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La vita tormentata e glamour di Eleonora Duse

Raccontata dal documentario al cinema

La vita tormentata e glamour di Eleonora Duse Raccontata dal documentario al cinema

Epoche, ambiti, arti, tutto diverso. C’è così poco che avvicina Bob Dylan a Eleonora Duse, eppure sono così simili nella maniera in cui gli altri provano a rappresentarli. Da una parte abbiamo il biopic A Complete Unknown diretto da James Mangold, dove il giovane divo Timothée Chalamet ne impersona gli inizi, ma resta comunque la sensazione di non averne saputo cogliere bene l’essenza, non fino alla fine. Dall’altra un documentario, Duse - The Greatest, in cui l’attrice e in questo caso anche regista Sonia Bergamasco ha intrapreso un viaggio per andare a scoprire il passato della più importante interprete del teatro italiano, di cui si è riuscito a sapere sempre poco. Non che mancassero saggi, documentazioni, ritratti. È così che l’artista non voleva fosse trasmessa la sua memoria. Ciò che secondo lei doveva vivere - e continuare a farlo anche dopo la sua morte - erano le performance sul palco, non il loro ricordo. Così, si ripropone nel lavoro di Bergamasco la difficoltà di riuscire a racchiudere e raccontare una personalità artistica che cambiò la direzione di un’intera arte. Ma chi era Eleonora Duse?

Vita e infanzia di Eleonora Duse

Nata in una stanza di albergo di Vigevano da madre e padre attori, la famiglia Duse discende dal nonno, Luigi Duse, famoso attore di commedie veneziane. Una personalità che venne osteggiata alla metà dell’Ottocento in quanto oppositore della Repubblica veneziana, tanto che il resto della sua famiglia ebbe un’esistenza durissima, compresa l’infanzia di Eleonora, i cui primi anni di vita furono segnati dai continui spostamenti con le compagnie dei genitori, con pochi spicci in tasca e una saltuaria frequentazione della scuola. Intorno ai quattro anni la piccola Duse muove già i primi passi nella recitazione, fin quando all’età di dodici anni non comincia a ricoprire i ruoli principali femminili a causa della malattia della madre. Fu dopo una rappresentazione nell’arena di Verona del 1873 in cui interpreta Giulietta che, sorprendendo tutti, decide che quello sarebbe stato il suo destino.

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Morta la madre e cambiate col padre varie compagnie, nel 1881 si sposa con Tebaldo Checchi che sa come relazionarsi con i giornalisti. È grazie a lui che i due riescono a costruire l’immagine di Eleonora Duse. È dopo il 1885 che lascia la compagnia Rossi fondando la sua Compagnia di Roma in società con Flavio Andò, diventando responsabile del repertorio e della scelta degli altri attori, oltre a proporre al pubblico testi non convenzionali. Abbandonò le regole della commedia dell’arte, limitando le decorazioni, e escluse l’idea del trucco eccessivo e sottolineato, lasciando che fossero solo le espressioni a veicolare i sentimenti dei personaggi. Non a caso i racconti la descrivono come impressionante nella sua naturalezza, tanto in volto quanto nel gesto.

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Le opere, D’Annunzio e la rivalità con Sarah Bernhardt

Tra le più famose rappresentazioni di Eleonora Duse figura l’adattamento dell’Antonio e Cleopatra di William Shakespeare del 1887 ad opera di Arrigo Boito, con cui l’attrice ebbe una relazione tanto sentimentale quanto intellettiva. Una versione discussa, visto il risalto dato più al personaggio femminile che al corrispettivo maschile. Esattamente come raccontato in Duse - The Greatest, tra i cambiamenti rivoluzionari apportati dall’artista ci fu il restituire una dimensione emotiva e significante alle protagoniste del teatro e della letteratura mondiale. Donne da sempre descritte dai romanzi o dai testi dei più grandi autori e drammaturghi uomini, a cui Duse aggiunse un intimo portato femminile. Non a caso si fece strada tra i palcoscenici di tutto il mondo, instaurando anche una competizione oltre i confini con Sarah Bernhardt, faro del teatro parigino, di cui ripropone le stesse opere cercando uno confronto diretto, che portò critici e pubblico a considerarle rivali.

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Duse fu la prima a portare nei teatri italiani Casa di bambola del norvegese Henrik Ibsen nel 1891, di cui l’attrice non toccò una virgola. Fu poi con l’incontro con Gabriele D’Annunzio, la cui amicizia si trasformò dopo un anno in amore, che cercò ulteriori stimoli nel teatro. Fu lei a domandare al poeta come mai non avesse mai scritto per il palco, avanzando un’alleanza artistica dove lui avrebbe realizzato i copioni per Eleonora Duse e lei li avrebbe recitati. È per l’attrice che realizzerà La città morta, di cui in Francia venderà i diritti proprio a Sarah Bernhardt. La relazione andò avanti per circa cinque anni, con D’Annunzio che prese affitto dall’altra parte della strada rispetto alla casa a Settignano in cui abitava Duse (detta La Porziuncola), ma infedeltà e incomprensioni portarono la coppia ad allontanarsi anche e soprattutto quando l’autore pubblicò Il fuoco, storia di un giovane poeta e della relazione con un’attrice avanti con gli anni.

Da Marylin Monroe a Anna Magnani: l’eredità di Eleonora Duse, tra teatro e quell’unico film 

Quando si parla di Eleonora Duse, un punto che viene sollevato anche nel documentario, è come le attrici l’abbiano sempre presa a modello pur non avendola mai vista. Tra le sue più grandi ammiratrici ci furono Marilyn Monroe, di cui le aveva parlato ripetutamente il suo maestro di recitazione Lee Strasberg, e Anna Magnani, considerata il suo equivalente cinematografico. C’è solo un film a cui l’attrice prese parte, Cenere di Febo Mari, per il resto le sue interpretazioni appartengono al teatro. Duse dovrà affrontare debiti e difficoltà, ma fu soprattutto per pura curiosità che intraprese l’esperienza cinematografa con l’uscita del film muto nel 1916. Anche qui Duse, invece che ostentare, punta alla sobrietà: si sottrae alla telecamera, non cerca il suo sguardo. Riesce a recitare anche con le spalle, la nuca, la schiena, coprendosi fino a nascondersi, dando così profondità alla madre che interpreta. Sarà l’unica volta che la vedremo in pellicola

  

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Nonostante la Grande Guerra l’attrice continua i suoi viaggi, le tournée. E, negli Stati Uniti, come era nata in una stanza d’albergo, morì in un hotel di Pittsburgh dopo un malore che aggravò la già debole condizione dei suoi polmoni. Come disse in una delle rarissime interviste che non amava rilasciare: "Io non esisto". Sono le azioni che parlano per lei, gli spettacoli, o le iniziative come la Libreria delle attrici, un rifugio per colleghe più giovani aperto nel 1914 e che chiuse purtroppo col sopraggiungere del primo conflitto mondiale. Pur tentando di riportarla all’interno di un documentario, è chiaro come ciò che traspare è il senso di inafferrabilità che ha sempre fatto parte dell’anima di Duse. Un’icona magnetica, piena del fascino di un divismo rimasto irraggiungibile.