
Randoseru, lo zainetto dell’infanzia giapponese che attraversa le generazioni La storia millenaria del compagno di scuola più iconico del Giappone
Il momento più bello prima di cominciare un nuovo ciclo scolastico era scegliere astuccio, diario e zaino. Un piccolo rituale che sapeva di novità, di odore di carta nuova e di aspettative fresche come la mattina di settembre. Una decisione che, più di ogni altra, avrebbe segnato i giorni futuri in classe: quale zaino comprare. E allora la domanda diventava esistenziale: Barbie o dinosauri? Glitter o materiali ecologici? Meglio mostrarsi già teen, con un modello sobrio e maturo, o dichiarare al mondo il proprio amore per SpongeBob e Rick and Morty senza vergogna? Dietro quelle scelte, apparentemente frivole, c’era tutto: l’identità in costruzione, l’appartenenza a un gruppo, la voglia di raccontarsi attraverso un oggetto che si sarebbe portato ovunque, come un compagno di viaggio quotidiano. Eppure, dall’altra parte del mondo, in Giappone, la scena è completamente diversa. Nessun dilemma estetico, nessuna corsa al modello più trendy. Per milioni di bambini, la scelta è già fatta da secoli. Ogni primavera, quando i ciliegi esplodono di fiori e il nuovo anno scolastico comincia, i bambini giapponesi indossano tutti lo stesso zaino: il randoseru, una cartella rigida, geometrica, quasi architettonica nella sua perfezione. Non è una moda. È una tradizione, un rito collettivo che accompagna generazioni intere, fino a diventare parte integrante della loro memoria emotiva. Uno zaino che pesa quanto un’infanzia, e che si trasforma, col tempo, in un simbolo di crescita, disciplina e dolce nostalgia.
Dallo zaino dei soldati allo zaino dei sogni: storia del randoseru giapponese
Come molti oggetti della cultura giapponese, anche il randoseru nasce da un incontro inaspettato tra Oriente e Occidente. Nel XIX secolo, durante il periodo di apertura all’Occidente che seguì la fine dell’epoca Edo, il Giappone stava riscrivendo se stesso. I militari olandesi, che avevano avuto contatti commerciali con il Paese, portarono con sé un tipo di zaino rigido chiamato ransel. Era funzionale, resistente, fatto per sopravvivere a tutto. Quel modello ispirò i giapponesi, che nel 1885 lo adattarono per l’uso scolastico nella Gakushūin, la scuola imperiale frequentata dai figli dell’élite. Quando il giovane principe Yoshihito (futuro imperatore Taisho) ricevette il suo randoseru come dono ufficiale, quell’oggetto militare divenne improvvisamente un simbolo nazionale. Da allora, il messaggio fu chiaro che lo zaino non serviva solo a portare libri, ma a trasmettere valori. Uguaglianza, disciplina, sobrietà. Tutti gli studenti, indipendentemente dalla famiglia o dal rango, avrebbero portato la stessa borsa, sulle stesse spalle, lungo lo stesso cammino. Nel Giappone della modernizzazione, il randoseru divenne un piccolo manifesto educativo. Ogni cucitura raccontava un’idea di ordine e di armonia: perché imparare a portare il proprio peso, fisico e simbolico, era parte del percorso per diventare adulti.
@patrickzhaoo Why does every child in Japan carry this backpack even though it costs up to $1,000? This is the Randoseru, and while it looks simple, it takes over 150 parts and more than 300 steps to make one. But it’s not just about the craftsmanship, it’s built to save a child’s life. Japan ranks third in the world for number of earthquakes and its thick leather shell acts as a shield from falling debris. It can even floatm another safety feature for a country vulnerable to tsunamis. But there’s one other thing that makes it so special. They’re passed down across generations. Parents who once wore them now watch their children do the same This isn’t just a backpack. It’s part of growing up in Japan. If you need help finding the perfect backpack, comment “guide” and I’ll send over my free backpack selection guide to teach you what to look for, what to avoid, and how to pick the right one based on your travel style. It’s also packed with the best recommendations (I’ve reviewed 50+) so you never regret a purchase again! #japan #backpacks original sound - Pat | bag reviews+travel tips
Un capolavoro d’artigianato e pazienza
Ancora oggi, più di un secolo dopo, il randoseru viene costruito con una dedizione che rasenta l’arte. Ogni borsa richiede oltre 150 passaggi manuali e tra le 20 e le 30 ore di lavoro, in laboratori dove il silenzio è interrotto solo dal suono ritmico delle mani che tagliano, cuciono, lucidano. Gli artigiani giapponesi lo trattano come una creatura vivente: controllano ogni punto, stirano ogni bordo, e alla fine lo accarezzano, come per salutarlo prima che inizi la sua lunga avventura sulle spalle di un bambino. Le versioni più classiche sono in pelle naturale, dal profumo denso e caldo, ma negli ultimi decenni si è diffuso l’uso del clarino, un materiale sintetico innovativo e leggerissimo, capace di resistere alla pioggia, alle cadute, agli anni. Marchi storici come Tsuchiya Kaban, Seiban e Kunio Tsuchiya sono diventati sinonimo di eccellenza. Il loro lavoro unisce tradizione e precisione maniacale, tanto che un singolo randoseru può durare tranquillamente sei anni di scuola senza perdere la forma. Ogni dettaglio è pensato: la struttura rigida protegge i libri, le spalline spesse distribuiscono il peso, la chiusura magnetica si apre con un clic soddisfacente. È ergonomico, indistruttibile, quasi poetico nella sua funzionalità. In un’epoca in cui tutto è usa e getta, il randoseru resta lì, fedele, ogni giorno uguale eppure diverso, perché si riempie di vita.
Prezzo, valore e legami: quando un oggetto diventa eredità
Il prezzo del randoseru non è trascurabile: si parte da circa 400 dollari, ma si arriva facilmente a oltre 1.000 dollari per i modelli in pelle pregiata. Eppure, in Giappone, non si parla mai di spesa. Si parla di dono, di augurio, di investimento emotivo. Molte famiglie risparmiano per mesi, e spesso sono i nonni a donarlo ai nipoti, come augurio di buona fortuna per l’inizio della scuola. È un momento quasi cerimoniale: lo zaino viene scartato con rispetto, accarezzato, annusato, indossato con orgoglio. Alcune aziende, come Sony, mantengono la tradizione di donare randoseru ai figli dei propri dipendenti, un gesto che ha radici nel dopoguerra, quando ricostruire significava anche creare legami comunitari. Questo zaino è talmente radicato nella cultura nipponica che, pur non essendo obbligatorio, quasi tutti i bambini lo portano. “Non è una legge, ma una regola condivisa”, ha spiegato al New York Times Shoko Fukushima, professore associato dell’Institute of Technology di Chiba. Perché in un Paese dove la collettività è più forte dell’individuo, il randoseru è diventato il simbolo visivo di un messaggio profondo: camminiamo tutti insieme, ma ognuno con la propria storia sulle spalle.
Colori, libertà e piccole rivoluzioni
Per decenni, la regola era ferrea: nero per i ragazzi, rosso per le ragazze. Ma le regole, si sa, col tempo si ammorbidiscono, proprio come la pelle dei randoseru. Oggi le vetrine sono un’esplosione di colori: lavanda, cammello, celeste, menta, argento, giallo senape. Secondo la Randoseru Association, il lavanda ha ormai superato il rosso nelle preferenze delle bambine, e sempre più bambini scelgono colori neutri o pastello. Il randoseru non è più un simbolo di uniformità cieca, ma di equilibrio: tra disciplina e libertà, tra identità personale e spirito collettivo. Molti bambini aggiungono charms kawaii, portachiavi di anime, o piccoli amuleti tradizionali, trasformando ogni zaino in un microcosmo personale. È come se il Giappone, pur restando fedele alla forma, avesse finalmente trovato il coraggio di colorare la sostanza.
@kittenpats bringing back my “cutecore” era ꒰ #aesthetic #kawaii #kawaiicommunity #kawaiiblackgirls #fairykei #fyp #cutecore #cutecore #coquette #randoseru カッチンコールたいりく / Freeze Continent - Soichi Terada
Dalle aule di Tokyo al mondo: il fascino internazionale del randoseru
Negli ultimi anni, il fascino del randoseru ha conquistato anche l’Occidente. Lo si vede sulle spalle di influencer, designer e creativi che ne apprezzano l’estetica minimalista, la solidità e quella punta di nostalgia che trasmette. A Parigi, Milano, New York, il randoseru è diventato una borsa fashion, reinterpretata in chiave urbana e unisex, ma sempre fedele alla sua anima giapponese. Marchi come Seiban e Tsuchiya Kaban esportano ormai versioni rivisitate per adulti per il pubblico occidentale, con tasche per laptop e finiture di lusso, più capienti e leggeri, ma sempre fedeli alla forma originale. Eppure, anche in questa metamorfosi, il randoseru rimane simbolo di un oggetto che resiste, che cresce con te, che invecchia senza perdere dignità. È la prova tangibile che la bellezza della durata può convivere con la modernità, come un piccolo samurai del design che non teme il tempo.
Il randoseru e la nostalgia dell’infanzia
Ogni bambino giapponese ricorda con esattezza il giorno in cui ha ricevuto il suo randoseru. All’inizio è enorme, sembra inghiottirlo. Ma con gli anni, mentre il bambino cresce, lo zaino sembra adattarsi, cambiare forma, diventare una seconda pelle. Ci finiscono dentro libri, bento box, gomme profumate, bigliettini, lacrime e risate. Alla fine dei sei anni di scuola, ogni graffio diventa un frammento di memoria. Molti lo conservano come ricordo d’infanzia, altri lo trasformano in portafoglio, borsa da adulto, o lo lasciano intatto, come una reliquia personale. In ogni caso, nessuno lo dimentica perché il randoseru è il testimone silenzioso di un periodo di formazione, il primo oggetto che insegna la responsabilità, la cura e la costanza. Allo stesso tempo, è il perfetto esempio di come un oggetto possa raccontare la storia di una cultura intera. Da simbolo militare a icona scolastica, da strumento di uguaglianza a emblema di espressione personale, continua a insegnare, con la discrezione tipica giapponese, che la bellezza più autentica è quella che resiste nel tempo.
























































