
"L'amore, in teoria" decostruisce la figura maschile e ci dimostra che c'è speranza
Nonostante le sbavature il film con Nicola Maupas è un toccasana
24 Aprile 2025
Diciamolo apertamente: viviamo tempi spaventosi. Crisi economiche, dazi, pandemie, disastri ambientali, missioni spaziali con donne a fare da belle statuine per i capricci di pochi milionari, disparità di genere sempre più pronunciata. Sotto ogni punto di vista, da qualsiasi parte la si guardi, non ce la stiamo cavando troppo bene. E no, non siamo qui a dirvi che sarà l’amore a poterci salvare. Non è nemmeno ciò che fa la commedia romantica di Luca Lucini, L’amore, in teoria, col regista che dopo vent’anni dal suo debutto con Tre metri sopra al cielo si approccia a quella che è una sorta di evoluzione nei rapporti tra nuove generazioni, fortunatamente distanti anni luce dal mito del bello e tenebroso con cui andare in moto senza casco e della ragazza carina e ingenua pronta a saltare in sella. Un cambio di paradigma rispetto al cult del 2004 con Riccardo Scamarcio e Katy Louise Saunders, che mostra come in un periodo storico in cui i femminicidi contano circa una donna uccisa ogni due giorni e la virilità dilaga per il web ormai anche sotto forma di podcast ci sia ancora un briciolo di speranza. Giusto quella che serve per ricordarci che, forse, qualcosa in questi anni è cambiato.
L'amore in teoria, trama e significato del film al cinema dal 24 aprile
Prendiamo ad esempio proprio L’amore, in teoria. Protagonista Nicolas Maupas, il film è una sorta di ribaltamento della figura del protagonista romantico (insicuro e impacciato) che non ricercherà quei mezzucci stereotipati e stantii in cui dovrà mostrarsi un "vero uomo" per conquistare il cuore della ragazza che gli piace. E che non accetterà di scendere a compromessi quando si tratterà di dover barattare il proprio cuore, parlando apertamente di cosa desidera e dei suoi sentimenti. Rispetto alla figura di Step di Tre metri sopra il cielo, il Leone di Maupas è un ragazzo qualunque che prova soltanto ad entrare in connessione con un’altra persona senza trasformarsi nel maschio alpha. Non c’è coercizione, non c’è bisogno di instaurare giochini deleteri o tossici e c’è persino un mettersi a nudo che denota una sincerità rigenerante e ammirevole. C’è una decostruzione del maschio – non solo col protagonista, ma anche col padre interpretato da Francesco Colella e l’improbabile clochard di Francesco Salvi - di una figura di cui speravamo di esserci liberati e che i meandri della manosfera e dei seguaci di Andrew Tate hanno ritirato fuori. C’è un’attenzione alla sensibilità soprattutto in una fase ancora giovanile dell’esistenza in cui si cominciano a instaurare i legami più profondi e c’è il rischio di rimanerne feriti. Per questo anche il rifiuto è uno dei temi che il film affronta, mostrando quanto sia importante imparare ad accettarlo.
Pur nella sua estrema semplicità e diverse sbavature in scrittura, come la risoluzione del personaggio di Flor interpretato da Martina Gatti, L’amore, in teoria è il ribaltamento dei protagonisti romantici che il cinema italiano per ragazzi (facciamo anche ragazzini) aveva per tanto tempo realizzato e che assume una veste inedita e più attinente al contemporaneo. O, almeno, a come spereremmo fosse: rispettosa, aperta all’ascolto, che chiede aiuto quando si tratta di approcciarsi alla persona che ci piace e che sa bene ponderare quali siano i reali consigli da seguire. Che non si fa problemi a parlare persino di sesso e che apprende da subito che nel piacere si è in due - o che non esiste un’età prestabilita in cui bisogna farlo, anche quando si tratta della prima volta per un ragazzo. Un film speculare e contrario a quanto spesso è stato proposto sul genere dal panorama italiano, che speriamo possa avere presa proprio su quel pubblico che si sta domandando ora cos’è l’amore, anche solo in teoria.