I colossi beauty sono sempre più interessati all’intelligenza artificiale generativa Come la usano? Quali sono i vantaggi?

C’è un cambiamento silenzioso, ma inarrestabile, che sta riscrivendo le fondamenta dell’industria della bellezza. È una rivoluzione che non nasce tra gli scaffali delle profumerie o nelle stanze ovattate dei laboratori cosmetici, ma tra le righe di algoritmi generativi, addestrati per apprendere, creare e, soprattutto, anticipare desideri. Protagonista di questa metamorfosi sistemica del beauty globale, che attraversa ogni angolo del settore dalla formulazione dei prodotti al marketing, dalla personalizzazione dell’esperienza cliente al modo in cui le aziende raccontano se stesse, è l’intelligenza artificiale generativa (GenAI). Da L’Oréal a Estée Lauder, passando per Unilever, Coty e il colosso del lusso LVMH, i principali player del settore hanno già avviato una trasformazione strategica guidata dalla GenAI che impatterà sul modo in cui progettano, comunicano, producono e vendono bellezza.

Dall’artigianato alla programmazione: la nuova grammatica della bellezza passa dall'Intelligenza Artificiale

Il settore cosmetico è sempre stato sinonimo di emozione, tatto, sfumature, odori. È un universo che parla attraverso sensazioni. Eppure, proprio in questo mondo così visceralmente umano, la tecnologia generativa sta trovando terreno fertilissimo. Perché? Per comprendere davvero l’impatto della GenAI sul settore, bisogna partire da una constatazione semplice, ma potente: la bellezza non è più un linguaggio esclusivamente estetico. È diventata espressione identitaria, culturale, personalizzata. Ed è proprio qui che l’intelligenza artificiale generativa trova spazio. Perché oggi, vendere un rossetto o una crema viso non significa solo offrire un prodotto, ma costruire un universo narrativo attorno all’esperienza individuale del consumatore. Farlo su larga scala, in modo coerente ma localizzato, empatico ma iper-reattivo, è una missione quasi impossibile per una forza lavoro puramente umana. "Nel beauty, non vendiamo solo prodotti. Vendiamo sogni, identità, esperienze,” ricorda Guilhem Souche, ex dirigente L’Oréal oggi advisor per Sthrive.AI. “La GenAI è il nostro nuovo storyteller: capace di scrivere, testare, modificare e distribuire in tempi che il team creativo umano non potrebbe mai eguagliare".

I settori più interessati alla GenAI: ricerca, sviluppo e marketing

L’integrazione dell’IA generativa ha impatti tangibili soprattutto nella fase di Ricerca e Sviluppo (R&S) e nel marketing. Grazie alla capacità di analizzare dati su larga scala e anticipare le tendenze di mercato, permette alle aziende di sviluppare prodotti sempre più in linea con le aspettative dei consumatori. In alcuni casi, i consumatori stessi partecipano ai processi di co-creazione, fornendo input personalizzati attraverso piattaforme interattive alimentate dall’IA. Nel marketing, la GenAI consente una produzione di contenuti rapida, localizzata e coerente con ogni piattaforma. Aziende come Coty riescono a generare migliaia di asset visivi su misura in pochi minuti, mentre nuovi attori come e.l.f. Beauty sperimentano la combinazione di ricerca vocale, realtà aumentata e ottimizzazione automatizzata delle campagne. Anche la gestione operativa ne beneficia: l’IA consente una pianificazione dell’inventario più accurata, riduce gli sprechi e migliora la logistica, garantendo efficienza su larga scala per colossi come L’Oréal e Estée Lauder.

Dalla prova virtuale alla skincare predittiva: il retail cambia volto

I brand stanno ricorrendo sempre più alla GenAI anche nel retail, sia fisico che digitale. Immaginate di entrare in uno store e vedere il vostro viso riflesso in uno specchio intelligente. Nessun riflesso statico, ma una versione interattiva della vostra immagine che vi consiglia. Vi suggerisce il fondotinta perfetto per il vostro sottotono, un siero personalizzato per la vostra tipologia di pelle, oppure un look ispirato al moodboard social del momento. Grazie alla combinazione di visione artificialemachine learning e database dermatologici, le app di GenAI possono oggi elaborare un percorso skincare interamente su misura, aggiornato, validato, personalizzato. Tutto in pochi secondi. 

Cosa stanno facendo i big del beauty?

Secondo una recente indagine di GlobalData, oltre il 40% delle aziende ha già riscontrato un impatto concreto dell’IA sulle proprie attività, con un ulteriore 13% che prevede cambiamenti significativi nel prossimo anno. Il segmento più dinamico è proprio quello dell’intelligenza artificiale generativa, con previsioni di crescita che stimano un mercato da oltre 33 miliardi di dollari entro il 2027L’Oréal, storicamente pioniera dell’innovazione beauty, ha stretto accordi con IBM e Nvidia per realizzare un vero e proprio Content Lab dove l’AI non solo genera contenuti pubblicitari, ma partecipa attivamente alla formulazione predittiva dei prodotti. Il risultato? Cicli di sviluppo accorciati, formule più sostenibili e messaggi su misura per ogni tipo di pubblico. L’iniziativa si inserisce nel più ampio piano L’Oréal for the Future, che punta a rendere il 95% dei prodotti sostenibili entro il 2030. Estée Lauder ha, invece, scelto di fondere creatività e GenAI con Microsoft, accelerando ogni fase della progettazione prodotto. Il risultato? Cicli di lancio ridotti da mesi a settimane, con campagne perfettamente localizzate per ciascun mercato, ma sempre allineate allo stesso tono globale. Anche Unilever, gigante multibrand, ha scommesso sulla GenAI integrando oltre 500 strumenti basati sull’intelligenza artificiale in tutta la value chain. Dagli algoritmi predittivi per la formulazione skincare alla creazione automatica di contenuti ad alta conversione, fino alla gestione della supply chain e dei feedback in tempo reale. Infine c’è Coty, che ha iniziato a testare l’uso di avatar AI per il live commerce in Asia già dal 2021. Oggi riesce a generare migliaia di contenuti personalizzati per mercati e culture diverse in pochi minuti, adattando ogni immagine o copy al micro-target a cui è destinata.

Rischi e responsabilità: tra privacy, proprietà regolamenti ed etica

Ogni rivoluzione tecnologica porta con sé anche delle zone d’ombra. Quando si parla di bellezza, queste ombre possono essere particolarmente insidiose. Perché se un algoritmo genera un’immagine di donna “ideale”, chi decide quali tratti valorizzare? E se la GenAI rimuove inconsapevolmente rughe, cicatrici o elementi etnici per “ottimizzare” una campagna, sta forse tradendo l’essenza stessa della diversità? Per questo Dove è stato il primo marchio di bellezza a impegnarsi a non utilizzare mai l’intelligenza artificiale per rappresentare le donne nella sua pubblicità. La questione della proprietà intellettuale è altrettanto delicata. Chi possiede un’immagine creata dall’AI? L’azienda? Il software? Il creatore umano che l’ha ideata? E in caso di contenuti offensivi o culturalmente insensibili, di chi è la responsabilità? In mercati come l’Europa, dove normative come l’AI Act stanno già regolando l’uso dei dati biometrici e la trasparenza algoritmica, queste domande non sono più teoriche. Sono diventate urgenti, concrete, vitali. “L’AI è uno strumento potentissimo, ma non neutrale,” avverte Guilhem Souche, advisor AI per il settore beauty. “Può valorizzare la diversità, ma anche appiattirla. Può essere inclusiva, ma anche omologante. Sta a noi, umani, guidarne l’intelligenza.”

Il futuro della bellezza è ibrido, umano e intelligente

Oggi, l’interesse attorno alla GenAI nel settore beauty è una vantaggiosa scelta strategica. Start-up come Topview.ai o iniziative come l’AI Factory di LVMH stanno catalizzando investimenti e partnership. La vera sfida è integrare questa tecnologia nel cuore del business in modo coerente con la brand identity. Senza dimenticare che, nel mondo della bellezza, dove si vendono emozioni e identità, la GenAI non deve sostituire la creatività, ma potenziarla. Perché la bellezza, alla fine, resta un linguaggio umano. Un codice sottile, fatto di emozioni, imperfezioni, gesti. L’intelligenza artificiale può aiutare a comprenderlo, a raccontarlo meglio, a declinarlo in mille voci diverse. Ma non potrà mai sostituire quello sguardo unico che una persona lancia a se stessa davanti a uno specchio. I brand che guideranno il futuro saranno quelli capaci di fare da ponte tra le infinite possibilità dell’algoritmo e la fragilità dell’identità. Perché anche in un mondo dominato dai dati, la vera bellezza non si misura in pixel. Si coglie negli sguardi. E quelli, almeno per ora, li leggiamo meglio noi.