
Quanto sono importanti gli ambassador famosi per i marchi beauty?
Volti, valori e strategie: il potere delle celebrity nella bellezza
13 Maggio 2025
Ci sono pubblicità iconiche che restano nella memoria collettiva come canzoni estive. Ad esempio, basta un’inquadratura di Charlize Theron che emerge da una piscina con l’acqua dorata per evocare Dior J’adore. Dietro questi momenti ci sono decisioni strategiche precise, trattative milionarie e un sistema che ha trasformato il volto umano in leva economica. Nel 2025 più che mai, le icone pop non si limitano a dominare le classifiche musicali o a collezionare premi cinematografici. Oggi, una celebrità di rilievo può ridefinire il destino economico e culturale di un marchio beauty, con una sola campagna pubblicitaria. In un’epoca dove il consumo è sempre più connesso all’identità, i brand di bellezza si affidano ai volti noti per orientare le scelte, i sogni e le conversazioni dei consumatori. Il ruolo degli ambassador celebri nei marchi beauty non è mai stato così centrale. Siamo entrati in un’era dove l’influenza ha superato il prodotto stesso, trasformando i testimonial in artefici di cultura e desiderio. Ma cosa si nasconde dietro questa alleanza sempre più stretta?
Come si sceglie un ambassador della bellezza?
Rispetto a qualche decennio fa, il rapporto tra brand e celebrity è molto più fluido, condizionato da algoritmi, engagement, identità culturale e strategie di lungo periodo. La scelta di un ambassador parte da un’analisi meticolosa. Perché l’abbinamento sbagliato può costare caro. Un nome sbagliato può disconnettere il marchio dal suo pubblico. Uno giusto, invece, può trasformare un fondotinta in un’icona. C’è un’intera economia che gira attorno a queste decisioni, popolata da agenzie, consulenti d’immagine, manager, focus group e creativi che lavorano per trovare la combinazione perfetta tra il DNA del brand e l’aura della celebrity. I più bravi sanno prevedere in anticipo chi sarà la it girl di domani, altri preferiscono rivolgersi a divi dalla fama consolidata, come Natalie Portman, che è il volto del profumo Miss Dior dal 2011 con un contratto, si mormora, di “10 milioni di dollari per X anni”. Questi team di esperti, però, non cercano solo follower e notorietà. Come spiegano diversi insider del settore, ingaggiano le star capaci di “attivare” il pubblico, di generare valore culturale e monetario. Si aspettano che siano coerenti, rilevanti, e soprattutto, instagrammabili.
Il potere del volto giusto
I beauty brand oggi non cercano solo glamour. Cercano risonanza. Vogliono essere parte di una conversazione. Vogliono engagement che si traduca in acquisto. Sanno che non bastano più delle labbra carnose per vendere un rossetto, né una pelle perfetta per lanciare una linea di skincare. I volti che contano sono quelli che raccontano una storia, incarnano un messaggio e riescono a tenere insieme estetica, identità e aspirazione. Ma attenzione: chi è perfetto oggi può non esserlo domani. Per questo, prediligono celebrità che sappiano allo stesso tempo sia incarnare un universo valoriale sia comunicare in modo credibile con un pubblico disilluso, esigente, e profondamente informato, che non vuole più essere solo ispirato, ma vuole essere visto. Così, essere ambasciatore di un brand non è più solo un titolo. È una performance continua. Quando questa connessione è sincera, o sembra tale, il ritorno può essere immenso. Non è un caso se oggi tra le ambassador troviamo anche attiviste, attrici di diverse etnie, modelle curvy, persone transgender. Pensiamo a Nicola Coughlan, attrice in ascesa grazie a Bridgerton, scelta da Neutrogena per la campagna Main Character Energy. La sua immagine non patinata ma reale e smart, ha permesso al marchio di parlare con una nuova generazione di giovani donne che non vogliono sentirsi “bellissime”, ma protagoniste. Un altro esempio emblematico è Rosé, voce delle BLACKPINK e musa di Yves Saint Laurent Beauté. La sua immagine eterea, ma accessibile, che unisce Oriente e Occidente, ha fruttato un valore mediatico da capogiro pari a 6,6 milioni di dollari per un solo post.
Quando l’ambassador non funziona più
Il rapporto tra bellezza e celebrità non è sempre rose e fiori. Anzi. Può diventare spietato. Se l’ambassador smette di rappresentare i valori del marchio (per ragioni d’età, visibilità, oppure cambiamenti culturali), il licenziamento arriva. Silenzioso, ma netto. Col tempo, però, la narrazione sta cambiando. Il settore ha aperto le porte a una maggiore inclusione e ha imparato a gestire il cambio della guardia con più decoro. Dopo vent'anni, Dior Beauty ha deciso l’anno scorso di non affidare più a Charlize Theron il ruolo di testimonial del suo colosso delle fragranze J’adore. Come? Annunciando in modo eclatante che la Theron sarebbe diventata l’ambasciatrice per la linea di gioielli e per i prodotti per la cura della pelle del marchio, per poi, tre mesi dopo, presentare Rihanna come nuova protagonista delle campagne pubblicitarie di J’adore.
Una sola faccia, tanti volti: il potere dell’ambassador multitasking
Un tempo, un solo brand voleva “possedere” l’immagine di una celebrità beauty. Il paradigma era chiaro: una musa, un marchio, una narrazione esclusiva. Pensate a Lily-Rose Depp, icona perfetta e dichiarata “Chanel girlie”, erede diretta del glamour raffinato di sua madre Vanessa Paradis. Quei tempi, così assoluti, così gelosamente monogami, sono finiti. Oggi, la celebrità è polifonica. È possibile vederla in uno spot con Sol de Janeiro, poi tra i flaconi clinici di SkinCeuticals, e infine sulle beachy waves sponsorizzate da Nexxus. Proprio come fa Sofia Richie Grainge, regina di TikTok e nuovo volto di una bellezza multitasking capace di vendere sogni e sieri, su più fronti contemporaneamente. E se pensate che sia solo una questione di follower, guardate Sydney Sweeney. Mentre in una foto posa per Armani Beauty, nell’altra spruzza Laneige sul viso o twista i capelli con Kérastase, senza dimenticare l’abbraccio muschiato della Dr. Squatch. Il tutto mentre fa pubblicità anche a Mustang, Heydude e persino Bai. Oggi, l’esclusività è un lusso contrattuale, non più la norma. La nuova regola? Evitare la sovrapposizione diretta: se promuovi rossetti, evita un secondo marchio di rossetti. Ma se uno fa skincare e l’altro solo make-up, ben vengano entrambi. Il pubblico sa distinguere, i brand sanno negoziare. C’era un tempo in cui un contratto diceva: solo noi, niente altro. Ora, più che regole, ci sono strategie e una nuova forma di diplomazia dell’immagine.
Per le celebrità, il volto vale oro: il ritorno economico delle endorsement
Dietro la scelta di diventare ambassador di un brand beauty, per una celebrità, non ci sono solo ragioni di visibilità o prestigio. C’è una logica molto pragmatica, e profondamente redditizia. Una collaborazione con un marchio di bellezza può generare guadagni che vanno ben oltre quelli di un film, di un tour mondiale o di un album di successo. Secondo gli esperti del settore, i contratti di endorsement nel 2025 hanno raggiunto nuove vette: cifre a otto zeri per star come Zendaya, Taylor Swift e Rihanna. Si vocifera che Chanel abbia pagato a Timothée Chalamet ben 35 milioni di dollari per una campagna con Martin Scorsese dietro la macchina da presa e una manciata di apparizioni pubbliche. E il bello è proprio questo: spesso, per meno di una settimana di lavoro effettivo all’anno, le star riescono a incassare quanto (o più) di quello che guadagnerebbero con mesi passati su un set cinematografico, seguiti da interminabili tour promozionali. Un servizio fotografico, un paio di interviste, una sfilata sul tappeto rosso e una cena con influencer selezionati possono bastare per portarsi a casa milioni. Il rapporto tra tempo investito e ritorno economico è semplicemente imbattibile. Non si tratta solo di soldi facili. Per molte celebrità, firmare con un brand beauty è anche un investimento strategico nella propria carriera. Avere il proprio volto stampato su billboard nelle metropolitane, nelle farmacie, nei duty free degli aeroporti significa diventare un nome familiare, entrare nel quotidiano delle persone, farsi riconoscere (e desiderare) da pubblici anche al di fuori della fanbase tradizionale. Per chi è all’inizio della carriera, può essere un acceleratore. Per chi è già affermato, un consolidamento d’immagine. Nel frattempo, i brand non dormono. Monitorano costantemente l’andamento della “brand awareness” della loro celebrity di riferimento. Non si limitano a guardare le vendite, ma analizzano il coinvolgimento sui social, la copertura mediatica, il numero di visualizzazioni video, e persino la rilevanza culturale percepita. Alla fine di ogni contratto, in genere biennale o triennale, sanno già se vale la pena rinnovare.
Quando l'influenza è capitale
In un mondo dove il capitale simbolico si converte in valore economico, i volti celebri diventano asset strategici. I beauty brand non vendono solo prodotti: vendono sogni incarnati da persone riconoscibili. E le celebrità, a loro volta, capitalizzano su quell'immagine, guadagnando visibilità, rilevanza, e milioni. Quella tra celebrity e marchi beauty non è più solo una partnership: è un ecosistema culturale e commerciale dove l'estetica diventa economia, e l'immagine influenza l'identità collettiva.