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La moda è ossessionata dai fluidi corporei?

Gli stilisti hanno un debole per urina, sangue, sudore e lacrime

La moda è ossessionata dai fluidi corporei? Gli stilisti hanno un debole per urina, sangue, sudore e lacrime

Sangue, sudore e lacrime. Sono gli ultimi must-have, quei dettagli che, inaspettatamente, rendono speciale, persino desiderabile, un capo. Basta pensare ai jeans "pee-stained" di Jordanluca, con una macchia all'altezza del pube a simulare l’incontinenza, sold out nonostante il prezzo oltre i 600 euro o alla WET Shirt Yeezy x Mowalola, indossata da Bianca Censori, Tyla, Rubi Rose. Dal wet look di Doja Cat al Met Gala a Mike Faist e Josh O'Connor in Challengers, col corpo madido a rivendicare il potenziale erotico del sudore, passando per Charli XCX che per lanciare il suo prossimo Sweat Tour ha pubblicato una foto di se stessa con le mutandine bagnate, sembra che la pop culture stia vivendo un momento di fascinazione improvvisa per i fluidi corporei. Il cinema, le celeb e, soprattutto, la moda ci vogliono fradici, liberi di ostentare liquidi che molti di noi fanno di tutto per nascondere. È arrivato il momento di smettere di acquistare deodoranti antitraspiranti e di imparare a non diventare rossi d’imbarazzo quando una goccia di sangue mestruale macchia i pantaloni?

Il sudore è l'accessorio della stagione

La chiamano olfattofilia, una parola che indica l'eccitazione sessuale basata sull'odore naturale di qualcuno, stimolata in particolare da quelli forti come la sudorazione, lo sperma, il liquido vaginale e gli altri liquidi corporei. Un termine che molti non conoscono, ma di cui i designer intuiscono il fascino, l’erotismo e lo spirito provocatorio, tanto da inserire questi elementi nelle loro collezioni. Se per la sua sfilata FW24, Diesel ha utilizzato il devoré per rappresentare "le macchie di sudore che si formano durante i party e i rave", Louis Gabriel Nouchi con il suo brand LGN propone da tempo T-shirt e felpe con chiazze sul petto, sulla schiena e sotto le ascelle che imitano l’effetto sudaticcio che avrebbe lo stesso capo indossato sotto il sole cocente in un’asfittica giornata d’agosto. La bio-designer Alice Potts si è spinta oltre e ha trascorso gli ultimi anni trasformando i fluidi corporei in cristalli, cappellini, ballerine e scarpe da ginnastica che sono veri pezzi d’arte da indossare.

Il wet dress: da Galliano a Di Petsa

All’epoca di Maria Antonietta, nella Francia rivoluzionaria, le donne immergevano i loro abiti di mussola nell'acqua prima di uscire perché quell'effetto bagnato che faceva aderire la stoffa al corpo era considerato il massimo della sensualità. Da questo trend ante litteram John Galliano ha preso ispirazione per la collezione FW86 intitolata The Forgotten Innocents e per la SS86 Fallen Angels con le modelle indossavano dei leggerissimi e bagnatissimi vestiti bianchi in mussola che ne rivelano il corpo e le rendevano simili a bellissime statue greche. Chi non ricorda, qualche anno più tardi (era il 1998) Alexander McQueen e il finale di Golden Shower (rinominata poi Untitled) con le modelle vestite di bianco che sfilavano sotto una pioggia illuminata di giallo? Da allora l’effetto bagnato è tornato più volte in passerella. La designer contemporanea che più ama questa estetica è Dimitra Petsa che ha fatto del suo Wetlook Dress - un abito etereo drappeggiato per far sembrare che l'acqua si increspi lungo il corpo di chi lo indossa - il suo item cult, amato da celeb come Bella Hadid e FKA twigs.

Lo stile "bagnato" per Di Petsa non è solo moda

La designer greco Dimitra Petsa sembra ossessionata dai fluidi corporei. Nel 2020, ha persino scritto un libro di poesie intitolato Wetness e incentrato sulla relazione tra i fluidi corporei e il mare, in cui parla di sangue, sudore, lacrime, saliva, latte materno, fluidi vaginali, sperma e urina sottolineando che "Dovremmo trattare i nostri fluidi come trattiamo l’acqua, ovvero come elementi assolutamente naturali e fuori dal nostro controllo assoluto. Se ci riflettiamo, essere bagnati è qualcosa di socialmente accettato solo durante un rapporto sessuale". Dai top che imitano le macchie lasciate dal latte materno agli abiti che aderiscono al corpo come se chi li sfoggia fosse madido di sudore, le creazioni di Di Petsa vogliono normalizzare e celebrare le funzioni naturali del corpo che le donne sono da sempre condizionate a nascondere.

Sangue, fango e altre sostanze appiccicose

Non solo sudore. Se Diesel e altri brand si sono limitati al più comune dei fluidi corporei, Elena Velez ha scelto una sostanza considerata "repellente" e ha fatto letteralmente sguazzare nel fango la sua collezione SS24. Duran Lantink firma i cartellini degli abiti con il suo sangue, liquido organico che (vero, o mimato da decorazioni e tecniche di tintura ad hoc) tanti designer, come Raf Simons per Calvin Klein o Robert Wun, hanno portato in passerella. Prada, invece, ha fatto gocciolare dal soffitto una specie di melma ectoplasmatica che somigliava a Slimer di Ghostbusters. Mentre, come detto prima, Jordan Bowen e Luca Marchetto hanno preferito imitare l’urina come "commento sul fatto che in realtà non abbiamo bisogno di più vestiti ma abbiamo una relazione d'amore ossessiva con le cose. Il consumismo è diventato un feticcio osceno". Sottolineando come per molti questi fluidi siano "rappresentazione del potere, della perversione e del voyeurismo".

Provocazione o fascino anticonvenzionale?

Per Alice Potts il sudore è "parte naturale e integrante dell’esperienza umana e può favorire un apprezzamento più profondo per il nostro corpo e le sue capacità. Sia nei momenti di passione che di sforzo, il sudore incarna un'essenza grezza e primordiale che, se abbracciata con fiducia e accettazione, può davvero essere vista come innegabilmente seducente". Ad attrarre Louis Gabriel Nouchi è l'elemento tabù. Ma mostrare apertamente le nostre escrezioni è realmente un atto sovversivo? O è semplicemente eccessivo? Voi indossereste un maglione con finte macchie di sudore, un jeans schizzato di urina o un paio di culotte che simulano un'eiaculazione femminile?