Dopo “Mia Moglie” la bufera investe Phica.eu: denunce da tutta Italia La chiusura basterà? Servono provvedimenti urgenti

La scia dello scandalo del gruppo Facebook Mia Moglie non si è ancora spenta, che un nuovo caso scuote l’opinione pubblica: quello del forum Phica.eu, attivo da quasi vent’anni e per anni rifugio di centinaia di migliaia di utenti che condividevano, senza consenso, immagini di donne spesso rubate dai social o dalla vita quotidiana, accompagnandole a commenti sessisti e offensivi. Il sito, che vantava centinaia di migliaia di iscritti e generava milioni di visite mensili, ha annunciato la chiusura dopo la pioggia di denunce e l’apertura di indagini da parte della Polizia postale. Il fenomeno, però, va ben oltre la sorte di un singolo forum: si inserisce in una dinamica più ampia e inquietante di violenza digitale, che colpisce non solo ragazze comuni, ma anche figure pubbliche e professioniste. Una spirale che rivela quanto la rete sia diventata un terreno di nuova violenza di genere, difficile da arginare con gli strumenti attuali.

Dal gruppo "Mia Moglie" al vaso di Pandora digitale

Tutto è iniziato a metà agosto, quando la scrittrice e divulgatrice Carolina Capria, autrice della pagina social L’ha scritto una femmina, ha denunciato pubblicamente l’esistenza di un gruppo Facebook chiamato Mia Moglie. Con oltre 30mila iscritti, il gruppo raccoglieva foto di donne, scattate di nascosto o rubate dai social, condivise dagli stessi partner o da conoscenti, spesso accompagnate da frasi esplicite che riducevano quelle donne a oggetti sessuali. La denuncia di Capria è diventata virale e ha scatenato una valanga: migliaia di segnalazioni, la chiusura del gruppo da parte di Meta dopo l’intervento della Polizia postale, e decine di donne che hanno riconosciuto il proprio volto nelle immagini diffuse. Alcune erano mogli o fidanzate inconsapevoli, altre ragazze comuni, esposte a un vero e proprio "stupro virtuale". Da lì, le indagini hanno portato alla scoperta di altri gruppi analoghi, sia su Facebook che su Telegram, pronti a riaprirsi nonostante le chiusure. Ma soprattutto hanno scoperchiato un fenomeno già radicato: la presenza di piattaforme storiche come Phica.eu, in cui da anni si consumava la stessa dinamica su scala molto più ampia.

Phica.eu: centinaia di migliaia di iscritti e milioni di accessi

Il forum Phica.eu, nato nel 2005, non era un gruppo chiuso di poche migliaia di persone, ma una vera e propria comunità online. Secondo le stime, il sito generava circa 600mila accessi al giorno, con oltre 20 milioni di visite mensili. Un bacino enorme, che per anni ha permesso la diffusione di foto rubate, manipolate o decontestualizzate, alimentando discussioni volgari e spesso violente. La particolarità di Phica era la sua organizzazione interna: categorie dedicate a donne comuni, influencer, attrici, giornaliste, e persino sezioni rivolte a figure istituzionali, dove apparivano immagini pubbliche usate come pretesto per la sessualizzazione e l’odio misogino. Molte donne coinvolte hanno deciso di denunciare pubblicamente, sottolineando come non si trattasse solo di una violazione personale ma di una forma di violenza che riguarda tutte. In poche ore, il caso è diventato un tema politico e istituzionale, con la richiesta di discutere la questione in Parlamento e di introdurre procedure accelerate per oscurare i siti che ospitano materiale rubato.

Le testimonianze delle vittime

Non solo figure pubbliche. Tra le donne finite loro malgrado su Phica ci sono artiste, giornaliste, influencer e ragazze comuni la cui unica colpa era avere un profilo social pubblico. Alcune hanno raccontato di aver trovato intere pagine di foto personali sottratte da internet: scatti di momenti quotidiani trasformati in materiale per commenti volgari, minacce e allusioni sessuali. In diversi casi, i messaggi arrivavano a evocare la possibilità di hackerare webcam o violare la privacy delle vittime, aumentando il senso di pericolo e vulnerabilità. Un sentimento condiviso da centinaia di altre donne, che hanno scoperto all’improvviso di essere state trasformate in oggetti di discussione da sconosciuti. La Polizia postale ha ricevuto migliaia di segnalazioni, ma il problema resta la difficoltà di risalire agli amministratori delle piattaforme, spesso collocate all’estero, e di cancellare i contenuti una volta diffusi.

La chiusura del sito e le ombre sul futuro

Sotto la pressione delle denunce e dell’opinione pubblica, lo staff di Phica ha annunciato la chiusura. In un comunicato apparso sulla homepage, i gestori hanno scritto di aver deciso "con grande dispiacere" di cancellare tutto, ammettendo di non essere riusciti a fermare "i comportamenti tossici che hanno spinto Phica a diventare, agli occhi di molti, un posto dal quale distanziarsi piuttosto che sentirsi orgogliosi di far parte". Una presa di posizione tardiva, che lascia aperte molte domande: davvero non era possibile intervenire prima? Quanto hanno guadagnato in questi anni i gestori del sito? E soprattutto: la chiusura sarà definitiva o, come accade spesso, il forum rinascerà sotto altro nome e altra forma? Le istituzioni promettono tolleranza zero, sottolineando come la sottrazione e la diffusione di immagini senza consenso sia una delle nuove frontiere della violenza maschile. Non più episodi marginali, ma un fenomeno strutturale che richiede una risposta forte e univoca.

Verso un #MeToo digitale

Il caso Mia Moglie e il crollo di Phica hanno fatto esplodere quello che molti definiscono un vero e proprio #MeToo digitale. Centinaia di donne stanno trovando il coraggio di denunciare, raccontare, esporsi. Ma il fenomeno rivela anche il vuoto normativo e culturale che ancora circonda la violenza online: dalla lentezza nell’oscurare i contenuti alla difficoltà di perseguire chi gestisce e alimenta queste piattaforme. La rete, ancora una volta, mostra il suo volto più oscuro: non solo luogo di espressione e di connessione, ma anche terreno fertile per nuove forme di misoginia. La chiusura di Phica rappresenta un primo passo, ma non basta. Perché, come sottolineano le associazioni femministe, ogni giorno nascono nuovi canali, nuove chat, nuovi forum pronti a replicare lo stesso meccanismo. La vera sfida, dunque, sarà costruire un sistema capace di difendere le vittime prima che la violenza diventi virale. E soprattutto, trasformare l’indignazione collettiva in un cambiamento legislativo e culturale, che metta fine alla normalizzazione dello sfruttamento del corpo delle donne.