Stiamo dimenticando come è fatto un volto naturale Filler labbra e botox sono ormai parte della routine estetica, parola di Love Island

C’è sempre una villa, qualche bikini fosforescente, e almeno una ragazza che fa il suo ingresso con labbra turgide, zigomi scolpiti, mascelle affilate come bisturi e uno sguardo un po’ spento dal troppo botox. È Love Island, e anche se tecnicamente è un reality, negli ultimi anni si è trasformato in qualcosa di più: una vetrina estetica in cui i volti sembrano creati con lo stesso filtro, ma senza l’opzione "reset". Ogni stagione promette amore, gelosie e dramma, ma la vera costante sono i lineamenti. Sempre più scolpiti, levigati, uniformati. Più che flirt, è la chirurgia estetica ad essere stata normalizzata, episodio dopo episodio, stagione dopo stagione. È diventata parte del format. E mentre i concorrenti si contendono followers e fidanzati, chi guarda assorbe, spesso senza accorgersene, un’idea di bellezza prefabbricata, iper-performante, ma profondamente fragile. Così, ragazze (e ragazzi) che guardano da casa iniziano a concepire la chirurgia preventiva come qualcosa di logico, se non addirittura necessario. Il filler a 20 anni non scandalizza più. Il baby botox è il nuovo siero anti-age. E le richieste dai medici aumentano in proporzione agli ascolti. Tutto questo accade mentre scrolliamo, commentiamo e normalizziamo. Il risultato? Un’intera estetica da Love Island che si infiltra nella cultura pop, nell’algoritmo e nello specchio. La chiamano Love Island Face o Love Island Effect

Il reality show che cambia i volti (e le percezioni sulla chirurgia estetica)

Negli ultimi anni, Love Island non è solo diventato un fenomeno televisivo globale, ma anche un riferimento estetico. Le concorrenti, e sempre più spesso anche i concorrenti, sfoggiano volti scolpiti, nasi sottili, mascelle definite, labbra oversize, il tutto accompagnato da una pelle tiratissima. Parlano apertamente di filler, botox, rinoplastiche non chirurgiche e trattamenti di sculpting, mostrano i risultati con orgoglio, e i follower cercano di imitarli, spesso senza capire cosa ci sia dietro quell’immagine. Non è una sorpresa, quindi, se i medici estetici parlano di un boom di richieste dopo ogni stagione. Secondo il chirurgo estetico Ed Robinson, le richieste di filler "in stile Love Island" sono aumentate del 1200% tra le under 30 solo nell’ultimo anno. Ma la cosa interessante è che non si chiedono più "labbra più piene" o "naso più armonico". Si chiede quella faccia lì. Un pacchetto. Un look preciso. Il più possibile uguale a quello delle protagoniste viste in TV. Il reality, in questo senso, ha normalizzato qualcosa che fino a pochi anni fa era considerato radicale. Oggi fare piccoli interventi a 20 anni è una cosa che "fanno tutte", una scelta quasi banale. Come mettere l’apparecchio o rifarsi le unghie. Solo che, invece delle cuticole, qui si modificano ossa, muscoli, proporzioni.

 Cos’è la Love Island Face

Con Love Island Face, dunque, si intende un tipo di volto estremamente codificato: pelle liscia, zigomi pieni, mascella marcata, mento appuntito, sopracciglia sollevate, naso ridotto e labbra molto rimpolpate. Ma il punto non è solo la morfologia. È che questi volti sono spesso privi di espressione autentica. Sembrano congelati, plastificati, omologati. È un’estetica che nasce per piacere agli algoritmi. Funziona bene in foto, nei video in 4K, con i filtri di Instagram. E che si diffonde velocemente perché dà l’illusione di essere facilmente riproducibile: tre sedute, due siringhe e una manciata di influencer da imitare. Il risultato? Le facce si somigliano. Cambia il nome, ma non cambia l’aspetto. Tutto si appiattisce. Anche l’identità.

La chirurgia è la nuova skincare routine?

I dati confermano che il Love Island Effect è reale o, almeno, parte di una tendenza generale. Nel 2024, il mercato globale dei trattamenti estetici non invasivi ha raggiunto i 21,01 miliardi di dollari. Secondo le stime, salirà a 41,55 miliardi entro il 2034, con una crescita media annua del 7%. Questo significa che milioni di persone scelgono, o credono di dover scegliere, di modificare il proprio aspetto per sentirsi accettabili. La chirurgia non è più un sogno da rivista patinata, ma una voce in più nella to-do list della self-care. Solo che al posto del jade roller, ci sono microaghi, acido ialuronico e tossina botulinica.

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Il volto che non invecchia mai (o invecchia subito)

Trattamenti come il baby botox, il mesobotox, la bichectomia e il filler di nuova generazione sono entrati nel vocabolario comune, soprattutto tra Gen Z e Millennials. Ma attenzione. Non si tratta solo di lineamenti accentuati, cambia anche la qualità dell’espressione. L’eccesso di iniettabili cancella la naturalezza, riduce la variabilità emotiva e crea volti simili tra loro, quasi indistinguibili. È l’effetto uncanny valley, ma senza robot con volti quasi trans-umani, privi di difetti ma anche di emozione. Inoltre, molti medici mettono in guardia chi pensa di ricorrere a uno di questi trattamenti sottolineando che troppi filler fanno sembrare più vecchi. In un TikTok con oltre 13 milioni di visualizzazioni, il dottor Daniel Barrett, chirurgo plastico di Beverly Hills, esclama inorridito: “La chirurgia estetica fatta male ti invecchia. Punto”, dopo aver osservato i volti delle concorrenti dell’ultima edizione di Love Island UK ed aver scoperto che hanno tra i 24 e i 26 anni, e non tra i 35 e i 42 come lui aveva stimato.

Chi stabilisce quando è abbastanza?

Molti medici, come il dermatologo Anthony Rossi, mettono in chiaro: Una volta che si perde il senso della proporzione, subentra la filler blindness: non riconosci più il tuo viso reale, e continui a ritoccarlo”. La filler blindness è un fenomeno sempre più riconosciuto dagli esperti. Accade quando chi si sottopone a trattamenti estetici ripetuti perde la capacità di percepire quanto il proprio viso sia cambiato. Si normalizzano le proporzioni esagerate. Si cerca sempre un po’ di più. Ma ogni iniezione aggiunge un centimetro psicologico alla distanza tra sé e l’immagine che si ha in mente. A volte si arriva al punto in cui l’unica soluzione è sgonfiare, sciogliere, ricominciare da zero. E anche allora, non sempre si riesce a tornare indietro. Lo conferma anche Malin Andersson, ex concorrente di Love Island UK, che ha parlato apertamente di come i trattamenti abbiano aggravato la sua dismorfia corporea. “Pensavo che le mie labbra non fossero mai abbastanza grandi”, ha detto. “E continuavo a volerne di più”.

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La chirurgia estetica come anestetico e il glow-down

Quando l’identità si costruisce attraverso il bisturi il rischio, oltre alla disconnessione dalla reale immagine di sé, è di intendere la chirurgia come fuga e la bellezza come anestetico emotivo. Una risposta può essere il glow-down, cioè il contrario del glow-up. Sempre più giovani (millennials inclusi) stanno sciogliendo i filler, rimuovendo gli impianti, smettendo il ciclo delle iniezioni infinite, in modo da tornare alla propria fisionomia originale. Lo stesso fanno molte celeb. Da Olivia Culpo, che si è fatta rimuovere il filler alle labbra l’anno scorso, a Kylie Jenner che recentemente ha parlato apertamente dei suoi trattamenti estetici, la lista di star rinnegano l’estetica gonfiata è sempre più lunga. Ariana Grande ha scherzato dicendo di essere “pulita da quattro anni” da botox e filler: “Spero che le mie rughe del sorriso diventino sempre più profonde. E rido sempre di più, e penso che invecchiare possa essere una cosa meravigliosa”. Anche la star di Love Island UK Molly-Mae Hague ha optato per il glow-down. "Se il filler fosse stato permanente e non fossi riuscita a rimediare, avrei potuto davvero distruggermi completamente il viso", ha ammesso. In questo contesto, non sembra strano che molti spettatori del dating reality stiano sviluppando una sorta rigetto estetico verso quello che vedono sullo schermo.

Chi decide cosa è "normale"?

Nel 2025, la domanda non è più se la chirurgia estetica sia giusta o sbagliata. Chi stabilisce i parametri di normalità? L’algoritmo? Le Kardashian? La tv? I chirurghi estetici con filtri su Instagram? O forse, solo forse, noi stessi? La Love Island face è un sintomo culturale. È il risultato di anni di pressione estetica, ipervisibilità e insicurezza capitalizzata. Adesso qualcosa si muove. Una generazione comincia a dire basta, a scegliere la pelle naturale invece delle texture di silicone, l’imperfezione invece dell’omologazione. Così, se proprio non riusciamo a sfuggire al filtro, che almeno sia quello della consapevolezza. Perché, nonostante la pressione invisibile che ci spinge a sembrare qualcun altro per sentirci abbastanza, dovremmo ricordare che la bellezza non è una check list o una cosa che si conquista una volta per tutte. È qualcosa che si vive. Essere davvero liberi non significa rifiutare una determinata estetica. Significa poterne parlare, decidere, riflettere. Avere la possibilità di dire sì, o anche di dire basta. Forse, alla fine, la vera bellezza è una faccia che possiamo riconoscere felicemente come nostra. Anche quando non è perfetta.