
Avevate mai pensato all'accessibilità su internet? Intervista a Dajana Gioffrè
Navigare online non è un’esperienza semplice per tutti: in Italia, infatti, 1 persona su 5 dichiara di avere difficoltà a leggere, ascoltare o comprendere contenuti digitali, e il 15% ammette di interrompere spesso operazioni online a causa di ostacoli legati all’accessibilità. È in questo contesto che entra in gioco AccessiWay, società europea specializzata nell’accessibilità digitale, che supporta aziende e organizzazioni nel rendere i propri siti web inclusivi. Per approfondire la situazione italiana e capire come l’accessibilità possa diventare un’opportunità concreta per tutti, abbiamo incontrato Dajana Gioffrè, Chief Visionary Officer di AccessiWay, psicologa e specialista in Universal Design, ipovedente e da sempre impegnata nella tutela dei diritti delle persone con disabilità. Con la sua esperienza tra ricerca, advocacy e innovazione digitale, Gioffrè ci racconta le sfide quotidiane degli utenti, le principali barriere ancora presenti sul web e le strategie per costruire un’esperienza digitale realmente inclusiva.
Intervista a Dajana Gioffrè sull'accessibilità online
Dai risultati della ricerca AccessiWay–YouGov emerge che 1 italiano su 5 fatica a leggere, ascoltare o comprendere i contenuti digitali. Quanto è grave, oggi, il problema dell’esclusione digitale nel nostro Paese?
È un grande problema che presenta due facce: la prima riguarda l’alto numero di persone escluse dal mondo digitale, mentre la seconda sono le conseguenze che questa esclusione porta nella vita delle persone. È difficile immaginarlo, ma il numero di persone impattate dal tema dell’accessibilità digitale è molto ampio. AccessiWay pone molto l’accento sulle persone con disabilità escluse dal web, perché si tratta di un diritto violato in mezzo a tanti e tanti altri, ma in realtà anche una persona daltonica o non particolarmente digitalizzata ha necessità di poter contare su un sito accessibile. L’accessibilità, infatti, ha tra i suoi cardini la chiarezza e la semplicità d’uso dell’interfaccia, fattori fondamentali per consentire ad una persona non confidente con le tecnologie a raggiungere comunque i propri scopi. E dopo la pandemia di Covid 19 questo problema impatta molto di più rispetto a prima sulle persone: i rapporti sociali, lavorativi e associativi si sono spostati sempre più online. Pensate a tutti i progetti di medicina telematica o ai colloqui di lavoro. Per molte persone compiere queste operazioni è una lotta quotidiana, che finisce per escludere di fatto una porzione di popolazione da un numero sempre più alto di attività, creando isolamento sociale.
@chronicallyjenni Do you know if your content is accessible?! If you're posting online, you need to think about accessibility because if your content isn’t accessible, it’s not inclusive and that means you’re missing out on potential engagement. Welcome back to another episode of Disability Education 101! I’m Chronically Jenni, and I’m here to tell you all the things you never learned about disability! So, here’s some easy ways you can make your content more accessible in under a minute: - Add alt text to your images: this is what screen readers read aloud to blind or visually impaired users. Keep it clear and descriptive. Add image descriptions in your caption if alt text isn’t supported. Also try not to use too many emojis or use emojis are bullet points as it can make things confusing for screen readers. - Always use captions on videos: not just for d/Deaf users but also for people with audio processing issues, did you know Around 85% of video content on social media is watched without sound? - Use CamelCase hashtags: capitalise the first letter of each word, so screen readers can read them properly. - Avoid putting important info only in a graphic or video. Always repeat it in the caption so no one misses it. - Make sure your text is high contrast: no pale fonts on white or clashing colours that are hard to read. - And use clear, simple language: accessibility includes cognitive access too! Making your content accessible isn’t just good practice, it’s essential. Small changes make a big difference. Save this to check before your next post, and follow for more Disability Education 101. If there's something I've missed, let me know in the comments! #DisabilityEducation #DisabilityEducation101 #DisabilityAwareness #ChronicallyJenni #Accessibility #OnlineAccessibility #MakeYourContentMoreAccessible original sound - Chronically Jenni
Il 15% degli utenti dichiara di interrompere un’operazione o un acquisto online per problemi di accessibilità. Che impatto ha questo dato non solo sulle persone, ma anche sulle aziende?
Questa è una situazione che mi accade quotidianamente. Io sono una persona completamente cieca e per fare un acquisto online, per me estremamente comodo perché ho modo di esplorare tutte le caratteristiche del prodotto, ho necessità che l’e-commerce sia accessibile. La maggior parte delle volte, tuttavia, devo interrompere l’esperienza di acquisto a causa di un passaggio non accessibile. Questo porta frustrazione o la necessità di doversi appoggiare a qualcuno per effettuare l’acquisto, andando a ledere la propria dignità. Personalmente, quello che succede è che poi faccio cattiva pubblicità al brand con il sito non accessibile e se posso evito l’acquisto, cercando di ripiegare su un sito che venda lo stesso prodotto ma accessibile e spendendo, molto spesso, più soldi di quelli che avevo preventivato. Mi sembrano ovvie le conseguenze: come me, moltissime persone con disabilità e senza disabilità interrompono i loro acquisti provando frustrazione e rabbia; ciò che fanno poi è tornare sul sito in cui riescono a concludere l’acquisto e suggerirlo nei forum dedicati, dove ci si scambia consigli sui brand che possono essere presi in considerazione dalle persone con disabilità per fare acquisti.
Quali barriere risultano più penalizzanti nel 2025: pop-up invasivi, lentezza dei siti, istruzioni poco chiare o scarsa ottimizzazione mobile? Quali tra queste sono più semplici da risolvere e quali invece richiedono un cambio di cultura progettuale?
Dalla mia esperienza di navigazione con lo screen reader e anche dalle informazioni che ricavo dalla community di persone con disabilità, i problemi più importanti riguardano l’eccessivo numero di pop-up e alert nella pagina, oltre allo scorretto etichettamento dei pulsanti o di altri elementi della pagina che rendono difficile orientarsi e capire quali siano i bottoni giusti per effettuare le proprie operazioni. Questi problemi possono essere risolti con azioni concrete orientate all’accessibilità digitale. Tuttavia c’è una cosa che richiede inevitabilmente un supporto by design, ovvero la user experience: se il flusso di acquisto in un e-commerce, ad esempio, o una qualsiasi altra call to action è difficile da gestire da parte dell’utente, il sito può anche essere accessibile, ma non lo sarà la sua esperienza. Per fare questo tipo di valutazione, che metta la persona al centro, la cosa migliore è affidarsi agli utenti stessi, organizzando uno user test che prevede proprio che siano gli utenti con disabilità a testare i siti web e a dare una propria opinione sulla percezione di accessibilità e soprattutto di fruibilità degli stessi.
@sophiechristiansencbe Top tips for digital accessibility... Is your content accessible to everyone? #digitalaccessibility #disabilityawareness #inclusivedesign #toptips #contentcreator #accessibility original sound - Sophie Christiansen CBE
Considerando che in Italia oltre 13 milioni di persone convivono con una disabilità permanente o temporanea, come valuta il livello di consapevolezza delle istituzioni e delle imprese su questo tema?
Penso che l’aggettivo migliore per descrivere la consapevolezza delle imprese e degli enti su questi temi sia acerba. Il tema delle persone con disabilità è approdato sui tavoli di imprese ed enti, ma il livello di consapevolezza è ancora basso. Abbiamo iniziato questo processo grazie alle leggi: le stesse leggi che hanno consentito alle persone con disabilità di essere assunte ed entrare a lavorare nelle aziende e nelle pubbliche amministrazioni, che hanno permesso alle persone con disabilità di esercitare un diritto come l’accessibilità digitale grazie alla cosiddetta Legge Stanca prima e all’European Accessibility act poi. Ora è tempo che questa consapevolezza un po’ acerba cambi passo e diventi qualcosa di altamente concreto: prevedendo innanzitutto l’esistenza di questi utenti e lavoratori dentro e fuori le imprese, con un cambio di passo che metta l’accessibilità (intesa come l’accesso da parte di tutti in tutti i luoghi fisici e digitali) al centro, intendendola come un investimento che consenta da un lato una maggiore produttività da parte dei lavoratori con disabilità all’interno delle imprese e delle pubbliche amministrazione, e dall’altro ai consumatori di spendere il proprio denaro come desiderano.
Nella sua esperienza, qual è la barriera digitale che più frequentemente limita la partecipazione delle persone con disabilità visive?
Dalla mia esperienza la barriera digitale più impattante è quella legata alla gestione del proprio denaro: capita fin troppo spesso che a causa di un aggiornamento delle piattaforme bancarie l’accessibilità venga a mancare e l’impatto sulla persona è che non riesca più a gestire il proprio denaro. È un impatto molto grande sulla vita di una persona, sulla sua privacy e sulla sua autonomia. Immaginate di essere una persona adulta, che lavora ricevendo uno stipendio, che ogni giorno prende decisioni per se stesso e senza aver fatto nulla, da un momento all’altro, non abbiate più modo di gestire il vostro denaro. La seconda area molto impattante è quella che riguarda i libri accessibili: l’accesso alla cultura è un grande problema per le persone con disabilità visiva e se un libro è accessibile è sostanzialmente l’unico modo che ha la persona cieca per accedere a quel contenuto.
Il sondaggio evidenzia che l’86% degli italiani considera fondamentale la progettazione accessibile. Perché allora, secondo lei, molte realtà continuano a rimandare?
Penso che la risposta a una percentuale così alta risieda nel fatto che nessuno dubiti che sia una cosa giusta, ma la percezione generale è che non sia particolarmente importante o che le persone impattate non siano così tante. Molto spesso mi sento dire che per strada si vedono poche persone con disabilità. La mia risposta è sempre che se spostarti da un luogo all’altro ti richiede il triplo dello sforzo rispetto a qualcun altro, sarà meno probabile che tu esca di casa. Per questo le persone con disabilità vengono invisibilizzate e non vengono recepite come la più grande minoranza del mondo, cosa che in realtà siamo.
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Quando si parla di "alfabetizzazione digitale", quali competenze mancano di più a utenti, aziende e istituzioni?
In merito all’accessibilità sono quelle riguardanti l’esistenza e la modalità di interazione con le interfacce digitali usando le tecnologie assistive. Molte persone si chiedono come faccia una persona cieca a usare internet o più banalmente un computer o uno smartphone, è tempo che queste informazioni circolino più facilmente.
Quali settori stanno guidando il cambiamento e quali invece mostrano più resistenza?
Il mondo bancario, probabilmente a causa della delicatezza in cui opera come ho scritto più su, e l’ambito della cultura, con i musei che ne fanno da capofila.
Qual è la sua visione per l’Italia dei prossimi cinque anni: è realistico immaginare un ecosistema digitale davvero accessibile a tutti?
Sicuramente sarà più accessibile, ma non lo sarà totalmente. Il lavoro da fare per un cambio di mentalità è ancora tanto e bisogna continuare a lavorare attraverso leggi che vedano le persone con disabilità come reali agenti della loro vita. Penso che tra 5 anni ci saranno piattaforme e siti web più accessibili, ma non lo saranno tutte.

















































