Sue Nabi non è più CEO di Coty, al suo posto arriva Markus Strobel Leadership, portafoglio e fragranze: cosa resta dell’era Nabi e cosa attende Coty

L’uscita di Sue Nabi dalla carica di CEO di Coty non è una semplice notizia di avvicendamento manageriale, ma un passaggio strutturale che racconta molto dello stato attuale dell’industria beauty globale. Dopo cinque anni al timone, Nabi lascia un gruppo profondamente diverso da quello trovato nel 2020: più snello dal punto di vista finanziario, più focalizzato sulle fragranze, ma ancora fragile nel segmento mass market e sotto pressione sul fronte delle licenze strategiche. La sua uscita avviene in un momento in cui il mercato non concede più tempo, né narrazioni rassicuranti. Impone scelte nette, e soprattutto risultati. Quando Sue Nabi era arrivata in Coty, nel pieno della pandemia, l’azienda era schiacciata da un debito elevato, da una governance complessa e da un portafoglio marchi dispersivo. Il suo mandato è stato fin dall’inizio impostato come un’operazione di risanamento industriale e culturale, più che come una semplice fase di crescita. In questo senso, l’era Nabi va letta come una lunga transizione necessaria, ma, secondo gli esperti, non sufficiente a riportare Coty su un sentiero di espansione stabile.

Il segno lasciato da Sue Nabi come CEO 

Il primo lascito di Sue Nabi è stato il rigore. Ridurre il debito, semplificare la struttura, dismettere asset non strategici come Wella. Tutte mosse necessarie, quasi obbligate, per evitare che Coty restasse intrappolata in una spirale finanziaria senza uscita. Ma il rigore, da solo, non genera crescita. E il problema di Coty è che, terminata la fase di emergenza, non è mai riuscita a costruire una narrativa industriale altrettanto convincente per il futuro. La scommessa sulle fragranze di prestigio è stata la scelta più lucida del mandato Nabi. Qui Coty ha dimostrato di saper ancora giocare una partita credibile, valorizzando marchi iconici e lanciando prodotti capaci di intercettare il gusto del mercato globale. Il caso Gucci Beauty, cresciuto in modo significativo sotto la sua gestione, resta emblematico: performance solide, ma fondate su una licenza che non appartiene realmente al gruppo e che, dal 2028, passerà a L’Oréal. Un successo, sì, ma a tempo determinato. Nel frattempo, il mass market beauty continuava a perdere trazione. Marchi storici, un tempo centrali per Coty, hanno progressivamente smarrito rilevanza culturale, schiacciati tra i colossi del largo consumo e i nuovi brand indipendenti, più rapidi, più credibili, più allineati ai linguaggi contemporanei. Qui la trasformazione non è mai davvero avvenuta. C’è però un altro livello su cui l’impatto di Sue Nabi è stato profondo, e che va riconosciuto senza ambiguità. La sua leadership ha ridefinito il perimetro culturale di Coty, portando il tema dell’inclusione e della parità da dichiarazione di intenti a pratica aziendale strutturata. Essere la prima CEO transgender del gruppo non è stato solo un fatto simbolico, ma una leva per ripensare politiche interne, linguaggio e identità. Il punto, tuttavia, è che nel beauty contemporaneo la cultura è una condizione necessaria, non più sufficiente. Senza prodotti desiderabili, senza brand rilevanti, senza una visione chiara di portafoglio, anche la trasformazione più virtuosa rischia di restare confinata all’interno dell’organizzazione, senza tradursi in valore percepito dal mercato.

Markus Strobel alla guida

Il testimone passa ora a Markus Strobel, nominato CEO ad interim e presidente esecutivo, in un assetto di governance che segnala chiaramente una fase di gestione più che di rilancio narrativo. Strobel arriva da Procter & Gamble, con un profilo fortemente orientato all’operatività, alla gestione di portafogli complessi e all’efficienza industriale. Non è un visionario, ma un esecutore esperto, chiamato a stabilizzare Coty in un momento in cui il titolo ha perso oltre metà del suo valore e la fiducia degli investitori resta fragile. La sua esperienza tra skincare, personal care e fragranze di alta gamma rappresenta un vantaggio, soprattutto in una fase in cui Coty sembra intenzionata a rafforzare ulteriormente il perimetro premium. Tuttavia, il nodo centrale resta cosa fare del mass market beauty, un segmento che continua a pesare sui conti senza offrire prospettive di crescita convincenti. Continuare a presidiare segmenti che non generano valore è un lusso che il gruppo non può più permettersi, soprattutto in vista della perdita della licenza Gucci. La revisione strategica in corso, che potrebbe portare a dismissioni o spin-off di marchi storici, è il vero banco di prova della nuova leadership.

Coty e il dopo Nabi

L’uscita di Sue Nabi coincide anche con il progressivo ritiro di Peter Harf, figura chiave della storia recente del gruppo e di JAB Holding. È un cambio generazionale e strategico insieme, che apre una fase in cui Coty dovrà decidere se vuole essere un player focalizzato sulle fragranze di prestigio o un conglomerato ancora presente, ma indebolito, nel largo consumo. Il rischio è quello di una concentrazione eccessiva su poche licenze forti, in un mercato che premia velocità, innovazione e rilevanza culturale più della semplice scala. La perdita di Gucci Beauty renderà inevitabile una riflessione profonda sulla diversificazione del portafoglio e sulla capacità del gruppo di costruire nuovi brand iconici, anziché limitarsi a gestire quelli esistenti.

Il futuro di Sue Nabi oltre Coty

Per Sue Nabi, l’uscita da Coty non suona come una battuta d’arresto, ma come un cambio di prospettiva. Il suo profilo resta quello di una dirigente capace di attraversare industria, lusso e imprenditorialità, con una credibilità che va oltre il breve periodo. L’ingresso nel board di Moncler suggerisce un futuro sempre più orientato alla governance e alla visione strategica, piuttosto che alla gestione quotidiana di organizzazioni complesse. La sua eredità, in definitiva, è ambivalente. Ha fatto ciò che doveva essere fatto, ma non tutto ciò che sarebbe servito per cambiare davvero il destino di Coty. E ora tocca ad altri dimostrare se quel lavoro era un punto di arrivo o solo una lunga, necessaria, anticamera.