Quando il maschilismo parla con voce femminile Il caso Anna Falchi e il maschilismo interiorizzato

Qualche giorno fa Anna Falchi, in un’intervista, ha spiazzato il pubblico con alcune dichiarazioni sorprendenti sul catcalling, definendolo in termini quasi lusinghieri, come un segno di apprezzamento che una donna dovrebbe accogliere con gratitudine. Parole che hanno suscitato immediate reazioni, non tanto per la persona che le ha pronunciate, ma per ciò che rappresentano: un esempio lampante di maschilismo interiorizzato, cioè di quelle convinzioni e schemi culturali patriarcali che molte donne, soprattutto delle generazioni più anziane, hanno assimilato al punto da farle proprie.

La trappola del maschilismo interiorizzato

Il maschilismo interiorizzato non è un fenomeno marginale. È una delle conseguenze più sottili e difficili da scardinare del patriarcato, perché non si manifesta attraverso la violenza esplicita, ma attraverso il linguaggio quotidiano, i giudizi, le auto-limitazioni, i consigli tramandati di madre in figlia. È quella voce che dice “non ti lamentare se ti fischiano, vuol dire che sei bella”, o ancora “gli uomini sono fatti così, sta a te adattarti”. Una voce che spesso proviene proprio da altre donne, a testimonianza di come le norme sociali abbiano colonizzato anche l’immaginario femminile. Nel caso di Falchi, la sua reazione positiva al catcalling non è un’eccezione ma una finestra su un modo di vivere e interpretare la femminilità diffuso in una generazione cresciuta negli anni ’80 e ’90, quando l’idea di emancipazione conviveva con una narrazione mediatica che riduceva le donne a corpi da ammirare, da esibire, da desiderare. In quell’orizzonte culturale, il complimento maschile, anche il più invadente, era percepito come legittimazione, come conferma di valore sociale. Non sorprende, allora, che chi è cresciuta in quel contesto oggi possa leggere il catcalling non come molestia, ma come gesto di galanteria.

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Anna Falchi, ospite della trasmissione "La volta buona" ha ribadito quel che aveva già espresso in un'intervista: "Il 'catcalling' non mi dà fastidio. Ce ne fossero di uomini che lo fanno, lasciamoli essere rozzi. Ci lamentiamo che non ci siano più i maschi, ma quella è una cosa da maschio". La conduttrice Caterina Balivo replica: "Tu non credi che sia un po' una molestia? Una ragazza cammina, sta al telefono e qualcuno fa un complimento che mette in imbarazzo". E aggiunge "Una cosa è il complimento e una cosa è sessualizzare l'aspetto di quella persona". Questo video è di proprietà Rai

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Parole pericolose

Se il maschilismo interiorizzato ha radici nel passato, i suoi effetti si sentono ancora oggi. Perché quando donne note e visibili nello spazio pubblico difendono pratiche come il catcalling, non si limitano a esprimere un’opinione personale: alimentano un immaginario collettivo che contribuisce a normalizzare forme di molestia verbale. L’impatto non è neutro: per una ragazza giovane che ascolta, queste parole possono suonare come un invito al silenzio, come una delegittimazione delle proprie esperienze di disagioIl punto non è giudicare singole persone, ma riflettere su un meccanismo culturale. Il maschilismo interiorizzato funziona così: ti fa credere che quello che vivi non è oppressione ma cortesia, che il problema non è l’invadenza altrui ma la tua presunta suscettibilità. In questo senso, è una delle più potenti armi del patriarcato, perché divide le donne tra loro e le spinge a vedere come un privilegio ciò che in realtà è una forma di controllo.

Un presente e un futuro di speranza

Oggi, le generazioni più giovani hanno strumenti diversi per decodificare queste dinamiche: campagne femministe, dibattiti sui social, spazi di condivisione collettiva. Molte ragazze riconoscono il catcalling per ciò che è: una molestia che riduce il corpo femminile a spettacolo pubblico, un atto che non nasce dalla voglia di “fare un complimento” ma dal bisogno di ribadire potere e dominio nello spazio urbano. Eppure, lo scontro generazionale resta evidente. Le parole di Falchi rivelano quanto sia ancora forte lo scarto tra chi considera la libertà femminile come capacità di accettare e sorridere e chi, invece, la rivendica come diritto a camminare per strada senza essere interrotta, valutata, commentataIl maschilismo interiorizzato non è un destino, ma un’eredità culturale che possiamo decostruire. Richiede, però, un lavoro collettivo e intergenerazionale: ascoltare le donne che hanno interiorizzato certi schemi senza deriderle, ma mostrando alternative; dare voce alle esperienze delle più giovani senza sminuirle; cambiare il linguaggio mediatico che ancora oggi esalta l'“uomo che non può trattenersi”. Solo così potremo spezzare il cerchio e costruire un’idea di femminilità che non abbia bisogno di sguardi esterni per legittimarsi.

In fondo, il caso Falchi ci ricorda una cosa: che il patriarcato non sopravvive solo attraverso leggi e istituzioni, ma anche, attraverso le convinzioni delle persone che lo abitano. Quando le donne iniziano a dire “basta” a queste narrazioni, allora lo spazio pubblico diventa finalmente di tutte e non solo di chi si sente autorizzato a possederlo.