Sulle app di dating sempre più persone fanno flirtare l'AI al posto loro Si chiama chatfishing, ed è un problema molto contemporaneo

C’è un momento della giornata, quel limbo sospeso tra la noia e il desiderio di distrarsi, quando abbiamo già finito il rewatch di Nobody Wants This ma non abbiamo ancora trovato la forza di lavarci la faccia, in cui milioni di persone nel mondo fanno la stessa identica cosa: si mettono comode, aprono una dating app e cominciano a scorrere. È un gesto automatico. Il pollice scivola sullo schermo. E noi, così come tanti altri sconosciuti, iniziamo le valutazioni. Poi, all’improvviso, appare quel profilo che accende la speranza. Bio perfetta, humor calibrato, emoji usate come fossero interpunzioni poetiche. Sembra tutto troppo bello per essere vero. E, spoiler, potremmo non sbagliare a diffidare della battuta sagace e di quel messaggio che arriva sempre al momento giusto, perché dietro tutto questo, sempre più spesso, non c’è una persona. C’è un chatbot di intelligenza artificiale. Un assistente emotivo senza emozioni, che, come un Cyrano 3.0, ci sussurra frasi calibrate da un algoritmo addestrato a decifrare desideri, toni di voce e frasi a doppio senso con la stessa precisione con cui scriverebbe una mail al capo. Benvenuti nell’era del flirt algoritmico, dove il match perfetto non nasce più da una connessione emotiva o dal destino e l’intelligenza artificiale non solo ci aiuta a trovare l’amore, ma comincia a sostituirci nel modo in cui lo comunichiamo.

@chloeboullee

At least TRY to make it your own

SOMEBODY LOVES ME - PARTYNEXTDOOR & Drake

Love, actually (ma con un prompt)

Fino a pochi anni fa, se non sapevamo cosa scrivere alla nostra crush, chiedevamo aiuto a un amico o, come Rory Gilmore, sfogliavamo i libri di Henry Miller e Anaïs Nin in cerca di ispirazione. Ora chiediamo a ChatGPT. Quando ci troviamo davanti al telefono con la chat aperta e il cursore che lampeggia buttiamo giù qualche frase e la cancelliamo subito, per poi implorare l’AI di aiutarci a scrivere qualcosa di divertente che non suoni troppo da disperati. Lo conferma anche una ricerca di Match.com secondo cui quasi il 49% della Generazione Z ha ammesso di usare AI generativa per ricevere dating advice o, più spesso, per scrivere direttamente i messaggi sulle dating app. Un numero che fa riflettere, ma non sorprende. Un esempio? Grazie a questa sorta di “spalla” virtuale una domanda banale come “Ciao, anche tu ami viaggiare?” può diventare “Da piccola volevo fare l’astronauta, poi ho scoperto che bastava un biglietto Ryanair per sentirmi persa nello spazio”. E chi non ne rimarrebbe colpito? Non suona strano, così che Whitney Wolfe Herd, fondatrice di Bumble, immagini già un futuro in cui ogni utente avrà il proprio concierge AI, una specie di assistente digitale che parlerà con gli assistenti degli altri utenti per scoprire eventuali affinità. In pratica, due bot che flirtano tra loro al posto nostro per testare compatibilità. Come due Roomba che si innamorano mentre passano l’aspirapolvere nel corridoio dell’algoritmo. Un po’ inquietante, no?

@hally_bunker

I fear I’m incapable of flirting…

Easy - Commodores

La nuova retorica dell’autenticità passa dall'Intelligenza Artificiale Generativa (purtroppo)

Le grandi aziende tech amano ripetere che l’intelligenza artificiale generativa servirà a “migliorare l’autenticità delle connessioni umane”. Una frase che, detta così, sembra uscita da un TED talk in cui tutti annuiscono e nessuno capisce davvero di cosa si stia parlando. In realtà, l’idea che spingono è che la tecnologia può ridurre l’ansia, lo stress e l’imbarazzo del primo messaggio, aiutandoci, almeno teoricamente, a mostrare la parte migliore noi. Ma qual è, oggi, la nostra parte migliore? Quella vera o quella che performiamo meglio? Un sondaggio di Cosmopolitan x Bumble su 5.000 giovani utenti rivela che il 69% è entusiasta dell’AI, convinto che renderà le conversazioni “più facili ed efficienti”. Ecco, “efficienti” è la parola chiave. L’amore non si dovrebbe misurare in efficienza, in quanti match otteniamo, quanto tempo risparmiamo, quanto velocemente smettiamo di scrivere a chi non ci convince. Lo dice bene la psicologa Lalitaa Suglani: “Esternalizzare la propria intuizione significa disimparare a sentire”. Quando lasciamo che un algoritmo traduca ciò che proviamo, stiamo praticamente facendo ghosting alla nostra parte emotiva. E, contemporaneamente, ogni volta che cerchiamo l’angolazione giusta, il tono giusto, la frase che sembri casuale ma in realtà è stata riscritta tre volte con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, stiamo dando un calcio al nostro “essere autentici”

@mzhness still got a date tho @hoppy #hoppy #datingapp #dates sad SpongeBob music - michael

Chatfishing: l’amore sintetico (ma confezionato bene)

Nel lessico sentimentale contemporaneo, la nuova parola da imparare è Chatfishing. Non è la truffa classica del catfishing. Nessuno finge di essere un’altra persona. È un piccolo inganno più sottile, più elegante, e soprattutto più accettato. Consiste nel lasciare che sia un’intelligenza artificiale a scrivere parte dei messaggi, a migliorare le nostre battute, a rifinire le risposte. Il Chatfisher non mente su chi è, ma manipola come si mostra. Prendiamo per esempio la storia tra Nick e Francesca. Lui, 38 anni, impiegato nel marketing, ha confessato a TheGuardian.com che usa ChatGPT per “rendere le conversazioni più significative”. Non copia e incolla, precisa. “Prendo solo ispirazione.” Ma poi ammette che, a volte, le risposte che invia non lo rappresentano del tutto. “È come se ChatGPT avesse un senso dell’umorismo migliore del mio,” ride. “E la gente finisce per innamorarsi di lui, non di me.” E poi c’è Francesca, 33 anni, che ha avuto una storia intensa con un uomo conosciuto su Hinge. Chat quotidiane, conversazioni profonde, la sensazione di essere finalmente capita. Finché, un giorno, un errore tecnico ha rivelato all’uomo con cui parlava che lei non scriveva quasi nulla da sola. Il colpo di scena? Un errore di prompt. Un messaggio inviato con la frase “Vuoi che lo renda più incisivo?”“A quel punto”, ammette Francesca, “il 90% dei messaggi che aveva ricevuto da me provenivano da ChatGPT, quindi non era che ci fossimo conosciuti davvero: stava praticamente uscendo con l’intelligenza artificiale”. Questo ci porta a chiederci quanto resti di noi, se il 90% di ciò che diciamo viene curato, revisionato e riscritto da un modello predittivo? Tutto è iniziato con un piccolo innocente upgrade comunicativo. Ma, ora, le cose sembrano spingersi troppo oltre. E se, a forza di ottimizzare le nostre conversazioni affinché ci rendano più interessanti, rischiassimo di non riconoscere più la differenza tra reale affinità e performance?

@vindiyerr GIRLS, THEY’RE SO ANNOYING #fyp #funny #dating #storytime original sound - Vin

L’algoritmo e l’intimità delegata

Non è difficile capire perché l’uso dell’intelligenza artificiale nelle dating app si stia diffondendo. Da un lato, promette di semplificare la comunicazione in un’epoca di ansia sociale e iperconnessione; dall’altro, alimenta una crisi di autenticità che rischia di svuotare le relazioni stesse. La sociologa Sherry Turkle del MIT parla di un “cambiamento radicale”. Non ci presentiamo più come “noi stessi”, ma come “noi più il nostro chatbot. Preferiamo una personalità estesa, calibrata, con una voce che ci rappresenta meglio di quanto noi sappiamo fare. Ed è qui che comincia il cortocircuito. Perché, a lungo andare, non è più chiaro dove finiamo noi e dove comincia il codice. Affidando tutto all’A dalla bio del profilo ai messaggi fino alle scuse post-ghosting, l’amore (o almeno il flirtare) si riduce a un processo di calcolo guidato un algoritmo che prevede, suggerisce, filtra. Un amore senza inciampi. Ma anche senza vertigini. La psicoterapeuta Susan David chiama tutto questo “emotional laziness”“Non vogliamo più confrontarci con il disagio,” ha spiegato a The Cut“Vogliamo solo soluzioni rapide e pulite.” L’intimità diventa delegata, la vulnerabilità subappaltata. Possiamo far scrivere al bot il messaggio giusto, ma non possiamo fargli provare il battito che viene prima di premere “invia”. E quel battito, che è insieme paura e desiderio, è tutto ciò che ci distingue ancora dalle macchine.

@chatgplee.ai Texting like a robot? Let GPT flirt for you… #chatgpttips #chatgpthacks #aiforwork #gpttricks #chatgptforlife #productivitytips #aiforsocialmedia #chatgptuk #facelesscreator i want it i got it - Official Sound Studio

Ci innamoreremo mai di nuovo senza aiuti?

Il mondo degli incontri online non è mai stato così popolato e così vuoto allo stesso tempo. Tra burnout da app, profili uniformati dall’IA e bot che flirtano tra loro, l’amore sembra essersi smarrito nel feed. Ma l’intelligenza artificiale non è il nemico. Se usata con consapevolezza, può essere un supporto. Può aiutare persone con ansia sociale o difficoltà comunicative, che grazie all’AI riescono finalmente a gestire meglio le interazioni romantiche. Forse dovremmo smettere di colpevolizzare il Cyrano virtuale e puntare il dito verso noi stessi. Vogliamo fare colpo e sembrare migliori di quello che siamo in realtà. Vogliamo essere compresi, ma non vogliamo essere vulnerabili. Vogliamo l’intimità, ma senza rischio. Scarichiamo app, facciamo swipe, matchiamo, scriviamo. Sempre con ChatGPT e simili a editare ogni nostro pensiero. Poi, quando arriva il momento dell’incontro reale, ci guardiamo in faccia senza sapere cosa dire. Perché nessun algoritmo potrà mai scrivere la parte più vera del flirt, quella in cui ci sentiamo un po’ stupidi, goffi. Nudi davanti a qualcun altro sperando che scocchi una scintilla, che poi divampi senza diventare mai cenere. E se l’amore, in fondo, non fosse altro che un errore che funziona? Allora essere umani sarebbe più affascinante di quanto chatbot e algoritmi di compatibilità possano mai farci apparire.