
È la fine dei leggings, e adesso? Corpi meno fasciati e silhouette più libere: è davvero la fine della leggings-mania?
Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano, recita una famosa canzone. Si può dire lo stesso dei leggings, che - amati e odiati - non hanno mai davvero abbandonato il guardaroba delle donne, per diverse generazioni. Ora, dopo più di un decennio in cui hanno rappresentato il passepartout per uscite informali, viaggi, allenamenti e look domestici, sembra che la loro era possa essere davvero giunta al termine. Al loro posto vengono preferiti pantaloni più morbidi, destrutturati, nel complesso più comodi. All’origine di questo cambio di tendenza c’è sicuramente un cambio di rotta dettato (anche) dalla Gen Z, che all’athleisure e ad un estetica "performativa" preferisce una moda più rilassata. Paradossalmente, questo approccio sembra aver contaminato anche l’abbigliamento sportivo, di cui i leggings sono stati per almeno una decade protagonisti indiscussi: ora anche qui troviamo pantaloni della tuta ampi, parachute o semplicemente pantaloncini comodi arrotolati in vita. Le silhouette hanno smesso di essere fascianti, per abbracciare una maggiore libertà. Ma come è iniziata la caduta libera degli yoga-pants, emblema dei Millennials?
L’origine, il boom e il burnout dei leggings
Per risalire all’origine dei leggings bisogna tornare agli anni Cinquanta, quando ancora si chiamavano fuseaux. Il nome - che risuona ancora oggi sulla bocca delle nostre nonne - venne coniato da Emilio Pucci, che per primo ebbe l’idea di creare un paio di pantaloni molto attillati, da indossare con maxi abiti. Sempre a Pucci si deve l’invenzione del modello Viva, con staffe sotto al piede, e Capri, con la caratteristica lunghezza a metà polpaccio. Poi ci fu Mary Quant, che ai fuseaux abbinava minigonne e scarpe con plateau. Negli anni Ottanta, quindi, i leggings diventarono colorati e fluorescenti, simbolo per eccellenza della popolarità dell’aerobica e dell’abbigliamento sportivo (mai sentito parlare di Jane Fonda?). Dopo una parentesi in cui le linee si sono fatte più morbide e la vita si è abbassata, i leggings - ormai con un nuovo nome - sono tornati popolari nei primi anni Duemila. Prima indossati sotto a minigonne di jeans, poi come veri e propri pantaloni. Neri, poi sempre più colorati (quelli con la stampa della galassia, chi se li dimentica) e performanti, perfetti per allenarsi in palestra, prendere un aereo o fare un brunch con le amiche. Integrati perfettamente nell’ideale "girlboss" - diffusosi a metà degli anni ’10 - che incarnava in outfit coordinati con crop top e blazer oversize una perfetta combinazione di fitness, carriera e branding personale. Poi è arrivata la pandemia, e lo zampino della Gen Z. Dopo i mesi trascorsi chiusi in casa, abbiamo scelto la comodità. Nel frattempo, l’estetica girlboss - costruita attorno a un ideale iper-performativo, individualista e spesso poco inclusivo - ha cominciato a mostrare le sue crepe. Archiviata da molte per il suo carico di pressione e aspettative, ha lasciato spazio a stili più autentici, fluidi e meno ossessionati dalla produttività a ogni costo.
@overthemoonfaraway They weren’t. . . . #2010s #millennials #2013 original sound - Erin Miller
Il ritorno ai pantaloni: morbidi, ma chic
Così i leggings hanno resistito alle maree, con alti e bassi, fino ad oggi. Basta un giro sui siti di abbigliamento sportivo e casual per accorgersi che i brand hanno iniziato a proporre alternative: persino Lululemon, che si è affermato come leader mondiale del settore proprio grazie ai suoi pantaloni in spandex, o Skims, nato dall’ossessione di Kim Kardashian per tutto ciò che è fasciante. Di recente, i leggings hanno assunto silhouette via via più scampanate, per poi lasciare spazio a pantaloni morbidi, protagonisti ormai indiscussi delle classi di pilates. Nella vita quotidiana, parallelamente, hanno preso piede pantaloni di cotone o lino con elastico o coulisse, ampi sul fondo, da indossare proprio come si indossavano i leggings: con un maglione, una tshirt oversize, una felpa, oppure una camicia. Si trovano ovunque, dal fast fashion - Uniqlo in testa - a brand indipendenti che hanno saputo cavalcare la nuova esigenza di un mix tra raffinatezza e comfort. Come Leset - nato nel 2019 e con una crescita registrata nel 2024 del 200% - il cui modello più venduto è il Kyoto Carpenter Pant, un pantalone in popeline con coulisse. O Donni, virale negli Stati Uniti grazie ai suoi capi essenziali in materiali premium - come cotone pima, lino, spugna e flanella - simbolo per eccellenza di una nuova comodità, più sofisticata.
La fine di un’era, o solo una nuova fase?
Più che una scomparsa definitiva, la ritirata dei leggings sembra rappresentare un cambio di paradigma: non ci stiamo liberando della comodità, ma dell’idea performativa di comfort. Quella che pretendeva corpi fasciati, addominali scolpiti e produttività anche nel tempo libero. Oggi vestiamo il relax in modo diverso: più rilassato, più reale, più nostro. I pantaloni morbidi, destrutturati e curati nei materiali, diventano la nuova uniforme di chi ha smesso di inseguire il multitasking da copertina. E se i leggings torneranno (perché torneranno), sarà forse con un nuovo spirito: meno uniforme da palestra, più scelta consapevole.


















































