L’anti-wellness ci salverà? Un manuale di sopravvivenza alla cultura del benessere

Poco più di dieci anni fa l’estetica soft-grunge regnava incontrastata su piattaforme come Tumblr: ombretti neri e mascara estremamenti sbavati, calze strappate, bottiglie di superalcolici, smalti scheggiati e dipendenza da sigarette. Questa rappresentazione estetica è stata completamente rasa al suolo negli ultimi anni: gli ombretti sono tenui e le passate di mascara devono essere poche perché non bisogna dare l’impressione di essere truccate, agli alcolici si preferiscono i superfood liquidi e le sigarette sono tassativamente vietate. Pensiamo alla wellness routine di Bella Hadid comprende tre boccette di tinture, integratori di acido fulvico, vitamine, minerali ionici e muschio marino in gel. Poi, nell’estate 2024 è arrivata Charli XCX con l’album Brat e tutto il microcosmo che racchiude. Improvvisamente, qualcuno ci esortava ad essere non convenzionali e liberi di esprimere la nostra personalità fuori dagli standard. Per i millennial come me, è stato un ritorno ad un’adolescenza in cui tutto ciò che oggi è estremamente mainstream sarebbe stato quasi deriso, o al massimo tollerato con ironia. É sembrata quasi un’antinarrazione necessaria.

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Il benessere mercificato: dal 2014 ad oggi

Nel saggio The Gospel of Wellness: Gyms, Gurus, Goop, and the False Promise of Self-Care (2022) la giornalista Rina Raphael individua nel 2014 l’anno di svolta dell’industria del benessere: da un lato, quel periodo vive l’esplosione dell’athleisure, uno stile ibrido in cui i capi sportivi vengono indossati in contesti quotidiani, e dall’altro si impongono nuovi luoghi e consumi, come la proliferazione di palestre-boutique e bar che proponevano succhi pressati a freddo. All’epoca, la trentenne Rapahel intravide in questo fenomeno uno strumento salvifico, e, come molte altre donne, lo abbracciò con urgenza e intensità: "[Le donne] sono passate all’organico, hanno sottoscritto abbonamenti a ClassPass, e detto addio al latte in favore dell’acqua di mandorle lasciate in ammollo per ore. Ma non si trattava solo di abitudini: erano scelte che, poco a poco, hanno iniziato a definirle". 

Il wellness come business infinito

Il commodified wellness - letteralmente, il benessere mercificato - è un’entità ramificata: le sue estremità includono la spiritualità, la nutrizione, l’esercizio, la salute mentale, soprattutto la paura. "La paura e l’ansia sono catalizzatori perfetti per la creazione di nuovi bisogni", ha spiegato in un’intervista il professore di Economia Mariano Torras. "Poiché i bisogni materiali nei paesi occidentali sono stati in gran parte soddisfatti, l’unico modo per permettere alle aziende di continuare a guadagnare è inventarne di nuovi". Creare un prodotto significa dunque creare un problema da risolvere, e, nel mondo del benessere, questa dinamica ha una crescita potenzialmente infinita, proprio perché replicabile ovunque. Lo vediamo, ad esempio, nell’industria della skincare medicalizzata, dove ogni segno è un difetto che richiede un intervento: discromie, segni del tempo, pori visibili

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Il ritorno di un’estetica disillusa e autentica

Secondo Rina Raphael, però, qualcosa sta cambiando: si sta affermando una nuova rivendicazione all’imperfezione, un rifiuto - sempre più consapevole - di tutto ciò che è stato glorificato e usato come strumento di (auto)ottimizzazione negli ultimi anni. Dopo più di un decennio in cui il benessere - in tutte le sue forme e i suoi prodotti - è stato venduto come disciplina, simbolo e unico strumento per la perfezione, acquista forza un’estetica disordinata, vulnerabile e disillusa.

Esempi? Il #bedrot, #goblinmode, il bumpin’ that di Charli XCX, Paul Mescal che si rifiuta di smettere di fumare per Il Gladiatore 2, Gwyneth Paltrow che ricomincia a mangiare carboidrati. Molti articoli sostengono che questa è la fine della nostra wellness era, ma forse stiamo solo assistendo all’emergere di qualcosa di altrettanto artificiale e costruito.