Il caso del gruppo Facebook “Mia Moglie” sotto una lente legale Tra privacy, responsabilità delle piattaforme e consenso

"Mi è stata segnalata l’esistenza di un gruppo Facebook di 32mila persone nel quale i membri si scambiano foto intime delle proprie mogli per commentarne l’aspetto in modo esplicito e dar voce alle proprie fantasie sessuali": tre giorni fa Carolina Capria (conosciuta anche come @LhaScrittoUnaFemmina), ha incontrato una storia difficile da raccontare, ma che necessitava di essere svelata con urgenza. La storia è molto semplice, ma non per questo meno disturbante. "Mia moglie" è il nome del gruppo, con l'aggiunta di cuori rossi. Un nome apparentemente tranquillo, innocente, nulla a che vedere con quello che cela al suo interno: foto di donne che forse, proprio in qualità della loro posizione di spose, del vincolo sociale e sacro, si sentivano al sicuro. Invece, venivano date in pasto ad altre decine di migliaia di uomini. Facciamo un punto sulla situazione, anche legale, di questo tipo di gruppi, purtroppo molto diffusi, e cerchiamo di capire quali strumenti abbiamo a disposizione. 

 Il gruppo "Mia moglie" su Facebook: implicazioni legali e violazione della privacy 

Il gruppo "Mia Moglie" nasce a gennaio 2019, ma sono davvero tantissimi i casi analoghi che si possono citare, anche su Telegram. Nel momento in cui la piattaforma non riconosce le azioni illecite che stanno avvenendo, ci sono dei reati a cui si può fare riferimento? A fare luce sulla questione è l’avvocata Natascia Sarra: "In ipotesi di diffusione di foto o video a sfondo sessuale, senza il consenso della persona ritratta, se chi pubblica è colui che ha creato il contenuto multimediale o lo ha sottratto alla persona ritratta risponde, per ciò solo, del reato di Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti previsto dall’art. 612 ter del codice penale, comunemente detto Revenge porn, che prevede, nel caso di specie, la pena della reclusione da uno a sei anni e la multa fino a 15.000 euro. Nel caso in cui le immagini siano state inviate dalla persona ritratta per uso privato, la loro pubblicazione o diffusione senza il consenso della persona ritratta è ugualmente punita, sempre dall’art. 612 ter c.p., ma si richiede che lo scopo della pubblicazione sia quello di nuocere alla persona ritratta. Nel caso in cui non si configuri il suddetto reato, è comunque configurabile una violazione dell’art. 167 del Codice della Privacy che prevede il reato di Trattamento illecito di dati che si estende ai contenuti non sessualmente espliciti. Anche tale figura di reato, tuttavia, richiede che l’autore del trattamento illecito abbia lo scopo di trarre profitto dalla pubblicazione o di nuocere alla persona ritratta. Il reato di diffamazione concorre con tali reati se il contenuto illecitamente condiviso senza il consenso della persona ritratta è tale da arrecare un danno all’onore e alla reputazione della persona".

@roberta.maddalena

original sound - jane

Il consenso fa la differenza 

Ma qual è la natura dei contenuti condivisi in questo gruppo? Non si tratta di immagini sessualmente esplicite, ma di scene di vita quotidiana: una moglie che cucina, una foto al mare o, delle volte semplici post degli account social personali della moglie riproposti nel gruppo. Il sociologo antropologo René Girard spiega che "il desiderio è sempre mimetico. L’uomo desidera ciò che desidera il suo modello, il suo rivale. Il desiderio non è autonomo ma si fonda su un altro desiderio". Il piacere, la loro "conquista", in questo caso nasce dalla condivisione del proprio oggetto con altri rivali che possono commentarlo. Nasce dal proibito, dal controllo. Molti di loro non utilizzano nemmeno un account anonimo, ci mettono la faccia: "Lei è mia, ci faccio quello che voglio e non ho paura di mostrarlo", questo è quello che emerge dalla dinamica del gruppo. Nonostante le immagini possano sembrare innocue non lo sono più nel momento in cui viene meno l’elemento del consenso. "La nostra legislazione a tutela della Privacy delle persone mette correttamente al centro l’elemento del consenso, per cui anche la diffusione non autorizzata di immagini non a sfondo sessuale configura un illecito in quanto viola il diritto fondamentale alla riservatezza delle proprie azioni e relazioni": fa così chiarezza Sarra.

@raffagiulians

“Mia Moglie” è l’ennesimo triste caso che evidenzia profonde problematiche, sociali ed esistenziali, legate al genere maschile. Condividete. Fatevi sentire. Vi aspetto su Instagram per un confronto più approfondito. Baci.

suono originale - Raffaele Giuliani

La linea sottile che separa pubblico e privato

Come precedentemente accennato Sarra chiarisce che la linea di separazione tra pubblico e privato è rappresentata dal consenso della persona ritratta, che è fondamentale. Nel 2004 è stato introdotto nel nostro ordinamento il Codice della Privacy, che disciplina dettagliatamente tutte le diverse ipotesi riguardanti il trattamento e la diffusione dei dati personali come l’immagine. Il diritto alla segretezza della corrispondenza (corrispondenza da intendersi oggi in senso allargato a tutte le forme di comunicazione tra persone) o alla inviolabilità di ciò che avviene, ad esempio, all’interno delle nostre case è stato sempre oggetto di tutela nel nostro ordinamento come principio generale, in quanto previsto e tutelato dalla nostra Costituzione.

Responsabilità delle piattaforme e segnalazioni

E la responsabilità delle piattaforme? Nonostante la presenza delle linee guida, piattaforme come Facebook spesso non rimuovono tempestivamente questi contenuti. Quali sono le responsabilità legali in casi come questo? È possibile citare in giudizio la piattaforma per negligenza? "Il problema del contesto digitale è che, nonostante gli sforzi del legislatore, è un mondo ancora in parte senza regole stringenti e uniformi per tutti i Paesi e nel quale i controlli sono estremamente difficili. E forse non c’è un reale interesse delle varie piattaforme ad essere sottoposte a regole più rigide perché l’assenza di controlli effettivi sull’età degli utenti consente, ad esempio, l’accesso incontrollato a social come TikTok o Instagram anche da parte di bambini o ragazzi di età inferiore a quella richiesta. Il tema della responsabilità delle piattaforme digitali in ordine ai reati o comunque agli illeciti commessi dagli utenti è molto dibattuto nell’ultimo periodo: fino a qualche tempo fa era possibile agire solo nei confronti dei singoli utenti per i reati eventualmente commessi nell’uso dei social (principalmente i casi riguardavano fattispecie di diffamazione) mentre ultimamente si sta invocando sempre più la responsabilità dei gestori delle piattaforme per l’omissione di controlli o per i ritardi o l’inerzia nel rimuovere i contenuti che violano gli standard delle community" risponde l'avvocata. Ma c'è un po' di speranza: "Finalmente, nel 2023, il Tribunale civile di Milano ha condannato Meta al risarcimento dei danni nei confronti di una società che opera nel campo del gioco per non aver prontamente rimosso dei post diffamatori pubblicati nelle pagine create da un utente. Si è trattato di una pronuncia rivoluzionaria che ha aperto la strada alla affermazione di un principio di responsabilità delle piattaforme nella gestione dei social network. Chiaramente la piattaforma non risponde direttamente del reato commesso dall’utente ma del fatto di aver contribuito ad aggravare le conseguenze di quel reato con il ritardo nella rimozione del contenuto che essa sapeva diffamatorio".

@stefa.20024

No comment.

Oh My Gawd Man... - uhhh()

Strumenti di tutela per le vittime

Nonostante la mancata fiducia, lo strumento della segnalazione ha però dato i suoi frutti e la polizia postale di Roma ha finalmente chiuso il gruppo. Ciò è avvenuto anche grazia all’enorme risonanza mediatica dell’evento, ma cosa possiamo fare quando ci sentiamo sole contro il problema? Natascia Sarra condivide i suoi consigli da esperta in materia: "Nel caso di specie, le azioni da compiere per tutelarsi sono tre: 1) Un esposto alla Polizia Postale che è competente ad intervenire, indagare e raccogliere le prove in ordine alle fattispecie di reato commesse sulla rete; 2) Una segnalazione al Garante nazionale della Privacy utilizzando l’indirizzo protocollo@gpdp.it; 3) Una segnalazione alla piattaforma per chiedere la rimozione di contenuti o la chiusura della pagina, come avvenuto per il gruppo in questione. Queste azioni possono essere fatte tutte e tre insieme".