Il bonus psicologico è un'opportunità mancata Lo Stato non fa abbastanza e il supporto resta un privilegio per pochi

In Italia la salute mentale è sempre stata trattata come un tema di nicchia, confinato a margine dei discorsi sulla sanità pubblica e spesso intrappolato in tabù e stigma. Per anni “andare dallo psicologo” è stato percepito come un lusso per pochi o come un marchio di debolezza da nascondere. Eppure, qualcosa è cambiato negli ultimi anni. La pandemia di Covid-19 ha scoperchiato fragilità diffuse, portando milioni di persone a sperimentare ansia, stress, solitudine, depressione. Nel giro di poco tempo la domanda di supporto psicologico è esplosa, trasformando quello che era un tema marginale in una priorità nazionale. Dentro questa cornice, il bonus psicologico, istituito per la prima volta nel 2022 e rinnovato più volte, fino all’edizione attuale del 2025, è diventato un simbolo. Non tanto per l’effettiva capacità di risolvere il problema (i fondi disponibili restano fortemente ridotti), quanto per il messaggio culturale che veicola: lo Stato riconosce la salute mentale come una dimensione della salute pubblica, meritevole di sostegno e investimento.

I numeri della sproporzione sulla salute mentale in Italia

Il bonus 2025 prevede un contributo fino a 50 euro a seduta, con massimali annuali che variano in base all’ISEE: più basso è il reddito, più alto sarà il tetto delle sedute finanziabili. In teoria, una misura di equità. In pratica, i numeri mostrano una sproporzione che sfiora l’assurdo: a fronte di circa 6.300 posti finanziati, le domande stimate hanno superato le 400.000 unitàTradotto in probabilità: solo l’1,6% delle persone che ha fatto richiesta potrà ottenere il contributo. È come se, in una platea di cento persone, solo una o due uscissero con il biglietto vincente. Non stupisce che molti in questi giorni abbiano paragonato il bonus psicologico a un gioco d’azzardo, una lotteria sanitaria che rischia di generare più frustrazione che sollievo. Il paradosso è che la misura, nata per abbattere le barriere di accesso alla terapia, finisce per amplificarle: chi resta fuori non solo non riceve il sostegno economico, ma sperimenta la delusione di un bisogno riconosciuto e poi disatteso.

Bonus salute mentale 2025: una domanda crescente e un cambiamento culturale

In Italia, storicamente, la psicoterapia era una pratica scelta da pochi: nel 2019 solo una minoranza dichiarava di essersi rivolta almeno una volta a uno psicologo. Dopo la pandemia, i numeri sono cambiati radicalmente: una ricerca condotta per ENPAP ha registrato un passaggio dal 29% al 39% della popolazione che ha intrapreso percorsi psicologici tra il 2020 e il 2024.  In altre parole, quasi 4 italiani su 10 hanno oggi avuto contatti con un professionista della salute mentale. È un dato che fotografa un cambio di paradigma: non più un fenomeno elitario, ma una pratica diffusa, che tocca giovani e adulti, uomini e donne, lavoratori e studenti. Il bonus stesso ha contribuito a rompere un tabù. Sapere che esiste un contributo pubblico, che non si è soli ad affrontare il peso economico delle sedute, ha reso più legittimo chiedere aiuto. In sondaggi recenti, oltre la metà degli intervistati ha dichiarato che sarebbe più propensa a rivolgersi a uno psicologo se esistesse un sostegno economico stabile. Il contributo, insomma, non solo risponde a un bisogno già esistente, ma genera nuova domanda, attivando chi altrimenti avrebbe rinunciato. Inoltre, il progressismo delle nuove generazioni ha reso la psicoterapia e l’attenzione alla salute mentale, una priorità imprescindibile per una vita felice.

Il nodo economico: un lusso travestito da bisogno primario

La terapia in Italia ha un costo medio che oscilla tra i 50 e i 70 euro a seduta: cifre che, moltiplicate per un percorso continuativo, diventano insostenibili per molte famiglie. Anche quando il bonus viene ottenuto, spesso copre un numero limitato di incontri (tra le 8 e le 12 sedute). Una volta esaurito il contributo, il rischio è che il paziente si trovi costretto a interrompere il percorso, con conseguenze psicologiche ed etiche non trascurabili: sospendere una terapia a metà significa lasciare aperte ferite che avrebbero bisogno di tempo e continuità per essere curate. I critici del sistema attuale sottolineano che così si crea una “psicologia a tempo determinato”, dove solo chi può permetterselo riesce a proseguire, mentre gli altri vengono lasciati indietro. Un corto circuito che finisce per accentuare le disuguaglianze sociali: chi ha meno risorse economiche è spesso anche chi vive condizioni di maggiore vulnerabilità e stress, e che avrebbe più bisogno di supporto.

@vdnews.tv Cinque milioni di italiani non possono permettersi una psicologa, e sette giovani su dieci non ricevono l’aiuto necessario. Nonostante i fondi per il bonus psicologa previsti dalla Legge di Bilancio 2025, l’accesso resta limitato, e la figura della psicologa di base è ancora ferma in Parlamento. Ne parliamo in Soldi in Tasca, il format in cui affrontiamo il temutissimo tema finanziario per capire come gestire al meglio i nostri soldi e procedere senza (troppe) ansie verso il futuro. #salutementale #psicologodibase #bonuspsicologo suono originale - VDnews

Un'opportunità mancata (per ora)

Il bonus psicologico, con tutte le sue fragilità, ha anche avuto però un merito indiscutibile: ha portato la salute mentale dentro l’agenda politica e mediatica italiana. Se fino a pochi anni fa lo psicologo era associato a un cliché,  “ci vanno solo i ricchi” o “ci vanno i matti”, oggi le richieste record hanno dimostrato che la salute mentale è un bene comune, sentito e rivendicato. Il rischio, però, è che lo Stato si fermi alla misura simbolica senza fare il passo successivo: investimenti strutturali. Il Servizio sanitario nazionale, già sotto pressione, offre servizi di psicologia spesso insufficienti: liste d’attesa interminabili, poca disponibilità di professionisti, copertura territoriale disomogenea. Per molte persone l’unica strada resta quella privata, con i costi che conosciamo. L’Italia, insomma, è di fronte a una scelta: continuare a considerare la psicoterapia un privilegio, accessibile a pochi, oppure riconoscerla come un diritto, come già avviene per altre prestazioni sanitarie essenziali. La società è pronta a fare questo salto culturale.