Arianna Ablondi Pedretti: "Cerco di ricreare la mia interpretazione di un'estetica femminista" Intervista alla designer italiana che ha lanciato un ciclo di incontri alla Libreria delle Donne
Il 9 maggio si è aperto il ciclo di incontri e conversazioni su temi urgenti legati alle donne chiamato "In her words" alla Libreria delle donne di Milano. A presentarlo ci ha pensato Arianna Ablondi Pedretti, designer italiana e fondatrice del label di moda femminile contemporanea Ablondi. Il documentario proiettato durante il primo incontro - Il corpo delle donne di Lorella Zanardo - è una delle tante ispirazioni del marchio, che unisce artigianato italiano e pensiero femminista. Il nome stesso, preso in prestito dalla madre della stilista, è una dedica a tutte le donne e un invito a ripensare la moda come campo di espressione intellettuale, politica e tecnica. Abbiamo scambiato due parole con lei, ecco quello che ci ha raccontato.
Intervista ad Arianna Ablondi Pedretti, designer italiana
"In Her Words" nasce come spazio di dialogo ispirato alle conferenze femministe degli anni '60 e '70: cosa ti ha spinta a intrecciare moda e attivismo femminista in un evento così simbolico?
La spinta è la stessa che mi ha portato a introdurre delle tematiche femministe all'interno delle collezioni e delle campagne sin dall'inizio; ovvero l'urgenza che percepisco legata a questi temi. Solo che spesso nel contesto moda il dialogo sui problemi delle donne si ferma ai comunicati stampa o a qualche dibattito online. Ho pensato che creare uno spazio fisico dove davvero le donne potessero affrontare tematiche sentite e in cui si potessero sentire più protagoniste fosse importante; soprattutto nell'industria della moda che è così tanto legata alla percezione e la costruzione della loro (nostra) bellezza. Io stessa spesso partecipo a conferenze femministe e penso sia in linea con il brand espandere il discorso fuori da spazi online e nei luoghi reali, storici del femminismo. In questo caso in uno dei luoghi principali e fondanti del femminismo italiano; ovvero La libreria delle donne di Milano, che quest'anno compie 50 anni.
Il documentario "Il corpo delle donne" ha un significato particolare per Ablondi: in che modo ha influenzato la tua visione come designer e il linguaggio visivo della tua collezione?
Ho visto per la prima volta "Il corpo delle donne" di Lorella Zanardo in un momento cruciale in cui stavo iniziando a sviluppare la mia collezione di Master a Central Saint Martins a Londra. Era durante un periodo in cui stavo facendo tanta ricerca sui concorsi di bellezza, la televisione italiana e una certa estetica legata alla visione della donna in Italia che ho vissuto durante la mia infanzia. Soltanto che in quel momento non capivo benissimo cosa volessi dire e il documentario è stato rivelatorio; mi ha fatto capire che la mia esperienza era condivisa con le donne italiane della mia generazione. Da lì è nata la seconda parte della ricerca; ovvero ho iniziato a pensare come fosse possibile riappropriarsi di alcuni codici di quell'estetica, giocandoci,
Ablondi unisce artigianalità italiana e riflessione teorica su femminilità, sessualità e funzione. Qual è l'equilibrio che cerchi tra estetica e politica nei tuoi capi?
Con i miei capi cerco di ricreare una mia intepretazione di un'estetica femminista; che sia in grado di contenere più sfaccettature della femminilità. Vorrei sempre che i miei capi facessero pensare; non voglio mai che siano né sessualizzanti, né censuranti. Penso anche molto a cosa vuol dire "funzionale" nell'abbigliamento femminile, che è un tema sempre un po' denigrato. Ma questo non vuol dire che non penso all'estetica; varie cose possono coesistere nel design, come coesistono nella femminilità e persino nella teoria femminista.
Il tuo marchio lavora con una filiera corta e artigiana vicino a Parma. Quanto è importante per te questo radicamento territoriale in un progetto che ha ambizioni internazionali?
Sì, in realtà lavoro con artigiani e aziende un po' in tutto il Nord e Centro Italia. Penso che sia importante, sebbene in questo momento storico faticosissimo per i designer emergenti come me, produrre e creare relazioni con realtà locali. Penso che sia davvero l'unica sostenibilità possibile. Poi mi piace la relazione con i produttori perché mi fa crescere come designer; è uno scambio al quale do lo stesso valore che darei alla collaborazione con un'artista; quindi voglio poter essere vicina ai luoghi dove vengono creati i miei capi.
La tua collezione è spesso definita "nostalgica" ma profondamente contemporanea. Quali sono i codici culturali italiani che più ti affascinano e come li trasformi per parlare alle donne di oggi?
Penso che un'altra sfida come designer sia proprio questa: non risultare nostalgica in un mondo post-postmoderno in cui tutto è citazione della citazione e gli unici spazi sicuri in cui rifugiarsi sembrano essere le estetiche del passato. A me piace pensare di avere un occhio contemporaneo sul design. Penso comunque sempre a me, alle mie amiche, alle donne che conosco, nonostante la mia ricerca visiva e teorica sia molto intrinseca agli anni '60 e '70. Per quanto riguarda i codici italiani è interessante che tu me lo chieda perché in questo periodo sto proprio cercando di esplorare questo tema; penso che sia molto difficile per noi italiani parlare di Italia, soprattutto nella moda che è fatta di simboli e codici e quindi facilmente si può cadere nello stereotipo. Per ora non ti so rispondere, spero di farlo con la prossima collezione!