"Più passa il tempo, più imparo e più mi conosco" In conversation with Nava

Più passa il tempo, più imparo e più mi conosco In conversation with Nava

In occasione dell’uscita di Gabbeh, il nuovo album di Nava, l’abbiamo incontrata per parlare di origini, nodi emotivi e "divine timing". Un disco che intreccia memoria, appartenenza e libertà con suono e immagine, trasformando una ricerca personale in un paesaggio sonoro e visivo condiviso.

Intervista a Nava

L’inizio come scelta. Raccontami il passaggio in cui Nava smette di essere un’idea e diventa una strada: chi c’era, cosa hai deciso, cosa hai lasciato indietro.

È strano perché quando è iniziato il progetto ero praticamente una bambina e non è un male! Ero solo curiosa di imparare. Con il tempo, soprattutto da Bloom in poi, ho dovuto "crescere" da sola e questo mi ha portata a trovare una nuova squadra, una nuova famiglia. In quel periodo il progetto stava cambiando formazione: significava accettare molte novità, a volte scomode, ma necessarie per crescere. Ho iniziato a prendermi carico di molti più aspetti di Nava, soprattutto della parte visiva, da sempre fondamentale per me. Più passa il tempo, più imparo e più mi conosco. È un viaggio interiore.

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Il titolo Gabbeh rimanda ai tappeti persiani annodati a mano. Perché hai scelto questa immagine come struttura del disco? Cosa rappresenta per te l’idea del "nodo" in ogni brano?

I Gabbeh sono i diari visivi delle donne nomadi delle tribù Qashqai: intrecciano la loro vita nei tappeti. Questo disco è il mio diario sonoro. Parte da testi scritti sull’app del mio telefono, con data e luogo. Sono ciò che mi tormenta: nodi alla gola, ricordi, concetti. Raccontarli è liberatorio; mi libera e, forse, può aiutare chi vive qualcosa di simile.

Nel disco parli di distanza e appartenenza, della paura di perdere contatto con lingua e ricordi. Come Gabbeh trasforma questa tensione in musica? Quali strategie personali usi per "tenere strette" le origini?

A dire la verità, una strategia non ce l’ho ancora. Ma confessare questi pensieri mi ha dato pace: accettare la realtà mi ha permesso di conviverci e ora posso cercare una soluzione. Spero che questo disco mi faccia incontrare altre persone che si sentono come me, creando una community anche su questo piano.

Scrittura con Erio e produzione di Fabio Lombardi: cosa ha portato ciascuno al tuo metodo? Quale decisione ha sbloccato il suono finale dell’album?

Erio è stato la scintilla grazie a cui sono riuscita a scrivere e finire il disco. L’ho incontrato a Milano mentre io e Fabio lavoravamo a Kashan: gli abbiamo chiesto un parere e da lì qualcosa si è riacceso. Ho scritto subito a Claudio (il mio AR) per coinvolgerlo e lui ha accettato con entusiasmo. È stato divine timing: Erio aveva del tempo per restare a Milano, e abbiamo iniziato a costruire i brani con chitarre rotte, un solo microfono, tutto ciò che avevamo. Portavamo le demo a Fabio e lui riusciva a coglierne l’essenza. Ci vuole una pazienza infinita per questo lavoro, e Fabio ce l’ha avuta tutta. Quando ho finito di registrare le voci abbiamo deciso di aggiungere anche quelle di Erio. Ci sono momenti in cui canta persino in persiano.

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La collaborazione internazionale con Loraine James in Fire: com’è nata? Perché questo brano era il terreno giusto per incontrarvi?

È stato Claudio a intercettarla mentre era aperta a nuovi progetti. Io non volevo illudermi, sembrava un sogno troppo grande. Ma abbiamo deciso di provarci: shoot our shot. Dopo alcune mail, tramite management, le ho raccontato la storia di Fire, di DONNA VITA LIBERTÀ e dell’immaginario del brano. È lì che ha deciso di farne parte. Poi l’ho incontrata di persona a Milano, mentre suonava. È stato incredibile: sembrava ci conoscessimo da sempre. La musica muove tutto. A volte ancora non ci credo.

Fire incrocia il movimento Donna Vita Libertà e il simbolo del fuoco legato al Nowrouz. Come traduci un tema così politico in scelte musicali concrete, evitando slogan?

La musica è terapia, era l’unico modo in cui potevo esprimermi. Volevo che nella canzone ci fosse davvero la manifestazione. Abbiamo inserito audio registrati nelle strade di Tehran, quando fiumi di persone urlavano le stesse parole. Con Fire racconto ciò che si vedrebbe e ciò che si sentirebbe in quel momento preciso.

L’immaginario visivo: tappeti Ghashghai, la sabbia rossa di Hormoz, i francobolli del nonno: come avete costruito questo paesaggio con Strocchia, Servina e Sudolski e cosa vuoi che aggiunga alla lettura del disco e dei live?

Con Matteo Strocchia e Marco Servina partiamo sempre da sessioni lunghe in cui condivido temi, canzoni e testi. Questa volta avevo anche un archivio di immagini dai luoghi che ho visitato: palette ispirate alla sabbia rossa di Hormoz e alle case di Kashan, l’idea della riot metallic armor per una figura guerriera, e le scarpe con pattern “botte jegghe” che indosso in copertina. I francobolli sono nati da una loro proposta: ho deciso di usare la collezione dei miei nonni, che mia madre ha custodito in un album enorme. Volevo unire l’occhio analogico di Matteo e Marco con la CGI di Karol Sudolski, già presente nei visual dei live: da lì siamo passati da una vision board a scatti in analogico rielaborati in 3D, fino al title design di blssnd. La stessa palette attraversa anche i concerti: Marco e Giorgia Zuccon hanno creato outfit ad hoc, mentre Karol ha curato anche la light design. Avremo pochissime luci di palco: saranno i suoi visual a illuminare tutto, così la palette resta al 100%.

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C’è un brano "cerniera" che sintetizza meglio la tua direzione in Gabbeh? Quale dettaglio di scrittura o produzione lo rende centrale nel racconto del disco?

Kashan. È l’unico brano in italiano con una parte rappata in Farsi. Non è stato scelto come singolo: sarà una gemma da scoprire nell’album. Kashan è una città vicino Tehran, costruita con sabbia rossa ed è incredibile. Raccontavo tutto questo a Erio e di quanto sarebbe impossibile per me rivisitarla adesso. Questo ha creato il corpo della canzone. In Kashan però c’è anche speranza, perché sono sicura che un giorno potrò tornarci! Questo concept è intrecciato nella produzione della canzone ed è pieno di onde di emozioni! Ogni volta che lo canto durante le prove per il live ancora mi commuove.

Con l’uscita del 14 novembre su OYEZ!, qual è la traiettoria immediata? Che pubblico vuoi raggiungere? Qual è il tuo parametro di successo?

Abbiamo scelto PR e distribuzione estera: immagino questo disco per un pubblico internazionale. I temi che affronto sono realtà per moltə di noi. Credo che una canzone, quando esce, trovi da sola la sua casa. Vorrei solo meno difficoltà nel suonare dal vivo: ci sono tanti meccanismi che rendono la musica poco accessibile a un pubblico curioso. Mi piacerebbe uscisse una remix edition e portare Gabbeh in Asia. Sono curiosa di vedere che sorprese arriveranno.