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La femminilità ribelle del babydoll

Da Versace a Loewe, l'abito babydoll è protagonista delle collezioni SS23

La femminilità ribelle del babydoll Da Versace a Loewe, l'abito babydoll è protagonista delle collezioni SS23

Da quando, all’inizio del ‘900, Paul Poiret ha decretato la caduta del corsetto e l’arrivo del reggiseno, liberando le donne dalle rigide imposizioni sartoriali del passato e aprendo la strada a nuove forme nella lingerie e nell’abbigliamento da notte, il babydoll ha attraversato le decadi, acquisendo significati sempre nuovi. Con la sua inconfondibile silhouette a trapezio è passato da capo infantile a divisa per moderne Lolita, da simbolo di emancipazione sessuale a vessillo punk-rock, fino ad arrivare a dominare le passerelle della primavera 2023 e a vestire M3GAN, la bambola robotica più famosa degli ultimi mesi che uccide bulli con un machete sfoggiando un lezioso miniabito di seta rosa. Non è un caso, infatti, se proprio ora che molti governi si stanno adoperando per limitare i diritti delle donne, sempre più costumisti e designer si stanno riappropriando di questo item per affermare la la voglia di una femminilità libera e gioiosa, che non ha intenzione di sottostare a chi vuole dettare legge sul corpo femminile. Così, complici coquettecore e balletcore, il babydoll è tornato ad abitare la creatività di brand famosi come Versace, Loewe, Coach, ma anche di realtà più giovani come Cecilie Bahnsen, Selkie e LoveShackFancy

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Il primo a parlare di babydoll è stato Avery Abbott che, nel romanzo del 1912 Captain Martha Mary, descrive l’abito di un personaggio come un capo dal taglio in stile impero che ricordava il look delle bambole vittoriane, composto da un corpetto a vita alta aderente a una gonna ampia, ma la silhouette che conosciamo oggi è associata alla lingerie degli anni ’30 e ’40, quando Sylvia Pedlar di Iris Lingerie, ne accorciò ulteriormente l’orlo. Si dice che la stilista americana personalmente odiasse il termine babydoll e non lo usò mai. Così l’origine della parola rimane vaga, anche se molti la rintracciano nell’opera teatrale di Tennessee Williams Baby Doll. Nella trasposizione cinematografica del 1956 "Baby Doll" Meighan, la protagonista interpretata da Carroll Baker, è una vergine diciannovenne sposata con un uomo più grande, che, infantilizzata da padre e marito, è costretta a dormire in una culla, ad indossare underwear in stile babydoll e ad aspettare il suo 20° compleanno per consumare il matrimonio. A far uscire il babydoll dal confine dell’abbigliamento intimo sono alla fine degli anni '50 Cristóbal Balenciaga e Hubert de Givenchy. Il primo ha trasformato questo look in un capo couture con pizzi e scollature a trapezio, mentre il secondo lo ha ripulito dagli elementi più infantili creando i suoi famosi abiti a sacco. Con gli anni ’60 di Twiggy e Mary Quant gli abiti diventarono ancora più corti, audaci e lineari, incarnando un mix tra l'innocenza delle bambine e la crescente libertà sessuale delle donne. Poi, dopo un periodo di relativo oblio, sono state le Riot Grrrl degli anni '90 come Kat Bjelland e Courtney Love a riportarlo in auge, facendolo l’elemento chiave della loro estetica kinderwhore, una sorta di "dito medio alzato verso le connotazioni dolci e innocenti" originarie del vestito, ma anche verso le aspettative della società nei confronti della brava ragazza ideale e, di conseguenza, verso i tropi vergine/puttana. 

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L’interpretazione in bilico tra allure naïf, mood da Lolita e attitudine punk-rock, ribelle del babydoll ha ispirato la primavera/estate 1994 di Anna Sui e, in tempi più recenti, anche la collezione SS12 di Meadham Kirchhoff, con i suoi cloni di Courtney Love in abitini di seta abbinati a mary jane e collant color pastello, e la SS16 di Miu Miu con le sue signorine che indossano negligé trasparenti sopra gli altri vestiti. La primavera 2023 segna un ritorno della silhouette descritta da Avery Abbott, rielaborata in diverse sfumature, dalla più sfiziosa e frou-frou alla più lineare. Cecilie Bahnsen ha optato per modelli gonfi e zuccherosi con tinte pastello, maniche a sbuffo e spalle asimmetriche, non troppo diversi dalle popolarissime creazioni di Selkie. Giambattista Valli e Del Core hanno preferito forme più minimali, asciutte ed essenziali; Ludovic de Saint Sernin SS23 li ha usati per sovvertire le norme di genere. Rick Owens li ha barattati ai soliti capi distopici e concettuali; mentre da Coach i babydoll hanno un’ispirazione sixties che, con i loro pattern Vichy e i colori delicati, ricordano il look di Mia Farrow in Rosemary's baby. Loewe ne ha fatto una sorta di evoluzione della classica polo, realizzando deliziosi modelli a righe e a tinta unita che stanno bene sia con e gambe o i collant sia con sotto un paio di pantaloni o jeans in pieno stile anni ’90. Infine, Versace li ha declinati in chiave sexy, mixando seta dall’effetto stropicciato e corpetti in pizzo. "Ho sempre amato le donne ribelli" ha dichiarato Donatella nelle sue note per la sfilata SS23 e cosa c’è parla di femminilità sovversiva più di un babydoll?