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Non ci sono più le It Girls di una volta

Nonostante le varie Kendall e Hailey, non bastano milioni di follower e stylist professionisti per dirsi un'icona di stile

Non ci sono più le It Girls di una volta  Nonostante le varie Kendall e Hailey, non bastano milioni di follower e stylist professionisti per dirsi un'icona di stile

Il linguaggio della moda contemporanea è costellato da titoli e definizioni ripetuti, abusati o utilizzati a sproposito, spesso affibbiati a figure non all'altezza (o all'oscuro del significato) di tali etichette. It Girl è senza dubbio una delle espressioni più usate per parlare di donne con un certo stile - ben definito e riconoscibile -, che negli ultimi anni è diventata un passe-partout donato a chiunque appaia nelle foto di street style di una fashion week o abbia un seguito online. 

È proprio durante il fashion month che questa definizione conosce un uso illimitato e indiscriminato. Quando però, qualche settimana fa, l'espressione ha invaso riviste e social media precedendo il nome di Chloë Sevigny, è tornata ad avere un senso. L'attrice, scelta per aprire lo show newyorchese di Proenza Schouler, deve molto della sua fama a quel titolo, datole per la prima volta dal New Yorker in un articolo del 1994. 

La confusione intorno ad un attributo codificato che deve la sua origine allo scrittore Joseph Rudyard Kipling e in seguito alla scrittrice e sceneggiatrice britannica Elinor Glyn, rimanda ad problema più ampio di linguaggio che interessa l'industria della moda. Brand e pubblicazioni di settore, infatti, sono svelti a definire chiunque una star, un'icona di stile, una It Girl, piuttosto che utilizzare titoli come influencer o content creator, quasi fossero degli appellativi di minore importanza o valore. Questo contribuisce a creare una distanza inconciliabile tra il cosiddetto establishment e le figure che negli ultimi anni hanno rivoluzionato il fashion system, a volte osteggiate, altre celebrate, ma sempre utilizzate a fine di business e marketing. 

La definizione di It Girl ha molto più a che fare con l'attitude della persona, con quel certo non so che che si traduce in uno stile personale, unico, davvero originale, in grado di mixare lusso e fast fashion, maison storiche e brand emergenti, trend del momento e pezzi vintage, sempre con un tocco inedito. Alla base di quel je ne sais quoi occorrono una sincerità e un'autenticità cancellate dai meccanismi della fashion industry attuale. La costruzione di un personaggio, lo studio di un'estetica ben definita, l'abbinamento di capi e brand finemente accostati sono tutti elementi contrari e antitetici alla natura della It Girl. Avere uno stylist, ad esempio, è agli antipodi rispetto al DNA originario di questa figura. L'invito ad uno show o il red carpet di un evento oggi sono impegni di lavoro importantissimi che richiedono la collaborazione di decine di persone. L'obiettivo principale è apparire impeccabili in foto come dal vivo, piano strategico per suggellare o avviare partnership con i brand. Qualsiasi grado di naturalezza viene azzerato, completamente eliminato. 

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Per forza di cose la definizione di It Girl è stata in parte distrutta e largamente svuotata dall'avvento dei social media e dalla possibilità (o, meglio, dall'illusione) di diventare tutte It Girls. La democratizzazione portata dai social network nasconde come altra faccia della medaglia il conformarsi ad estetiche e tendenze dominanti. Nessuno è più unico o diverso, nessuno si distingue dalla massa, tutto è già visto e indossato nello stesso modo. 

Chi sono allora le It Girls contemporanee? Molte arrivano dal passato e mantengono intatta quell'allure di coolness innata e assolutamente insostituibile. Pensiamo ad Alexa Chung, una che dovrebbe guadagnare una percentuale ogni volta che l'espressione It Girl viene utilizzata; Chloë Sevigny appunto; Leandra Medine, che nonostante le accuse di discriminazione sul posto di lavoro continua a dispensare consigli di stile e idee di styling in una newsletter tra le migliori della moda. Nonostante possa rientrare anche nella definizione di influencer, Camille Charriere ha dei tratti che la accomunano alle It Girls di ieri, da uno spiccato e riconosciuto senso estetico, ad un gruppo limitato di brand che ama indossare, alla capacità di mixare trend e oggetti del momento senza restarne schiacciata. In una certa misura si possono citare anche Rosie Huntington Whitely, che su Instagram pubblica i suoi look minimal e rigorosi senza farsi influenzare troppo da quello che accade intorno, e Jeanne Damas, forte di un signature look ormai sinonimo del suo nome. Matilda Djerf, Emma Chamberlain e Devon Lee Carson sono le front runner allo scettro di It Girls della prossima generazione. 

A parte in rari casi, una vera It Girl non racconterà mai perché ha scelto di vestirsi in un determinato modo, non spiegherà come replicare quel look con altri item. Piuttosto rivelerà il negozio vintage in cui ha scovato quella camicia, quando l'ha indossata per la prima volta, da quanto tempo è nel suo armadio. Un elemento chiave nella natura di una It Girl è il mistero. Quell'attitude innata non si può spiegare o replicare, dunque è superfluo raccontarla fino in fondo. (Ecco spiegato perché nella lista poco più in alto mancano Kendall Jenner, Hailey Bieber o Bella Hadid, figure pubbliche finemente costruite senza nulla di autentico o da raccontare). 

Le vere It Girls sono delle rocce nel mare in tempesta, che non si lasciano spostare o scalfire dalle onde di nuove tendenze o dalla concorrenza di giovani personalità. Loro restano lì, orgogliose della loro natura, certe della loro unicità, perfette nella loro imperfezione.