La dipendenza dallo shopping esiste davvero? L'opinione delle esperte sullo shopping compulsivo

"Soffro di shopping compulsivo" è una frase ormai diventata comune, utilizzata dai personaggi dei libri, nei film e nelle serie tv sotto forma di battuta ironica. Quante volte vi sarà capitato di dirlo, solo perché fate qualche acquisto online di troppo? Abbiamo voluto chiederci: cos’è davvero la dipendenza da shopping? "Quando vedo un negozio, il mio cuore batte più forte. È come innamorarsi... solo che dura di più". Rebecca Bloomwood in I Love Shopping la descriveva così, ma cosa pensa un’esperta di neurofashion?

Cos'è la dipendenza da shopping o shopping compulsivo?

La dottoressa Chiara Salomone definisce la dipendenza da shopping come "un bisogno incontrollabile di acquistare che va ben oltre la voglia di concedersi un piccolo piacere. È un modo per anestetizzare il dolore, per riempire un vuoto, per sentirsi vivi quando dentro si prova solo un grande silenzio emotivo. Il sollievo arriva, certo, ma dura poco. E subito dopo arriva la vergogna, il senso di colpa, a volte anche i problemi economici. È un circolo vizioso in cui la carta di credito diventa la stampella per un cuore che zoppica". Ci spiega poi le origini del termine:"Non è un fenomeno nuovo, se ne parlava già a inizio Novecento, ma negli ultimi decenni, con larrivo del consumo di massa, delle-commerce e dei social, è diventato più visibile e più diffuso. Con la società dei consumi e la facilità di accesso al credito, il terreno è diventato sempre più fertile". La psicologa Gaia Cavalleri sottolinea che questa problematica è emersa nel linguaggio clinico con il termine "oniomania" (con Kraepelin e Bleuler), ma ha ricevuto attenzione crescente dagli anni ’80, quando si è diffusa l’idea del consumo come forma di gratificazione.

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Possiamo definire un vero e proprio disturbo psicologico la dipendenza da shopping?

Le esperte ci rispondono di sì, ma con una precisazione. Sebbene non sia ufficialmente riconosciuto dal DSM-5 TR (il manuale diagnostico dei disturbi mentali) o ICD-10 come categoria diagnostica autonoma, molti studiosi e clinici lo considerano un vero e proprio disturbo psicologico, comportamentale e impulsivo. Condivide molte caratteristiche con le dipendenze da sostanze (es. craving, astinenza, ricadute), ma senza l’assunzione di droghe o alcol. Per questo rientra tra le new addictions, o dipendenze comportamentali. Cavalleri ci spiega che condivide tutti i criteri delle dipendenze, come:

- Salienza (dominanza nella vita)
- Craving
- Astinenza (emotiva)
- Ricadute e conflitto interpersonale

Inoltre, come ha affermato Varley, lo shopping compulsivo è spesso sintomo di disturbi più gravi, ma questo non esclude la sua natura psicopatologica autonoma. La Salomone, aggiunge che "non importa se esiste una categoria diagnostica: quando una persona sente che lo shopping governa la sua vita, che non riesce a fermarsi e che l’acquisto è l’unico modo per calmare emozioni ingestibili, siamo davanti a qualcosa che merita attenzione psicologica. Non è frivolezza, non è superficialità: è un grido d’aiuto mascherato da borse piene di oggetti".

Quali sono i soggetti che rischiano di sviluppare maggiormente la dipendenza da shopping?

Chiara Salomone fa rifermento a ricerche recenti che ci dicono che le persone più vulnerabili sono quelle con bassa autostima, difficoltà a gestire le emozioni, o una storia di ansia e depressione. E sì, nei dati emerge una maggiore prevalenza nelle donne: non perché siano "più deboli", ma perché culturalmente per decenni lo shopping è stato associato all’universo femminile come forma di gratificazione socialmente accettata. Negli uomini può esprimersi in altri modi: tecnologia, auto, gioco d’azzardo. La verità è che il meccanismo è lo stesso: compro non per avere, ma per essere. Cavalleri aggiunge alcuni dati interessanti e cita anche i disturbi di personalità, in particolare evitante, borderline e ossessivo-compulsivo. Evidenzia che le donne tra i 30 e i 40 anni sono i soggetti più a rischio, anche se la tendenza è in crescita tra i giovani uomini, specie nell’e-commerce. Un 60% dei compratori compulsivi presenta almeno un disturbo di personalità, e si osserva spesso co-morbidità con alcolismo, cleptomania, disturbi alimentari e gioco d’azzardo.

L’avvento di internet e i social network hanno peggiorato la situazione?

"Con l’avvento dell’e-commerce e dei social network è diventato molto più facile comprare, è vero", ammette la Salomone. La barriera dello spazio-tempo si fa sempre più sottile e questo può mandarci in confusione. L’esperta sottolinea infatti che lo facciamo ovunque e a qualsiasi ora, senza nemmeno renderci conto di aver speso davvero dei soldi. Tuttavia fa luce sulla questione, spiegandoci che: "Non possiamo pensare che Internet in sé crei la dipendenza: piuttosto amplifica certe vulnerabilità già presenti. I meccanismi delle piattaforme (notifiche, offerte lampo, algoritmi che ci mostrano ciò che potremmo volere) parlano direttamente al nostro cervello impulsivo e alla nostra ricerca di gratificazione immediata". Salomone conclude con uno spunto di riflessione che dovremmo tenere sempre a mente quando stiamo per riempire il nostro carrello: "Non è solo cambiato il luogo dove compriamo, è cambiata la nostra relazione col consumo: oggi il consumo è spesso usato come un regolatore emotivo. La questione non è demonizzare i social o lo shopping online, ma chiederci: che cosa sto cercando davvero quando (dal divano di casa, dall’ufficio, dal letto, dal mare) clicco su compra ora?". Dall’altro lato, Cavalleri pone l’accento sulla potenziale pericolosità di questi sistemi: "I social media e la pubblicità online promuovono costantemente ideali consumistici e stimolano bisogni fittizi, facendo leva su insicurezze personali e senso di appartenenza. Come nota Goldsmith, il comportamento compulsivo tende ad aumentare proprio in ambienti online. Quindi sì, è più facile oggi sviluppare la dipendenza, anche se il comportamento alla base è lo stesso: cambia il contesto, ma non la vulnerabilità psicologica".

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Consigli per smettere di essere dipendenti dallo shopping

"Ho speso 40.000 dollari in scarpe e non ho un posto dove vivere? Finirò per essere la vecchia che vive nelle sue scarpe” diceva la cara Carrie Bradshaw, forse smettere di fare shopping le avrebbe fatto bene, ma intanto lo diamo a voi. Salomone rivela che: "Non esistono soluzioni facili, e non suggerirò di tagliare la carta di credito o disinstallare le app: non serve a nulla se non guardi al perché compri. Quando lo shopping diventa compulsivo, il problema non è tanto smettere di comprare: è capire cosa stai cercando di calmare, di riempire, di dimenticare. Il bisogno vero non è un vestito o un oggetto, ma unemozione che chiede di essere vista. E questo lavoro non si fa da soli: serve qualcuno che ti accompagni a guardare dentro quel vuoto e a capire come riempirlo in modi nuovi. Perché smettere di comprare è solo il sintomo di qualcosa che sta guarendo, non la cura in sé". Come raccomanda Cavalleri: nel momento in cui il problema diventa invalidante ed intacca almeno uno degli aspetti della vita della persona è opportuno rivolgersi ad uno psicologo ed intraprendere un percorso verso il raggiungimento del benessere interiore.