
Il problema degli influencer con il camice
La differenza abissale fra informazione e pubblicità
10 Maggio 2025
Nell'immaginario collettivo, indossare il camice bianco implica autorevolezza, serietà, rigore: aggettivi ai quali non siamo abituati a ricorrere per definire il lavoro delle e degli influencer. Online, il camice - proprio come gli animali domestici o le gravidanze - vende, e due video recentemente pubblicati su TikTok lo spiegano bene, video realizzati da chi si rifiuta di utilizzare questi dispositivi retorici. Giulio Pedrazzoli (@giuliomugs), medico e make-up artist, ha analizzato come la skincare - a differenza di settori come il make-up - sia diventata una sorta di passaggio obbligato per chi decide di fare della propria persona un canale pubblicitario. Pedrazzoli smaschera chi parla di "prodotti con principi attivi dal nome che non sa nemmeno pronunciare", domandandosi se forse le varie e i vari creators pensino che i propri followers siano stupidi, o profondamente ingenui: com’è possibile credere che una crema faccia miracoli, quando la confezione di tale crema è intonsa?
@giuliomugs Se ti senti attaccato da questo discorso fatti un esame di coscienza, perché se ce l’hai pulita puoi solo che essere d’accordo
suono originale - Giuliomugs
"Se io iniziassi a fare pubblicità, perderei la mia indipendenza" le parole di Beatrice Mautino sul tema influencer
In un lungo video pubblicato sulla stessa piattaforma, la biotecnologa e divulgatrice scientifica Beatrice Mautino ha risposto al video di Pedrazzoli, ampliando la riflessione sul rapporto tra logiche commerciali, scienza e social media. Le aziende di cosmetica contattano spesso Mautino per assoldarla per fini pubblicitari, e partendo da questa affermazione ha raccontato un aneddoto abbastanza esplicativo su cosa si celi al di là delle varie #adv che possiamo scorgere, quotidianamente, online. In particolare, un marchio cosmetico che produce solari le ha inviato un brief estremamente dettagliato in cui la esortava, tra le altre cose, a proporre call-to-action ai propri followers in virtù del rigore scientifico che contraddistingue il lavoro di Mautino stessa; le frasi esortative erano sulla falsariga del "A quanti miti avete creduto sulla SPF?". Declinata l’offerta, Mautino ha suggerito come, forse, l’azienda avrebbe dovuto rivolgere le proprie mire pubblicitarie a figure ben diverse - influencers -, non a persone che nella vita si occupano di informazione ed educazione. Il marchio le ha poi prontamente risposto che un profilo social divulgativo non è esente dalle logiche di mercato. Sottotesto, nemmeno troppo celato: la accomunano a qualunque altro tipo di content creator. Se l’influencer marketing è in declino, ecco che figure provenienti da mondi altri - come la scienza - vengono cooptate. Il camice bianco permette di vendere un po’ di più, ma è solo un costume: dopotutto, come spiega Mautino, chi si presta è un vero e proprio testimonial, un volto assunto per fini promozionali. È proprio in questa ambiguità - tra autorevolezza percepita, autenticità e logiche commerciali - che questo ramo del marketing può prosperare, quasi indisturbato.
@divagatrice #stitch con @Giuliomugs suono originale - Beatrice Mautino
Camici bianchi e performative ecology
Analizzando il ruolo dell’autenticità online, Crystal Abidin, tra le prime accademiche a livello globale a studiare il ruolo degli influencer nella cultura digitale, ha sottolineato come tale valore - a cui si appellano molte/i influencers - non debba essere inteso come una qualità innata o spontanea, ma come una performance costruita e soprattutto strategica. In particolare, Abidin definisce l’autenticità come una "performative ecology", cioè un insieme codificato di pratiche e strategie che gli influencer mettono in atto per apparire "veri" agli occhi del proprio pubblico. Non si tratta quindi di essere autentici, ma di venire percepiti dal proprio pubblico come tali. In altre parole - come evidenzia Beatrice Mautino - se scegli di fare il testimonial, e dunque tutto ciò che dici può e deve essere monetizzabile, non puoi fare informazione in maniera indipendente, perché la tua indipendenza, semplicemente, non esiste (più). La tua attività diventa subordinata alle logiche del mercato e del profitto, e il tuo valore viene letteralmente acquistato da grandi aziende e marchi, e i tuoi contenuti perdono, conseguentemente, qualità, obiettività e rigore. La relazione instauratasi tra autenticità, ricerca scientifica indipendente e lavoro sulle piattaforme appare preoccupante, soprattutto quando la validità dell’informazione viene subordinata alla sua commerciabilità. Preoccupante e problematica, poiché legata a delle logiche non neutrali, in quanto le piattaforme stesse tendono a premiare un certo tipo di contenuti - più emozionali e coinvolgenti che rigorosi. Se il confine tra informazione e promozione si dissolve, il pubblico non può essere tacciato di ingenuità: è il sistema stesso a rendere opaca la distinzione.