Perché la Gen Z ha paura di fare la prima mossa? Salute mentale, app di incontri e il paradosso delle relazioni nella vita reale

Quante volte vi è capitato di essere invitati ad un appuntamento da qualcuno che avete conosciuto da poco, senza passare dallo smartphone? Un recente studio del Pew Research Center (2023/2024) ha evidenziato che circa il 53% dei giovani tra i 18 e i 29 anni negli USA, ha usato almeno una volta un'app di dating, ma alcuni di questi dichiarano di sentirsi in sovraccarico rispetto al processo di interazione. Il dato più interessante è la diminuzione degli approcci "a freddo". L'idea di interagire con qualcuno per la prima volta in un bar o in biblioteca, senza un primo incontro nel mondo digitale è percepita da molti Gen Z come invasiva o creepy. Anche negli ultimi report annuali di Tinder, ovvero i Future of Dating Report, emerge questo concetto, anche se sotto una lente diversa: da un lato, i giovani sono descritti come “estremamente consapevoli dell'importanza della salute mentale”; dall'altro, proprio questa protezione del proprio equilibrio emotivo li rende più “timorosi del rifiuto”. Viene poi sottolineato come molti preferiscano studiare l'altro attraverso lo schermo per tanto tempo prima di incontrarsi dal vivo. Non è mancanza di coraggio, ma una strategia di difesa: "Il rifiuto immediato, faccia a faccia, viene percepito come un colpo troppo duro per il proprio benessere mentale”. Le app ed i social diventano strumento, un filtro di sicurezza necessario: il "match" garantisce un consenso preventivo il permesso di parlare è esplicito. “Senza quel "clic", molti giovani sentono di non avere l'autorizzazione a interagire”: questo è il tema che emerge dai dati forniti da Hinge nel 2024.

La fuga dagli incontri online e il paradosso IRL

Tuttavia, uno studio condotto dal DatingAdvice in collaborazione con ricercatori del Kinsey Institute, ci fa capire che qualcosa sta cambiando. È stato chiesto a circa 1.000 giovani (18-27 anni) dove preferirebbero incontrare un partner. Il 90.24% degli intervistati ha scelto almeno un'opzione offline (feste, librerie, club, classi, parchi) rispetto alle opzioni online. Bumble ha infatti perso il 90% del suo valore di mercato dal 2021 rispecchiando a pieno la dating app fatigueTinder sta cercando di allontanarsi dalla hookup culture (cultura del sesso occasionale) puntando su funzioni come il Double Date (appuntamenti a quattro) e Hinge si posiziona come l'app "progettata per essere cancellata", con limiti al numero di match per forzare gli utenti a parlare davvero tra loro. Sono tutte mosse di posizionamento ben precise che fanno capo al paradosso moderno dell’approccio “In Real Life”: lo mettiamo al primo posto, ma allo stesso tempo abbiamo paura di farlo. Sui social, soprattutto su TikTok, è diventato virale il mito del "meet cute", un incontro casuale, come quello che avveniva nelle commedie romantiche della nostra adolescenza. Tutto questo ha anche portato a un aumento del 49% nella partecipazione a eventi dal vivo (dati Eventbrite), come club di corsa, corsi di ceramica o serate di speed-dating. La Gen Z cerca contesti "protetti" dove l'approccio sia naturale e non forzato.

Sono davvero le app di dating il problema?

Dal recentissimo report di Hinge Gen Z D.A.T.E. che proietta le sue analisi verso il 2026, viene fuori il tema chiave di tutta questa analisi: anche quando si riesce a superare la barriera del telefono, le difficoltà non svaniscono, cambiano solo forma. Lo studio, condotto su oltre 30.000 utenti, rivela l'esistenza di un profondo Communication Gap (divario comunicativo): “Sebbene l'84% dei ragazzi desideri ardentemente connessioni profonde, la Gen Z è il 36% più esitante rispetto ai Millennial nell'iniziare conversazioni significative al primo appuntamento”. Parliamo di copioni invisibili, schemi che si ripetono, una sorta di legge non scritta che non riusciamo ad ignorare.  Il 49% delle donne aspetta ancora infatti che sia l'altro a fare il primo passo, mentre il 48% degli uomini si trattiene per il timore di sembrare too much o emotivamente invadente. Entrambi i partner desiderano lo stesso livello di intimità, ma nessuno dei due vuole mettersi in gioco per primo, forse per paura di esporsi troppo. A questo si aggiunge quello che gli esperti di Hinge chiamano "Vulnerability Hangover" o “postumi della vulnerabilità”. Il 52% degli intervistati, infatti, prova un senso di vergogna o di "nudo emotivo" dopo essersi aperto sinceramente durante un incontro. Eppure, il dato sorprendente è che solo il 19% si sente a disagio quando è l'altra persona a mostrarsi vulnerabile. Questo significa che la paura del giudizio è quasi interamente una proiezione interna: temiamo di mostrarci per quello che siamo, ma è proprio l’autenticità quello che il nostro interlocutore sta cercando. Il nuovo anno è alle porte e non ci resta che scommettere in nuove sfide. Logan Ury, scienziata delle relazioni di Hinge, suggerisce di adottare la filosofia della "Cringe Mode": accettare che i primi passi dal vivo saranno inevitabilmente un po' goffi, ma che è proprio quell'imbarazzo a renderci umani e attraenti agli occhi degli altri.