, ma abbiamo bisogno di voi.




















































