
La grande frattura di genere esiste anche nel mercato dell’arte Il caso Frida Kahlo sottolinea un problema evidente ma ignorato
Un autoritratto di Frida Kahlo ha stabilito un nuovo primato sul mercato dell’arte, il suo El sueño (La cama) è stato aggiudicato per 54,7 milioni di dollari. La cifra, raggiunta in pochi minuti durante un’asta di Sotheby’s a New York, rappresenta non solo il nuovo massimo per un’opera dell’artista, ma anche il record assoluto per una pittrice donna. Nel quadro battuto a prezzo record, realizzato nel 1940, Kahlo si ritrae mentre dorme in un letto, sopra il quale, sul baldacchino, compare uno scheletro sorridente avvolto nella dinamite. Anche di fronte a valutazioni che superano i 40 o 50 milioni di dollari, il paradosso rimane evidente: nel mercato globale dell’arte, questi record femminili rappresentano ancora solo una frazione del valore raggiunto dalle opere dei colleghi uomini. Il divario è così marcato da rendere evidente che non si tratta solo di gusti del mercato, ma di un vero e proprio sistema culturale e sociale radicato.
Record femminili che restano eccezioni: Frida Kahlo e il divario di genere nel mercato dell'arte contemporaneo
Nonostante questi primati, che sembrano annunciare una svolta, la realtà è diversa. Negli ultimi anni alcuni risultati clamorosi, dalle cifre raggiunte dai lavori di Georgia O’Keeffe, Frida Kahlo o Jenny Saville, sono stati raccontati come segnali di un cambiamento in corso. Ma basta confrontare questi numeri con i record maschili per rendersi conto della sproporzione: se un’icona femminile può raggiungere i 50 milioni, un Caravaggio può superare i 450 milioni; se un’artista vivente come Marlene Dumas si ferma a 13 o 14 milioni, Jeff Koons vola oltre i 90. Questo divario non riguarda solo la fascia alta del mercato, ma si ripete, amplificato, nei segmenti intermedi e nelle giovani carriere. Ed è proprio lì che si manifesta la radice del problema.
Il mercato dell'arte: un sistema costruito dagli uomini
Questo divario non si spiega solo con le dinamiche di mercato. Ci sono fattori ancora più profondi, quasi invisibili. Uno studio del 2021 guidato da Renée B. Adams, docente di economia all’Università di Oxford, ha mostrato che due opere identiche, firmate digitalmente da un nome maschile o femminile, vengono valutate in modo diverso dai collezionisti abituali: quelle attribuite a un artista uomo ottengono sistematicamente giudizi più alti. Non si tratta dunque di un pregiudizio esplicito, ma di un automatismo culturale radicatissimo, alimentato dal modo in cui l’arte è stata raccontata, studiata e tramandata per secoli. Gli esperti che studiano il funzionamento del mercato dell’arte sono concordi: la valutazione economica di un’opera non dipende solo dalla sua qualità, ma soprattutto dal modo in cui la società percepisce chi l’ha prodotta.
Le eccezioni non cambiano l’insieme
Questo squilibrio non è affatto nuovo. Negli anni ’90, spiegano alcune ricerche, le artiste presenti nel mercato secondario erano molte di più, anche se a cifre inferiori; oggi, l’attenzione si concentra su pochissime star women, mentre il resto rimane invisibile. È come se la scalata verso l’alto si fosse fatta più ripida e solo rarissime artiste riuscissero a emergere e farsi riconoscere. Le collezioni permanenti dei musei più importanti del mondo sono costituite per oltre il 90% da opere di uomini. È un circolo vizioso che riguarda tutto l’ecosistema: curatori, critici, storici dell’arte, direttori di museo e ruoli che, per lunghissimo tempo, sono stati occupati prevalentemente da uomini e che hanno costruito un canone che oggi appare distorto.
Il cambiamento che ci prendiamo
È un circolo vizioso che riguarda tutto l’ecosistema. Ma qualcosa, lentamente, sta cambiando. Negli Stati Uniti, il National Museum of Women in the Arts, e in Europa collezioni come quella del Murray Edwards College, lavorano per correggere la rotta, ampliando la presenza di artiste e mostrando opere che la storia ha tradizionalmente ignorato. Queste iniziative stanno lentamente scalfendo l’idea, ancora diffusa, che il vero genio artistico sia maschile e che le artiste rappresentino eccezioni subordinate a un canone ancora tutto da riscrivere. Nuove generazioni di storici dell’arte stanno rivedendo il canone, i musei stanno avviando politiche più attente alla parità e il pubblico, soprattutto quello più giovane, mostra una crescente sensibilità verso la diversità e l’inclusione. Forse ci vorranno anni, forse decenni. Ma la direzione è tracciata e il cambiamento, lento ma costante, appare ormai irreversibile.

















































