
Perché LVMH vende la sua quota del 50% in Fenty Beauty? Un caso emblematico su come i marchi delle celebrità si consumano più in fretta del loro hype
LVMH sta per vendere la sua quota del 50% in Fenty Beauty, il marchio fondato insieme a Rihanna nel 2017. Una decisione che rientra perfettamente nelle nuove priorità strategiche attuate dal gruppo guidato da Bernard Arnault in un momento in cui il mercato del beauty di fascia alta attraversa una fase di maturità e saturazione. Secondo fonti di Reuters, la vendita sarà assistita dalla banca d’investimento Evercore, che ha già avviato la ricerca di potenziali acquirenti. Nel frattempo, LVMH non ha rilasciato dichiarazioni ufficiali, ma la logica dietro la scelta è trasparente. In un contesto di crescita rallentata, con un calo del fatturato del 4% nei primi nove mesi del 2025, il gruppo preferisce mantenere solo ciò che rafforza gli asset fondamentali come Dior e Sephora.
L’ascesa e il rallentamento di una rivoluzione beauty inclusiva
Quando Fenty Beauty arrivò sul mercato, nel settembre 2017, fu un terremoto nel mondo del make-up di lusso. Rihanna, in collaborazione con Kendo Brands (l’incubatore di LVMH per nuovi progetti cosmetici), lanciò una gamma di fondotinta in 40 tonalità, ridefinendo l’idea stessa di inclusività nel beauty. Non era solo una linea di prodotti, ma un manifesto culturale. Nel suo primo anno, il marchio generò oltre 550 milioni di dollari di fatturato, con una valutazione stimata di 2,8 miliardi. Per molti, rappresentava il modello del futuro: un brand globale, digitale, progressista, sostenuto da una celebrità con una voce autentica. Ma come accade a molte rivoluzioni nate dal carisma, il fuoco si è affievolito. Tra il 2023 e il 2025, le vendite di Fenty Beauty hanno iniziato a rallentare, soprattutto in Nord America. Non perché i prodotti siano peggiori, ma perché la narrazione si è esaurita. Rihanna è rimasta un’icona, ma ha smesso di essere la narratrice quotidiana del marchio.
La teoria del capitale preso in prestito
La studiosa di marketing Camille Moore lo definisce borrowed relevance: il fenomeno per cui un brand costruisce la propria credibilità sulla rilevanza culturale presa in prestito da una celebrità. È un modello che funziona magnificamente nel breve periodo, ma ha una scadenza naturale. Nel caso di Fenty Beauty, il legame tra marchio e fondatrice era così stretto da rendere impossibile separarli. Finché Rihanna incarnava quotidianamente il brand, partecipando ai lanci, creando contenuti, interagendo con i fan, la borrowed relevance era attiva e potente. Ma quando la sua attenzione si è spostata verso altri progetti come la maternità, la musica o la performance al Super Bowl, il marchio ha perso la sua ancora narrativa. Come spiega Moore in Art of the Brand su Substack, "la rilevanza culturale presa in prestito può accendere un brand, ma non può mantenerlo acceso".
Il test dell’asset fondamentale
Per LVMH, il beauty ruota intorno a due poli: Dior, come pilastro creativo e produttivo, e Sephora, come infrastruttura globale di distribuzione. Tutto ciò che non rafforza uno di questi due asset viene considerato accessorio. Fenty Beauty, pur rappresentando una pietra miliare culturale, non è integrata in questa architettura. Il gruppo aveva già applicato la stessa logica al progetto Kendo, che aveva dato vita a marchi come Marc Jacobs Beauty, Bite Beauty e Kat Von D Beauty. Tutti, nel tempo, sono stati chiusi o ceduti. La motivazione è sempre la stessa e cioè che non generano effetti di leva strategica. Fenty, dunque, non viene venduto perché va male, ma perché non è più necessario. Un marchio può essere profittevole e, allo stesso tempo, non essere "core".
Quando la fama non basta
Nel 2017, milioni di persone hanno comprato Fenty Beauty perché lo aveva creato Rihanna. Era una promessa implicita. “Se Rihanna lo usa, allora è giusto anche per me.” Ma la fama non genera riacquisti. Lo fanno la competenza tecnica, la qualità del prodotto e la coerenza nel tempo. La differenza tra i marchi delle celebrità e quelli fondati da professionisti sta tutta qui. Moore fa gli esempi di Huda Kattan, Pat McGrath e Bobbi Brown. Tutte queste make-up artist hanno costruito i propri brand su anni di autorevolezza, esperienza, creando prodotti nati da una visione professionale, non da un’aura di fama. Si fondano su ciò che Camille Moore definirebbe earned authority, autorità conquistata, non presa in prestito. È la differenza tra una fiamma e una brace. La fiamma attira l’attenzione, ma la brace dura nel tempo.
Perché LVMH vende la sua quota del 50% in Fenty Beauty?
LVMH ha capito che i marchi delle celebrità non sono piattaforme, sono prodotti. Un prodotto ha un ciclo di vita: nasce, cresce, matura, declina. Una piattaforma, invece, accumula valore nel tempo. Più a lungo vive, più diventa credibile, autorevole e radicata. Fenty Beauty non è mai diventato una piattaforma. È rimasto un progetto potente, ma dipendente dall’energia della sua fondatrice. Quando quell’energia si è spostata, il brand ha iniziato a raffreddarsi. E per un conglomerato come LVMH, che opera su cicli di lungo periodo e su equity di marchio intergenerazionale, la mancanza di profondità strategica è una ragione sufficiente per uscire. La vendita della quota in Fenty Beauty, oltre ad un’operazione finanziaria, è un avvertimento per chi costruisce brand nel XXI secolo. Se il valore del tuo marchio si basa sulla fama e non sulla competenza, stai costruendo un successo a tempo determinato. I marchi delle celebrità non falliscono perché perdono fascino, ma perché finiscono il credito di attenzione che avevano preso in prestito. Camille Moore la definisce una dynamic of expiration, la dinamica dell’esaurimento progressivo. Ogni volta che un marchio dipende da una figura pubblica per la sua rilevanza, la sua durata effettiva è legata al ciclo d’attenzione di quella figura. Quindi, LVMH non sta rinnegando Rihanna, né disconoscendo Fenty Beauty. Sta semplicemente esercitando il lusso della lucidità. Nel tagliare ciò che non rafforza il suo nucleo, il gruppo francese dimostra una disciplina che molti brand faticano ad applicare.
























































