
Giorgia Fumo: "Mi darei un’ottima valutazione per tutto ciò che riguarda l’entusiasmo" Intervista alla comica, nel pieno del suo tour teatrale che arriva anche a Milano

L'intelligenza e l'acutezza di Giorgia Fumo le brillano in viso. Simpatica, veloce, animata. Ha una parlantina da paura e nessuna paura di dire quello che pensa. La stessa prontezza di spirito che dimostra su TikTok e su Instagram, dove è diventata famosa con piccoli sketch comici in primo piano, viene fuori anche sulla nostra poltrona verde. La sua storia, dopotutto, è interessante ancora prima che molto divertente. Ingegnera, ha lavorato per anni con i numeri, ma sempre facendo teatro e improvvisazione. Grande palestra che le è stata utile - anzi fondamentale - quando ha deciso di mollare tutto e diventare una vera e propria content creator e performer. Lo ha fatto con maturità, scegliendo di vivere in provincia e di spostarsi all'evenienza, per "non distrarsi". Il suo ultimo spettacolo, a Milano il 5, 6 e 7 dicembre al Teatro Manzoni, parla proprio di lavoro d'ufficio, e si intitola Out of Office.
Intervista a Giorgia Fumo, nel pieno del suo tour teatrale
Iniziamo parlando proprio di questo. "Se il mio spettacolo fosse una mail inizierebbe dicendo spero che questa mail non ti trovi. Spero che tu sia libero. Spero che tu non mi legga" esordisce, e già è difficile contenere le risate. Insomma, uno spettacolo relatable, direbbero i giovani, pieno di cose che succedono a tutti in ufficio. "Io lavoravo come analista per multinazionali del beauty e della moda, quindi i ritmi erano folli, i problemi che dovevo risolvere erano folli. Ma in realtà la cosa secondo me più matta è successa da poco. Ho lavorato come creator per un brand per cui facevo le analisi quando avevo iniziato a lavorare e ho rivisto un manager che ai tempi mi faceva paurissima" confessa, ridendo. "Mi ha salutata con tanto affetto, mi ha fatto i complimenti. Ho confrontato quella situazione con come mi sentivo quando ero più giovane, quando sentivo di dover dimostrare tanto. Ecco, questo vuol dire che quando ti impegni la gente poi si ricorda, non è vero che sei invisibile, poi la soddisfazione arriva".
Insomma, il materiale da cui trarre ispirazione per uno spettacolo comico (e un po' filosofico) c'è, eccome. "L'ho capito subito che era materiale prezioso" ci racconta. "Con i colleghi fai trauma bonding, ti racconti a vicenda le cose tremende che hai vissuto, è un modo per restare uniti nella tempesta. Poi in un periodo di consegne tremende io avevo iniziato ad attaccare al muro dell'ufficio delle vignette che raccontavano quello che ci era successo, e chi ci passava davanti si fermava a leggerle e rideva. Ci faceva bene, il lavoro era diventato uno spettacolo. Andando sul palco mi è stato chiarissimo, ho realizzato che questa mole di roba che ho vissuto era comprensibile a tutti e anche sdrammatizzabile".
Una riflessione sul lavoro contemporaneo, ma sempre con il sorriso sulle labbra
Non solo risate, anche riflessione. Sul burnout, sul trauma bonding, sull'importanza e sul tempo che il lavoro ci impegna e forse anche ci ruba. È una questione di equilibrio, sia in ufficio che sul palco. "Satira o racconto personale? Bilanciare questi due elementi è il 70% del lavoro" ammette. "La stand up comedy ha il pregio di poter raccontare cose anche difficili con la comicità, ti permette di andare un po' oltre le battute sulla suocera. La differenza la fa l'obiettivo. La gente viene allo spettacolo perché vuole ridere, non per dispiacersi. Quindi cerco di lavorare solo su eventi che ho elaborato, che riesco a vedere da più punti di vista, che non mi fanno più arrabbiare. Quelli fanno ridere perché riesco a trattarli con distacco". Si capisce, ascoltandola parlare, che Giorgia Fumo pensa molto alle cose. Al lavoro, che anche se è cambiato rimane un lavoro. "Se il lavoro fosse una persona sarei in una relazione assolutamente tossica. Io ero quella che diceva adesso basta, ho chiuso, mando l'ultima mail e poi butto il telefono via lontano, ero quella che diceva che se non mi promuovevano era perché ero troppo preziosa nel ruolo in cui già ero" ci racconta. "Insomma ero una people pleaser, assuefatta da meccanismi che non mi facevano bene e che mi auto-imponevo da sola. Erano altri tempi. Noi stagisti avevamo il coltello tra i denti. Volevamo essere bravi, far vedere che avevamo studiato, anche quando i posti di lavoro erano pochi e noi eravamo tantissimi".
L'esperienza sui social e la comicità al femminile in Italia oggi
Se si parla di lavoro, oggi, si parla anche di LinkedIn, social network amato e soprattutto odiato. Giorgia lo ama, ma lo ama con interesse antropologico. "Io non resisto. Se vedo un post che mi fa venire voglia di rispondere io rispondo. Se posso smentire qualcuno che pensa di essere figo perché non farlo? Oppure faccio un post io, in risposta. Lo uso come ispirazione, è un ecosistema che si nutre da solo. Ci sono tre persone che fanno cose interessanti e tutto il resto che dice che il figlio Michelangelo gli ha dato una grande lezione sui sistemi di negoziazione. Ecco, forse i bambini finti di LinkedIn sono i miei preferiti" conclude. A proposito di social, abbiamo già accennato che la nuova carriera di Giorgia Fumo inizia da lì. Le chiediamo, dunque, come cambiano il processo creativo e la scrittura quando da un video di 60 secondi si passa a un intero spettacolo teatrale. "Io parto dal teatro, come Valeria Marini. Solo dopo sono andata sui social network. Io non scrivo mai, a meno che non siano contenuti branded. Mi segno delle note con delle idee, però poi vado a ruota libera, sia in video che sul palco. Solo di recente ho iniziato a scrivere un po' di più, ho iniziato a fare un po' di televisione, a lavorare con degli autori, con un regista" ci spiega. "Scrivo delle scalette, lo uso come strumento per ricordare. Per me le cose vanno create nello stesso modo in cui verranno fruite. Per gli spettacoli dal vivo prima vado nei locali a provare i pezzi, a provare le idee, perché la reazione del pubblico è importante".
A proposito di pubblico, impossibile non toccare un tema spinoso. Cosa vuol dire fare comicità da donna? "Io non ho sentito particolari pressioni" esordisce, "ma forse è perché vengo dall'ingegneria, ero abituata ad agire e muovermi in un ambiente molto maschile. Se rivedo le prime foto degli open mic e delle serate collettive mi rendo conto che c'ero solo io donna, tutti gli altri erano uomini. Da donna, credo che non ci si debba giustificare o chiedere il permesso, tu vai lì e porti il tuo pezzo. Conta solo una cosa: se la gente ride o non ride". E poi prosegue: "All'inizio mi capitava che arrivavo lì e mi chiedevano se il comico fosse mio marito, ignorandomi. Però poi la gente rideva. Anche più che con gli altri. Anche perché io prima degli open mic facevo improvvisazione, quindi tutta quella parte ce l'avevo già. A volte mi capita che le ragazze mi raccontino che si sono iscritte a un open mic anche grazie ai miei video e a me fa piacere, vuol dire che si sono sentite autorizzate a fare una cosa che volevano fare e che non c'erano impedimenti pratici, ma magari pensavano di non poterlo fare lo stesso. A volte la stanza giusta la devi creare tu" e quasi risuonano le parole Virginia Woolf, che sosteneva l'importanza, per le donne nella scrittura, di ricavarsi una stanza tutta per sé.
L'ultima battuta è su se stessa. Le chiediamo di fare una valutazione di se stessa come dipendente dell'azienda comicità. "Mi darei un'ottima valutazione per tutto ciò che riguarda l'entusiasmo" risponde, svelta. "Una pessima valutazione, invece, sulla gestione della documentazione. Da migliorare le pubbliche relazioni. Non ho botox, si capisce subito se qualcuno non mi piace e non è una cosa che aiuta". E dopo il palco, nel suo futuro? "Ho appena finito il tour europeo, sto portando avanti quello italiano. Sto scrivendo molto, voglio diventare costante con la mia newsletter. Voglio creare cose, recitare, mettere da parte note, fare qualcosa in radio. Insomma, la mia ce l'avete, se mi volete chiamare io sto qua".
























































