Non c’è poesia ne "Il mio anno a Oxford" Sofia Carson si laurea in "protagonista dei film romantici Netflix", ma non con il massimo dei voti

Non potevamo aspettarci altro: Il mio anno a Oxford è un romance canonico e smielato, in linea con tanti altri prodotti del genere e che non aggiunge nulla, ma davvero nulla alla tipologia di rom-com a cui fa riferimento. Come spesso accade in questi casi il film, un originale Netflix, è l’adattamento che prende ispirazione da un libro omonimo, il romanzo di Julia Whelan pubblicato nel 2018 e sceneggiato per l’occasione da Allison Burnett e Melissa Osborne. A prenderne la direzione è Iain Morris mentre i protagonisti sono due attori che hanno fruttato un certo successo alla piattaforma. Da una parte c’è colei che, a tutti gli effetti, si è confermata nel giro di un paio d’anni la reginetta dei film sentimentali di Netflix, Sofia Carson (Purple Hearts, La lista dei miei desideri). Lui è il re Giorgio dello spin-off La regina Carlotta: Una storia di Bridgerton, Corey Mylchreest.

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Sofia Carson in Il mio anno a Oxford: un amore che non decolla su Netflix

Di certo da una storia d'amore e un destino già scritto non potevamo aspettarci chissà quante variazioni sul tema. E per chi non ha letto il romanzo, ci limitiamo a dire che il racconto prevede l’arrivo della protagonista Anna (Carson) in una delle più antiche università del mondo con conseguente innamoramento e relazione col dottorando/insegnante Jamie (Mylchreest). La questione alunna-autorità è un punto che non viene minimante analizzato all’interno dell’opera. Non è di suo interesse, questo è perfettamente chiaro, e Jamie non è un vecchio insegnante con una cattedra di cui dover mantenere il buon nome e la richiesta rispettabilità. Ma che non venga mai fatto anche solo un accenno al fatto che forse non sia il caso che una studentessa frequenti dal minuto uno colui che tiene le sue lezioni di poesia è senz’altro un elefante nella stanza difficile da non notare.

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Poesia? No, solo cliché

Si passa poi alla caratterizzazione della protagonista, la Anna di Carson, che dire essere stereotipata è un complimento a tutte quelle “personagge sapientine” eppure dal bel faccino che arricchiscono il catalogo del genere romantico. Da subito, infatti, la giovane è gelida e insopportabile, fastidiosa non nel modo empatico e divertente solitamente richiesto da questo tipo di storie. È solamente una di quelle ragazze “speciali” che poi alla fine hanno tutto: l’intelligenza, lo scintillio negli occhi, la preparazione ed anche il principe azzurro. Da parte sua Jamie/Corey Mylchreest ci prova a smorzare l’irritazione che suscita la sua collega ogni volta che appare in scena, quindi costantemente, visto che non perdiamo mai d’occhio la protagonista, e la bilancia anche nel dare dignità allo stile british con i suoi invidiabili outfit, ammirevoli al contrario della qualità, a prima vista, a buon mercato degli abiti della sua compagna, e della sua discutibile frangia laterale.

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Il film Netflix che scivola su troppi stereotipi

Se i personaggi sono dunque la copia carbone di tanti protagonisti simili che sono passati prima, lo è anche la morale spicciola che Il mio anno a Oxford vorrebbe impartire: non importa quanto si vive, l’importante è abbracciare ogni secondo con quanta più intensità possibile. Un po’ modesto come insegnamento per un film dove si tengono corsi di letteratura. Perciò, senza infamia, ma soprattutto senza nessuna lode, Sofia Carson si laurea ufficialmente ad honorem nella categoria “prima della classe dei film romantici”, ma non è detto che ciò significhi che siano poi opere di qualità. Il mio anno a Oxford, ad esempio, non lo è affatto.