
Tutte le volte in cui Donald Trump ha mancato di rispetto alle donne E come influenza e peggiora il discorso pubblico
L’episodio "Quiet, piggy", epiteto rivolto pochi giorni fa alla giornalista di Bloomberg Catherine Lucey mentre chiedeva chiarimenti sul caso Epstein, non è un incidente estemporaneo né un semplice scivolone verbale. È l’ennesima conferma di un modello comunicativo che Donald Trump utilizza da anni: svalutare, ridicolizzare e zittire le donne attraverso il linguaggio.
Un modo di fare consolidato: Donald Trump e le donne
Negli ultimi due anni, infatti, la sequenza di episodi si è allungata e ha assunto una forma sempre più coerente. Nel 2024, durante un comizio in Wisconsin, Trump ha dichiarato che avrebbe protetto le donne, whether they like it or not, una formula paternalistica che suggerisce un’idea antica: le donne non sono soggetti autonomi, ma figure da gestire e controllare. L’affermazione ha suscitato critiche trasversali, tra cui quella di Kamala Harris, che ha definito quelle parole un riflesso di visione antiquata e inquietante. Sempre nel 2024, l’ex presidente ha attaccato l’aspetto fisico della stessa Harris, dicendo di essere molto più bello di lei. Non un giudizio politico, ma l’ennesima riduzione estetica. Il Washington Post ricorda come questo sia un tratto ricorrente del suo linguaggio: quando l’interlocutrice è una donna, la critica scivola rapidamente sul corpo, sull’apparenza, sull’immagine.
@reuters President Trump drew fresh criticism after a video surfaced on social media of him telling a reporter "quiet, piggy" on Air Force One, days after the November 14 interaction. Trump was en route to Florida when he made the comment in response to a question about the Epstein files. The Republican-controlled U.S. House of Representatives since voted almost unanimously to force the release of Justice Department files on the late convicted sex offender Jeffrey Epstein, an outcome Trump fought for months before ending his opposition. #donaldtrump #trump #epstein #epsteinfiles #airforceone original sound - Reuters
L'oggettificazione delle opponenti politiche e della stampa nell'elettorato di Donald Trump
Un altro episodio, avvenuto nel 2025, ha visto Trump rivolgersi a una giornalista durante un evento con Javier Milei con un commento che è diventato emblematico del suo modo di gestire le domande poste da donne: I just like to watch her talk… thank you, darling. Non risponde, non argomenta: osserva e minimizza. È una forma di sessismo quotidiano, normalizzato, che trasforma una professionista in un elemento decorativo. Nello stesso periodo, il clima generato dalla sua comunicazione ha trovato eco anche online. Secondo un’analisi dell’Institute for Strategic Dialogue riportata da NDTV, dopo la sua rielezione si è registrato un aumento significativo di contenuti misogini su piattaforme come TikTok, dai classici get back to the kitchen fino al più politico repeal the 19th, riferimento al diritto di voto delle donne. È l’effetto culturale di un linguaggio che finisce per rendere il sessismo più accettabile, quasi legittimo. Questi episodi recenti si inseriscono in una storia ben nota: gli attacchi a Megyn Kelly (blood coming out of her… wherever), quelli a Alicia Machado (Miss Piggy), il Look at that face! rivolto a Carly Fiorina, il "nasty woman" indirizzato a Hillary Clinton, il commento su Mika Brzezinski (bleeding badly from a face-lift). Non si tratta di provocazioni isolate, ma di un repertorio stabile che usa il corpo femminile come bersaglio e il linguaggio come arma.
L’uomo più potente (e pericoloso) degli Stati Uniti d'America
In tutto ciò, il punto non è stabilire se Trump sia o meno sessista, questo ci sembra abbastanza ovvio: il punto è comprendere come il linguaggio pubblico, soprattutto quando proviene dalla figura più potente del Paese, contribuisca a definire cosa è socialmente tollerato. Zittire una giornalista in diretta significa suggerire che è legittimo farlo. Ridicolizzare l’aspetto di una candidata significa ribadire che il corpo delle donne è sempre discutibile, valutabile, giudicabile. Trasformare la voce femminile in un rumore di fondo significa riprodurre un ordine gerarchico antico, in cui l’uomo parla e la donna ascolta.
Il caso Quiet, piggy, dunque, non è solo una notizia di giornata, ma un tassello di un mosaico culturale più grande. Analizzarlo, raccontarlo e collegarlo agli episodi precedenti non è un esercizio moralista: è un modo per mostrare come le parole continuino a modellare lo spazio pubblico e come il sessismo, quando viene normalizzato dall’alto, diventi più difficile da riconoscere e contestare. Non si tratta quindi soltanto di ciò che Trump dice. Si tratta dell’effetto che le sue parole producono: un ambiente in cui le donne che parlano devono ancora prepararsi a essere sminuite, giudicate o zittite.























































