
Siamo crazy per l'hojicha latte Siamo bianchi e ci piace bere bevande asiatiche, viviamo in una grande città e siamo vittima degli oggetti feticcio e degli status symbol
Sarà per colpa dell'americanità (sarebbe meglio parlare di statunitensità, ma non suona bene) dei media che consumiamo, sarà perché Milano più spesso che no si fa primo ricettacolo italiano di tutte le novità internazionali che ci fanno sentire cool, sarà perché alla fine della fiera cos'è la vita se non una lunga serie di pose, ma ci piace veramente moltissimo andarcene in giro con fare indaffarato e alla mano destra un bicchierone di qualcosa di esclusivo, simbolico, sovra-prezzato che ci elegge immediatamente a più international e sul pezzo della stanza o del vagone della metro. L'ultimo bicchiere di glamour? L'hojicha latte, che si prepara a scalzare il matcha nella difficile lotta tra i drink più in hype dell'occidente capitalista. Ditemi che percepite l'ironia.
Cos'è un hojicha latte?
Partiamo dalle basi. L'hojicha latte è simile al matcha latte. Si tratta di una bevanda calda preparata con tè verde giapponese tostato (l'hojicha, per l'appunto), acqua e del latte di qualche tipo. Nella versione estiva, la bevanda è fredda e con ghiaccio. Il metodo più semplice per farne uno è utilizzare la polvere di tè, che a differenza di quella di matcha è marrone e non verde. L'effetto visivo, dunque, è quello di un iced latte, e viene dunque a mancare il super-in-trend-verdino tipico della versione non tostata di questo prodotto. Il dolcificante è a piacere. Il sapore è erbaceo, tostato e nocciolato. Se la polvere è di alta qualità e lo zucchero non è troppo, si possono percepire anche note di cacao e caramello.
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Perché ci piace?
La risposta più semplice e ovvia è perché siamo vittime dell'hype e dei caffè alla moda. Se volessimo approfondire un po', poi, potremmo aggiungere che nel 2025 anche il cibo (e i posti in cui viene preparato, servito, consumato, sfoggiato) è feticcio e status symbol. Ci sono ristoranti, bistrot, caffè e cocktail bar che basano la loro identità visiva e la loro immagina su questa targettizzazione estrema, che permette ai clienti di trovare solo persone identiche a loro una volta entrati. Ancora, il cibo è sottoposto al ciclo dei trend. Basti pensare all'avocado toast, alla salmon bowl di Emily Mariko, al craze per le fragole e per i pomodori. L'ultimo trend è proprio quello dell'Hojicha latte, e chi siamo noi per non dargli una possibilità? Nessuno, ecco chi. Con il rischio di provocare carenze mondiali e di privare le popolazioni che l'hanno inventato, o che ne hanno sperimentata una versione che poi, nel passaggio all'Occidente, è risultata inevitabilmente bastardizzata. Poi, ovviamente, esiste anche l'evenienza che ci piaccia il sapore. Lo ammetto.
this pic reminds me of when someone on here said that high‐quality food could soon become a way for people to signal their wealth and value https://t.co/k1OvJ4Dqje
— ︎ DUH! (@mugIerette) March 17, 2025
Una bevanda è un accessorio e la recessione economica
Cosa succede se il cibo diventa un accessorio? O meglio, quando succede che una cosa come una bevanda giapponese diventi segnalatore di status, di appartenenza, di sapienza? Succede in piena recessione economica, pare. Ha senso. Un lusso piccolo, per alcuni addirittura minuscolo, diventa più grande, importante e da sfoggiare se è più difficile permetterselo. E una bevanda a base di tè a 6 euro è un lusso piccolo, ma non per questo più accessibile, soprattutto su base quotidiana o settimanale. È lo stesso motivo per cui i frullati di Erewhon vengono ideati con Hailey Bieber, le borse di lusso sono a forma di sedano e di porro, gli utenti sui social network postano i loro haul al farmers market e anche andare al mercato è diventata un'aesthetic da narrare nelle storie. Perché siamo sempre più poveri, possiamo permetterci sempre di meno e vogliamo comunque dimostrare qualcosa. Tremendo, no?



















































